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Combattere le ineguaglianze. Conversazione con Joseph Stiglitz
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Articolo di Redazione
2 settembre 2015 10:31
 
 Detrattore delle politiche d'austerita' in Europa, il Premio Nobel dell'economia Joseph Stiglitz e' impegnato da anni per denunciare i motivi dell'ineguaglianza in Usa e sulle relative conseguenze. Il 2 settembre pubblica una nuova opera in materia, “La grande rottura”. Intervista

D. Lei spiega nella sua opera che le inegualita' sono all'origine della crisi del 2007. Perche' oggi frenano la ripresa?
R. Soprattutto perche' esse sono spesso il risultato di monopoli che paralizzano l'economia. Ma soprattutto perche' le inegualita' formano una terribile trappola. Per gli Americani delle classi popolari che hanno una cattiva copertura sanitaria e che hanno difficolta' ad accedere all'educazione, l'ascensore sociale non funziona piu'. Essi hanno poche possibilita' di vedere aumentare il proprio reddito. Per cui, senza aumento dei redditi, non ci sono aumenti dei consumi, e questo debilita la crescita. Prima della crisi dei subprimes, le spese delle famiglie americane erano artificialmente -e drammaticamente- gonfiate dal credito. Ora che questa leva non c'e' piu', noi prendiamo atto delle devastazioni fatte dalle ineguaglianze. Queste sono incompatibili con una crescita sana.
D. Ma e' la stessa recessione che ha fatto crescere le ineguaglianze!
R. Si', ma non bisogna sbagliarsi: le ineguaglianze non sono una fatalita', esse sono il risultato di scelte politiche. Per esempio, alcuni Stati sono riusciti a mettere insieme crescita ed equita' perche' hanno fatto una priorita' di questo doppio obiettivo. E' il caso dei Paesi scandinavi, ma anche di Singapore o dell'isola di Mauritius, che e' riuscita a diversificare la propria economia puntando sull'educazione della sua popolazione. Gli Usa hanno molto da apprendere da questi esempi.
D. Lei fa appello agli Stati industriali, in particolare gli Usa, ad investire nell'innovazione, nelle infrastrutture, nell'educazione. Come farlo, visto che i debiti pubblici si sono attestati su dei livelli record?
R. E' una pessima scusa. In Usa, i tassi reali di interesse sono negativi, mentre sono molto bassi in Europa: non c'e' mai stato un momento cosi' propizio per l'investimento. Gli investimenti di cui parliamo alimenteranno una solida crescita nei prossimi anni, e quindi degli introiti fiscali supplementari che consentiranno di equilibrare i conti pubblici. Spendere per costruire il futuro non e' un freno alla crescita. Il fare non e' un regalo avvelenato per le generazioni future.
D. Il mondo sta affondando in una “stagnazione secolare”, ci sara' quindi un lungo periodo di debole crescita?
R. La stagnazione secolare ha due cause. La prima e' l'anemia della domanda mondiale, notoriamente piombata da ingiustificate politiche di austerita' in Europa. La seconda riguarda le domande sulle innovazioni di questi ultimi anni.
Al momento, Facebook, Airbnb, l'economia collaborativa non genera movimenti di produttivita' cosi' potenti come quelli della rivoluzione industriale, e noi non sappiamo valutare se questi daranno un apporto al prodotto interno lordo. Una di queste innovazioni finira' per cambiare la situazione? Impossibile predirlo, perche', per definizione, questo tipo di rottura e' imprevedibile.
Ma una cosa e' sicura: gli Stati qui hanno un ruolo da giocare, investendo nella ricerca per favorire la crescita di queste innovazioni. Perche' il solo investimento delle imprese non puo' essere sufficiente.
D. Ma se questo non accade? Se nessuna innovazione rilancia i meccanismi della produttivita'?
R. In fondo, questo non sarebbe cosi' drammatico, dato che le risorse del pianeta sono limitate. Noi possiamo molto ben accontentarci di una crescita durevolmente debole se questa viene fatta insieme a politiche che riducano le inegualita'.
D. Malgrado l'aumento delle inegualita' che lei denuncia, l'economia americana e' cresciuta del 3,7% nel secondo trimestre. Non e' poi cosi' male.
R. La ripresa americana e' un miraggio. E' vero che il nostro tasso di disoccupazione e' basso (5,3%), ma numerose domande di lavoro sono rimaste fuori dalle statistiche. Ne mancano 3 milioni nel Paese. La Riserva federale non le include. I suoi sistemi non sono adatti.
La crescita di questi ultimi anni e' stata alimentata dalla caduta del dollaro, che ha un po' rigonfiato la nostra competitivita', e dalla bolla della borsa. Ma la caduta del dollaro e' dietro di noi, e la bolla della borsa non contribuisce al consumo delle famiglie se non marginalmente. Questo non e' sostenibile.
D. Che fare per alimentare una crescita sana in Usa?
R. Le strade sono numerose: investire in ricerca, educazione, infrastrutture, favorire l'accesso degli Americani all'insegnamento superiore. Istituire un salario minimo mi sembrerebbe anche una buona strada.
Questi ultimi anni i profitti sono aumentati in modo sproporzionato rispetto ai salari. Questa distorsione di divisione dei redditi e' frutto di ineguaglianza e debilita la potenziale crescita.
Un altro modo per correggerla sarebbe di rendere la nostra fiscalita' piu' progressiva ed equa. Non e' normale che uno speculatore oggi paghi meno imposte di un lavoratore.
D. Perche' il prossimo presidente americano, se sara' un democratico, dovrebbe applicare simili misure se Barack Obama stesso non lo ha fatto?
R. Barack Obama ha commesso degli errori. Ma, dopo, qualcosa e' cambiato in Usa. Numerosi politici, essenzialmente del Senato, ha preso consapevolezza che e' urgente affrontare il problema delle ineguaglianze. Tutti i candidati democratici ne hanno fatto una priorita'.
D. Parliamo un po' di Europa. Il terzo piano di aiuti alla Grecia fara' alla fine uscire Atene dalla situazione attuale?
R. Questo piano e' la garanzia perche' la Grecia si rafforzi in una lunga e dolorosa depressione. Io non sono molto ottimista.
L'unica nuova notizia e' che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e' impegnato ormai per una riduzione del debito pubblico. Questo pero' non ha impedito che i creditori di Atene adottassero un programma di aiuto senza dire una parola sull'argomento.
D. Perche' il debito e' un argomento cosi' sensibile in Europa?
R. Per due ragioni. Il primo e' che c'e' confusione. Il debito e' concepito come un freno alla crescita, mentre, al contrario, esso e' un'assicurazione della futura prosperita' quando serve a finanziare degli investimenti chiave. Gli Europei lo hanno dimenticato.
E per una buona ragione: una parte della destra del Vecchio Continente alimenta questa isteria sul debito al fine di raggiungere lo Stato sociale. Il loro obiettivo e' semplice: ridurre il perimetro degli Stati. E' molto inquietante. Concentrandosi su questa visione del mondo, l'ossessione dell'austerita' e la fobia del debito, l'Unione Europea sta per distruggere il proprio futuro.

(intervista di Marie Charrel pubblicata sul quotidiano Le Monde del 02/09/2015) 
 
 
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