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Il Brasile cerca di uscire dal labirinto della violenza
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Articolo di Redazione
25 gennaio 2017 11:34
 
 I brasiliani si domandano come frenare l’ondata terrificante di violenza che colpisce il Paese all’interno e all’esterno delle prigioni, con proposte che vanno dalla depenalizzazione della marijuana al rafforzamento delle norme repressive.
Regolamenti di conti, decapitazioni, assassinii di poliziotti seguiti da esecuzioni sommarie si contendono ogni giorno i grossi titoli dei media al fianco del ridondante grande scandalo di corruzione Petrobras, che minaccia di implosione il sistema.
La guerra delle gang ha gia’ fatto circa 140 morti dall’inizio dell’anno tra detenuti nel nord diseredato del Paese, via d’ingresso della cocaina dal Peru’, dalla Colombia e dalla Bolivia.
A Belem, capitale dello Stato di Para (nord) 27 persone sono state uccise questo fine settimana, apparentemente per rappresaglia in seguito alla morte di un poliziotto. Nello Stato di Rio de Janeiro (sud-est), 13 poliziotti sono stati gia’ uccisi dall’inizio di gennaio.
Con un tasso di assassinii per arma da fuoco del 21,2 ogni 100.000 abitanti, il Brasile e’ tra i 10 Paesi piu’ pericolosi al mondo, secondo la “Carta della violenza 2016”, un rapporto annuale pubblicato dalla Facolta’ latinoamericana di Scienze Sociali (Flasco). Sorpassa sensibilmente il Messico (13,6/100.000) ed e’ molto lontano dagli Usa (3,6). In alcuni Paesi dell’Unione Europea questo tasso non va oltre lo 0,5.
Tra il 1980 e il 2014, 967.851 persone sono state assassinate in Brasile. E la saga continua al ritmo di 55.000 all’anno, nel momento in cui questo Paese non conosce “conflitti frontalieri ne’ guerra civile”, cosi’ come dichiara all’agenzia France Press l’autore del rapporto, Julio Jacobo Waiselfisz.
“Siamo cordiali, siamo selvaggi” titolava lo scorso lunedi’ 23 gennaio il quotidiano Estado de Sao Paulo, in un reportage dell’ex-direttore della politica economica della Banca Centrale, Luis Eduardo Assis. L’autore cita il classico “Radici del Brasile” dello storico Sergio Buarque de Holanda, che definiva negli anni 1930 il Brasile come un uomo “cordiale”.
“Ma questa cordialita’, lungi dall’essere una qualita’, maschera (….) la nostra incapacita’ a consolidare delle regole e delle istituzioni, la nostra riluttanza a distinguere l’interesse pubblico dagli interessi privati”, scrive l’editorialista.
“Esiste in America latina in generale (….) una cultura della violenza” che e’ ad un “livello epidemico” in Brasile, sostiene Waiselfisz, che rifiuta le spiegazioni basate solo sulla recessione economica o il traffico di droga.
La disoccupazione di massa “provoca un aumento dei furti”, ma questo non e’ per niente causa di un aumento degli omicidi, secondo lui. In quanto alle droghe, “alcuni settori hanno interesse ad identificarle come il problema essenziale” perche’ la logica repressiva aiuta a “muovere importanti risorse finanziarie per l’apparato di sicurezza”. “Io non so se le droghe costituiscano una grande parte del problema. Ma perche’ il Brasile ha un cosi’ alto tasso di assassinii nel momento in cui la proporzione di consumatori di droghe e' molto inferiore rispetto agli Stati Uniti, alla Norvegia o alla Svezia?”.
Come risposta il professore fa una probabile correlazione tra livello d’educazione e criminalita’. “Per ogni adolescente di 17/19 anni che viene ucciso e che ha fatto un corso secondario completo, 66 giovani della stessa eta’ sono uccisi tra quelli che sono stati scolarizzati per meno di tre anni”, sottolinea.
“La domanda che dobbiamo porci e’ se mancano delle prigioni o delle scuole”.
I recenti massacri nelle prigioni hanno riaperto il dibattito sulla depenalizzazione della marijuana o di altre droghe. Il sistema carcerario e’ superpopolato di piccoli spacciatori che collimano con criminali incalliti in questa “universita’ del crimine”, aggiunge il ricercatore.
Il ministro della Giustizia, Alexandre de Moraes ha ammesso che piu’ della meta’ dei detenuti in Brasile non ha commesso un crimine grave. Circa il 60% e’ in attesa di giudizio, un tasso drasticamente piu’ alto di quello dei Paesi sviluppati.
La pastorale delle prigioni della Chiesa cattolica ha fatto appello allo smantellamento del sistema di esclusione basato sulla “politica di guerra contro le droghe, la militarizzazione della polizia, le detenzioni provvisorie”.
Il Congresso dei deputati, a maggioranza conservatrice, parla al contrario di rendere piu’ dura la legislazione sulle armi, di rafforzare la penalizzazione dei crimini legati alla droga e di abbassare l’eta’ per essere perseguiti per i reati penali.
Queste proposte sono sostenute da una grande parte della popolazione brasiliana che considera “che un buon bandito e’ un bandito morto”.

(articolo di Jorge Svartzman, corrispondente dell’agenzia France Press - AFP)
 
 
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