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Il cambiamento climatico, fattore di destabilizzazione e di migrazioni
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Articolo di Redazione
13 settembre 2015 17:51
 
 Si tratta di una crisi? O, piuttosto, dell'avvio di un nuovo regime di migrazioni, alimentato dal cambiamento climatico in corso? Il flusso di migranti e di rifugiati che cercano asilo in Europa, e' oggi principalmente causato dalle guerre civili e dal crollo degli Stati in Medio Oriente, ma il ruolo del clima, anche se impossibile da rendere statisticamente, e' piu' che probabile.
25 milioni di sfollati
Se l'Europa ne sente gia' gli effetti diretti ed indiretti, “l'ampiezza di queste migrazioni va ben oltre quello che noi conosciamo attualmente”, dice Monique Barbut, segretaria esecutiva della Convenzione delle Nazioni Unite sulla lotta contro la desertificazione (UNCCD), che e' intervenuta, lo scorso 9 settembre, in una conferenza dal titolo “Deregolamentazioni climatiche e crisi umanitarie”, organizzata dal ministero degli Affari Esteri insieme con l'Istituto di relazioni internazionali e strategiche (IRIS), Action contre la Faim e Care France. Occasione, per 67 ONG, di consegnare al ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, una lettera aperta sull'urgenza di un ambizioso accordo, a fine anno a Parigi, sulle questione del clima.
Secondo l'Internal Displacement Monitoring Center (IDMC), tra il 2008 e il 2014, una media annuale di circa 25 milioni di persone si sposteranno a causa delle catastrofi naturali, tra i quali piu' dell'80% per eventi idro-climatici (tempeste, inondazioni, erosione delle coste, etc.). “La parte attribuibile al cambiamento climatico in queste migrazioni, allo stato dei fatti non puo' essere valutata”, ricorda Francois Gemenne, ricercatore (Sciences Po, Universita' di Versailles-Saint-Quentin) in scienze politiche e specialista di migrazioni ambientali.
E se non puo' essere qualificata con precisione la parte attribuibile al cambiamento climatico, gli spostamenti della popolazione legati agli sconvolgimenti politici (guerre, violenze, etc.) rappresentano, secondo l'IDMC, piu' di 38 milioni di sfollati interni nel 2014. “Tuttavia, c'e' concordanza per sostenere che il clima sia un fattore di destabilizzazione, che ci sia un forte legame tra clima e sicurezza”, dice Gemenne.
Questa constatazione non e' nuova. A marzo del 2008, un rapporto dell'Alto rappresentante dell'Unione Europea per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, identificava gia' le zone piu' suscettibili al cambiamento climatico in corso. “I cambiamenti climatici rischiano di avere, nel futuro, delle incidenze sulla stabilita' sociale e politica nel vicino Oriente e in Africa del nord”, precisava il rapporto con chiaroveggenza. Il testo puntava essenzialmente sulle “tensioni legate alla gestione delle risorse idriche della valle del Giordano e del bacino del Tigri e dell'Eufrate, che si stanno rarefacendo”, e l'aggravamento delle tensioni per l'aumento delle temperature.
Il rapporto poneva ugualmente l'accento su “un sensibile aumento della popolazione del Magreb e del Sahel” nel corso dei prossimi anni e che, combinato col cambiamento climatico e la diminuzione delle superfici agricole, potrebbe essere causa di “tensioni sociali”, una “destabilizzazione politica” che “potrebbe far crescere le pressioni migratorie”. Nel contempo, in Yemen, il rapporto premonitore dell'Alto Rappresentante precisava che “sotto l'effetto dei cambiamenti climatici e della diminuzione della produzione agricola”, la situazione “potrebbe giungere ad un punto critico, provocando una instabilita' politica e sociale”.
Siccita' siriane
Piu' di sette anni dopo la redazione di questo rapporto, Gemenne constata che la Siria e' l'esempio di una societa' destabilizzata grazie alle questioni climatiche: “Una parte della crisi siriana trova la sua origine in una serie di siccita' che ha colpito il Paese”, spiega il ricercatore. Questo legame e' al centro di diversi lavori accademici recenti. “'C'e' una quantita' di prove che la siccita' tra 2007 e 2010 che ha toccato il Medio Oriente ha contribuito al conflitto siriano”, notano alcuni ricercatori guidati da Colin Kelley (Universita' della California a Santa Barbara), in uno studio pubblicato a marzo del 2015 sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences”: Questa siccita', che non era mai stata rilevata di portata simile nella regione, ha causato una generalizzazione dei cattivi raccolti, nonche' delle migrazioni di massa dalle zone rurali verso i centri urbani”. Ora il cambiamento climatico in corso -scrivono i ricercatori- triplica il rischio di pesanti e persistenti siccita' nelle zone fertili.
In Siria, sono gia' circa un milione le persone che, toccate dall'insicurezza alimentare, hanno abbandonato le loro terre. “Un esodo rurale che ha contribuito a portare il Paese nel conflitto”, sottolinea Monique Barbut, che fa notare come in Nigeria e in Mesopotamia, Boko Haram e il cosiddetto Stato Islamico (Isis) approfittano di questa situazione. “L'Isis ha confiscato delle risorse di acqua per accrescere il proprio potere e la sua influenza”.
Rarefazione dell'acqua e dei terreni agricoli
Nei prossimi anni, il cambiamento climatico portera' ad un degrado delle terre e ad una rarefazione delle risorse idriche. Le terre agricole disponibili potrebbero fortemente diminuire da oggi al 2050, quando la differenza tra i bisogni di acqua e le risorse disponibili potrebbe attestarsi sul 40% nei due prossimi decenni. “Quando non resta piu' niente, le persone disperate cercano un'altra via -dice Monique Barbut-. La migrazione e' la piu' evidente”. E sottolinea: da qui al 2020, 60 milioni di persone potrebbero migrare dai luoghi piu' degradati dell'Africa sub-sahariana verso l'Africa del nord e l'Europa.
“La difficolta' crescente di trovare dell'acqua, dei pascoli verdi, obbligano ad una maggiore percorrenza -dice Hindou Oumarou Ibrahim, coordinatrice dell'Associazione delle donne dei popoli autoctoni del Ciad-. Questa e' una grande fonte di conflitto, La scomparsa in dieci anni dell'80% dell'acqua del lago Ciad, ha provocato delle terribili tensioni tra gli agricoltori venuti dal nord della Nigeria e le persone che tradizionalmente vivono intorno al lago”.
La questione climatica dovrebbe essere un fattore maggiore di destabilizzazione e di migrazioni nel secolo in corso. Ma -ricorda Gemenne- “il determinismo climatico non paga perche' le scelte politiche giocano sicuramente su un ruolo maggiore delle crisi sopraggiunte”. Nel contempo, e' preoccupante vedere il panico che provoca in Europa la situazione attuale -conclude il ricercatore.- Sembra che non ci si renda ancora conto del suo carattere profondamente strutturale”.

(articolo di Laetitia Van Eeckhout e Stéphane Foucart pubblicato sul quotidiano Le Monde del 13/09/2015) 
 
 
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