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Che cosa sta succedendo nella politica mondiale della lotta contro le droghe, e perche' emergono le Americhe in questa insolita svolta?
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Articolo di Redazione
20 aprile 2014 19:42
 
José Mujica, presidente dell'Uruguay, ha fatto si' che il Congresso del suo Paese approvasse la legalizzazione di produzione, distribuzione e consumo di marijuana. Evo Morales, presidente della Bolivia, ha ottenuto una eclatante vittoria presso l'Agenzia degli stupefacenti dell'Onu (Unodc) che ha accettato il consumo culturale della coca come norma internazionale. Otto Pérez, presidente del Guatemala, ha lanciato una politica alternativa di lotta contro le droghe per far fronte alla crescita delle organizzazioni criminali del narcotraffico che operano in Centroamerica. Barack Obama, presidente degli Stati Uniti, ha accettato di sedersi, nell'ultimo vertice delle Americhe che si e' tenuto a Cartagena de Indias, per discutere, con gli inviati dei Paesi della regione, su percorsi alternativi all'attuale politica repressiva contro le droghe che ha narcotizzato le relazioni degli Usa con il resto del mondo. Nel medesimo contesto, Juan Manuel Santos, presidente della Colombia, ha proposto di tassare i profitti dei narcotrafficanti, si' da farli uscire dal mercato. Nel contempo, gli Stati di Washington e Colorado hanno approvato referendum che, in base allo spirito di Proposition 19 che in California ha ottenuto il sostegno del 48% dei cittadini, hanno approvato la legalizzazione di coltivazione, produzione e consumo di marijuana. Di fronte a questa realta', che solo dieci anni fa sarebbe stata considerata un racconto di Gabriel Garcia Marquez, e' logico domandarsi: che cosa sta succedendo nella politica mondiale della lotta contro le droghe, e perche' emergono le Americhe in questa insolita svolta?
La risposta e' semplice: la politica proibizionista, come strategia di lotta internazionale contro produzione, vendita e uso di droghe illegali e' fallita e l'America Latina e' diventata leader di questa denuncia. Il fallimento e' dimostrato dal fatto che oggi esistono 300 milioni di consumatori di stupefacenti e che il mondo non e' piu' diviso, come lo era in precedenza, tra Paesi produttori e Paesi consumatori, poiche' ci sono alcuni di questi ultimi che si trasformano in produttori, come gli Usa, che produce il 60% della marijuana, e Paesi produttori che oggi sono grandi consumatori, come il Brasile.
Non deve sembrare un paradosso che questo accada dopo cento anni dalla nascita della attuale politica di controllo, che e' stata avviata quando furono siglati i trattati di lotta contro l'oppio all'inizio del secolo XX. Di conseguenza si e' sviluppata una forte politica di divieti per un'ampia lista di sostante proibite, incluse nell'”indice” dell'Inquisizione.
Questa dinamica interventista ha prodotto la propria inefficacia: i signori della droga vivono i pericoli creati dalle autorita' incaricate di combatterli, e a maggior pericolo corrispondono maggiori utili. I modelli economici preparati da economisti di un certo livello, come il premio Nobel Gary Backer, hanno dimostrato che, insistendo nel progettare politiche di controllo delle droghe illegali rifacendosi ai metodi usati per i beni legali, conduce la materia all'irragionevolezza del mito di Sisifo, la cui punizione non era tanto lo sforzo fisico di spingere un masso pesante dalla base alla cima di un monte (ndr. masso che poi rotolava di nuovo alla base) ma l'inutilita' psicologica di doverlo fare per sempre. I prezzi delle droghe non si adeguano alle offerte di mercato delle stesse ma procedono al contrario di queste offerte: quando si sequestra un carico di droghe illegali, le regole del mercato sotterraneo in cui si muovono queste merci stabiliscono che i prezzi non crescano, altrimenti disincentiverebbero il loro consumo, ma si mantengano ancor piu' bassi poiche' i narcotrafficanti fanno uso delle proprie scorte oppure mescolano le droghe con altre sostanze pericolose, e in questo modo riescono a far fronte ai violenti divieti del mercato.
Cosa fare di fronte a questa realta'? La soluzione non è semplicemente la legalizzazione. Non si puo' saltare dal fondamentalismo proibizionista al fondamentalismo legalizzatore, che ognuno possa consumare cio' che vuole e nel modo che piu' gli aggrada. La soluzione e' la depenalizzazione. Mantenere il carattere asociale del consumo di droghe nocive, ma darle un trattamento meno punitivo e piu' preventivo come risposta: meno polizia e carcere e piu' educazione e medici. Si tratta, quindi, di stabilire le differenze tra i diversi tipi di droghe (partendo con la marijuana), i diversi tipi di consumatore (proteggendo i minorenni), i diversi livelli di consumo (salute pubblica per i tossicodipendenti, educazione per i consumatori ricreativi) e interventi specifici dello Stato attraverso imposte, campagne di prevenzione e assistenza psicosociale, come nel caso del tabacco, che ha dimostrato di avere molti piu' effetti che non i controlli punitivi. Si tratta, in sintesi, di una nuova politica per rimpiazzare la vecchia strategia penale, che e' molto costosa e con pochi risultati, cosi' come suggerito dalla teoria di Enstein per cui la forma piu' sofisticata di follia e' pretendere che facendo sempre le stesse cose si possano conseguire risultati diversi.

(articolo di Ernesto Samper Pizano, ex-presidente della Colombia, edito dal quotidiano El Comercio del 20/04/2014)
 
 
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