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Aumento smodato della popolazione e riscaldamento climatico. Come sara' la Terra nel 2030
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Articolo di Redazione
27 dicembre 2012 16:04
 
E' un regalo per il presidente Obama rieletto da poco: il rapporto “Global Trends 2030”, stilato dal National Inteligence Council (NIC), e che e' stato reso pubblico in questi giorni. Il NIC, piccolo cugino della CIA, e' una sorta di braccio analitico e prospettico dei servizi di informazione americani. Questo rapporto immagina come sara' il mondo nel 2030, e presenta logicamente un forte tropismo per la geopolitica ma ha l'intelligenza di non dimenticare che le nazioni, le societa' vivono su un pianeta fisico i cui limiti si evidenziano in modo sempre piu' eclatante, e dove gli esseri umani hanno bisogni elementari (nutrirsi, bere, abitare, riscaldarsi, muoversi) e dove non poterli soddisfare e' anche un fattore di instabilita' nel mondo. A parte gli aspetti diplomatici e geostrategici, ora ci concentriamo su come i servizi americani d'informazione vedono la Terra madre nel 2030.
Gli autori del rapporto fanno un confronto tra il mondo d'oggi e quello delle grandi transizioni nella storia: 1815 (fine dell'impero napoleonico), 1919 e 1945 (il giorno dopo le due guerre mondiali), e 1989 (caduta del muro di Berlino e fine del conflitto Est-Ovest). Ogni volta -dicono- il percorso del futuro non era stato del tutto tracciato e nel mondo diverse opzioni sono state affrontate. E cosi' accade per i nostri anni. Ma tra gli elementi che contraddistinguono il futuro, ne esiste uno che e' preponderante: la demografia. Il 2030 ci sara' un pianeta di 8,3 miliardi di abitanti (contro i 7,1 della fine del 2012), un pianeta invecchiato e sempre piu' urbanizzato, con circa 5 miliardi di esseri umani che vivranno in citta'. Una cifra da confrontare coi 750 milioni di urbanizzati che contava la Terra nel 1950 (su una popolazione globale di 2,5 miliardi d'abitanti).
Il 60% della popolazione mondiale nelle citta', un fatto non senza conseguenze essenzialmente per l'ambiente. Il rapporto spiega che storicamente la crescita dell'urbanizzazione “ha portato a riduzioni drastiche delle foreste, a cambiamenti in negativo nel contenuto nutritivo e nella composizione microbica dei terreni, ad alterazioni nella diversita' di piante ed animali (incluse alcune estinzioni locali), fino a cambiamenti nella disponibilita' e qualita' dell'acqua dolce. Secondo alcuni studi, questi impatti sono stati rilevati a distanze talvolta anche oltre 100 Km dai piu' vicini centri urbani”.
Alla sfida demografica si aggiunge quella climatica e alimentare. E tutte e tre si mescolano. Una semplice osservazione sulle attuali tendenze dei consumi alimentari da' risultati tali da provocare qualche segnale d'allarme. In virtu' della crescita della popolazione e dei cambiamenti dei costumi alimentari nei Paesi emergenti, la domanda mondiale di cibo dovrebbe aumentare di oltre il 35% da qui al 2030. I rendimenti agricoli, anche se continuano a migliorare, non seguono la medesima crescita e, secondo il rapporto, noi stiamo gia' vivendo grazie alle riserve: “nel corso di sette degli ultimi otto anni, il mondo ha consumato piu' cibo rispetto a quanto ne abbia prodotto. Un grande studio internazionale stima che nel 2030, i bisogni annuali di acqua saranno intorno ai 6.900 metri cubi, cioe' il 40% in piu' delle risorse durature attuali”. Il rapporto aggiunge che, tra meno di due decenni, circa la meta' della popolazione mondiale vivra' in regioni che saranno sottoposte a forti stress idrici ed evoca chiaramente il problema delle guerre dell'acqua.
Le tensioni sulle risorse di acqua e cibo rischiano di essere aggravate dal cambiamento climatico. Il giorno dopo i negoziati ratificati a Doha sui limiti dei gas ad effetto serra, che riflettono la mancanza di evidente impegno da parte degli Usa nella lotta contro il riscaldamento climatico, non e' senza una certa ironia che si legge, scritta da funzionari sempre degli Usa, una certa preoccupazione suscitata dal fenomeno. Anche se gli “scettici del clima” godono dell'appoggio dei media oltre-Atlantico, e se alcuni di essi sono membri della Camera dei rappresentanti e del Senato, siccome si tratta di questioni serie i cui pericoli riguardano anche gli Usa, piu' persone, nelle alte sfere, non hanno dubbi sulla realta' del riscaldamento climatico. Il rapporto non potrebbe essere piu' chiaro in materia. Anche se i suoi autori rifiutano, probabilmente in virtu' di un “corretto scetticismo sul clima” che e' diffuso nella maggioranza degli americani, essi sono obbligati a riconoscere che il pianeta sta andando, verso la meta' del secolo, incontro ad un aumento delle temperatura media di “almeno 2 gradi centigradi. Se le emissioni continueranno ai livelli attuali, un aumento di 6 gradi alla fine del secolo e' piu' probabile che non 3 gradi, situazione che comportera' conseguenze ancora piu' importanti”.
Una situazione che non paventa niente di buono per i problemi relativi alla sicurezza alimentare. Non solo la popolazione sara' piu' numerosa, non solo le popolazioni dei Paesi emergenti stanno, grazie all'aumento dei loro redditi, gia' cambiando il proprio regime alimentare consumando piu' carne, la cui produzione e' legata al consumo di acqua e cereali, non solo le megalopoli respingono e restringono gli spazi agricoli, non solo i rendimenti non sono proprio quelli nominali, essenzialmente in Africa, non solo alcuni terreni sovrasfruttati si degradano, ma anche il cambiamento climatico ha creato problemi all'industria agroalimentare: fenomeni meterologici estremi piu' frequenti, modifiche allo standard delle piogge, estinzione di alcuni ghiacciai che alimentano i corsi d'acqua durante le stagioni secche, etc. Non ci dovremo sorprendere di trovare, come soluzioni all'avanguardia per rimediare alle eventuali crisi alimentari, il ricorso alle piantagioni geneticamente modificate.

(articolo di Pierre Barthélémy, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 27/12/2012)
 
 
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