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Come il nostro computer ci manipola. Cookie e consumatori
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Articolo di Redazione
14 aprile 2014 13:33
 
Tutto ha avuto inizio con una geniale invenzione, quella dei cookie. Un semplice codice -per esempio MC1:UID = 6daa554691bd4 f9089dc9d92e5cdadf4- depositato sul vostro navigatore dai siti web che visitate, e alcune pubblicita' cablate appaiono sul vostro schermo.
Chiamati cosi' riferendosi ai biscotti che i ristoranti offrono al momento del conto, i cookie sono apparsi nel 1994, l'anno in cui il web si apre al pubblico. Venti anni dopo, rimane la base della pubblicita' online, un'industria che nel 2013 ha realizzato un giro d'affari mondiale di 102 miliardi di dollari.
Bloccato 108 volte in 3 click
I cookie sono generati da alcune aziende specializzate che li depositano, li raccolgono, li classificano, li analizzano, li aggregano e li rivendono. Servono ad identificarvi, a seguirvi sito per sito, a mantenere le vostre password, a creare i vostri carrelli d'acquisto, a determinare se la vostra navigazione e' lenta o veloce, esitante o determinata, sistematica o superficiale...
Lo scopo e' quello di “creare un vostro profilo”, cioe' creare dei dati personalizzati, immagazzinarli in delle banche dati. In altre parole, per meglio conoscervi per inviarvi dei giusti messaggi pubblicitari al momento giusto e nel giusto formato. Voi potete cancellare i cookie, ma ne arriveranno dei nuovi quanto ricomincerete a navigare. E se li bloccate, la maggior parte dei siti non funzioneranno piu'. Alcuni cookie hanno la vita dura: quelli che sono depositati da Amazon, oggi sono concepiti per durare fino al 2037.
Un'azienda di taglia media riceve 20 trabyte (ventimila miliardi) di dati ogni giorno, e coinvolge 850 milioni di internauti ogni mese, alcuni per centinaia di volte. Si ignora il volume di dati trattati da un gigante come Google, ma si sa che esso possiede piu' di un milione di server nel mondo. Per rendicontare questa realta', i matematici hanno inventato una nuova unita' di misura, il zettabyte (mille miliardi di miliardi).
Profili dettagliati
Per cablare, i pubblicitari creano i cookie con altri dati raccolti su Internet. Il vostro indirizzo IP (Internet Protocol, che identifica e localizza il vostro computer), la vostra abituale lingua, le vostre richieste sui motori di ricerca, il modello del vostro computer e del vostro navigatore, il tipo della vostra carta di credito.. Se voi avete comunicato i vostri dati -facendo un acquisto e compilando un questionario- essi saranno ugualmente sfruttati. Talvolta i vostri dati Internet saranno incrociati con altri, provenienti da un mondo reale -rilevati dalle carte bancarie, ticket delle casse, spostamenti del vostro cellulare...
La societa' Acxiom, specializzata nell'incrocio di cookie e dei dati ottenuti attraverso altri mezzi, vende alle aziende pubblicitarie dei profili calcolati in base a 150 criteri, tra i quali “cucire”, “ospitare un genitore anziano” o “possedere un gatto”. Un file con i dati di base di mille persone, e' venduto in media a 60 centesimi, ma il prezzo puo' salire a 250 euro per dei profili dettagliati -come, per esempio, per un laboratorio farmaceutico, una lista di adulti obesi che hanno gia' acquistato dei prodotti per dimagrire. Questi dati sono resi anonimi poiche', per cablarvi, i computer non hanno bisogno del vostro nome -e' sufficiente la conoscenza dei vostri guadagni, la vostra lista dei desideri, i vostri bisogni, il vostro sesso, la vostra eta', il vostro mestiere, i vostri passatempi, la vostra origine etnica, il vostro codice postale, le vostre malattie, la vostra situazione famigliare, la vostra abitazione, la vostra automobile, la vostra religione, i vostri viaggi...
La cablatura serve a modificare il prezzo di un prodotto in funzione del vostro profilo. Quando un sito di viaggi vede che voi consultate un comparatore di prezzi, abbassa i propri prezzi per allinearsi a quelli dei suoi concorrenti, salvo poi recuperare il dovuto sulle “spese del servizio”. Se voi vi connettete con un computer del valore di 3.900 euro, il sito vi proporra' delle camere d'albergo piu' costose che non se vi connettete con un computare che vale 300 euro. La libera scelta del consumatore, apparentemente moltiplicata grazie alla potenza dell'informatica, pare infatti diminuita. L'uomo informatizzato avrebbe accettato di farsi dominare dalle macchine, con il solo scopo di fare degli acquisti in modo meno faticoso?
“Noi consentiamo che le tecnologie ci modellino”
Il filosofo William Bates, professore di storia delle tecnologie all'Universita' della California, a Berkeley, evidenza come i professionisti delle grandi aziende di dati mettono in moto una caratteristica essenziale dell'essere umano: “Ci fanno comprendere che noi non controlliamo piu' il nostro comportamento e, in un certo senso, hanno ragione. Statisticamente, gli umani reagiscono in un modo molto prevedibile in alcune situazioni, in base a dei meccanismi cerebrali che non conoscono”.
Una situazione che amplifica l'accelerazione dell'innovazione: “Da un lato le tecnologie dell'informazione influenzano il nostro cervello: noi non pensiamo piu' nello stesso modo delle generazioni precedenti -sottolinea Bates. Dall'altro lato, pochissimi di noi, compresi i giovani, comprendono come funziona un computer. Noi consentiamo che le tecnologie ci formino, ma non abbiamo ancora creato degli strumenti intellettuali che ci aiutino a comprendere cio' che ci arriva”.
Il filosofo, tuttavia, relativizza questa angoscia esistenziale: “Dall'inizio della civilizzazione, gli umani si sono formati attraverso la cultura, con la quale si sono evoluti, e quindi attraverso la tecnologia che ne e' parte. E' quello che ci distingue dagli animali. Sarebbe naif credere che il cervello umano fosse una volta piu' 'naturale' o piu' 'libero', e che le nuove tecnologie ci avrebbero fatto perdere il controllo di qualche cosa”.
Per influenzare i nostri cervelli, i pubblicitari dispongono di una enorme potenza di calcolo. Usano dei matematici per progettare gli algoritmi, degli sviluppatori per tradurli in linguaggio informatico, degli ingegneri per costruire l'architettura di base dei dati, degli analisti per capire e sfruttare i dati...
Algoritmi che apprendono da soli
Il settore sta gia' vivendo una nuova rivoluzione grazie ai continui progressi tecnici. L'ultima moda e' “l'analisi predittiva”: invece di reagire ai comportamenti degli internauti, i pubblicitari vogliono prevederli, si' da agire anticipandoli. Per questo fanno riferimento ad una dottrina ancora sperimentale: la “machine learning”, o apprendimento automatico, una branca dell'intelligenza artificiale. Si tratta di dotare i computer della capacita' di migliorare le loro performance senza un intervento umano.
Se una sera, verso le sei del pomeriggio, il programma rileva che gli abitanti di una citta' utilizzano meno Internet rispetto a quanto fanno di solito, modellera' i messaggi pubblicitari di conseguenza. Ancora meglio: ben presto il sistema potra' constatare, consultando un sito di traffico stradale, che un grosso imbottigliamento blocca quella citta', e dedurre che gli abitanti arriveranno a casa loro in ritardo, situazione che fara' calare il loro uso di Internet...
Le esperienze si moltiplicano. Il matematico Erick Alphonse, dell'Univesita' di Parigi-XIII, ha messo a punto un sistema chiamato “Predictive Mix”. Ha studiato due campioni di internauti: uno vedra' un banner pubblicitario apparire sul proprio schermo, l'altro no. Comparando il tasso di acquisto del prodotto da parte di ogni gruppo, riesce a quantificare l'efficacia del messaggio.
In base a questi primi risultati, “Predictive Mix” ripartisce i profili in quattro gruppi. L'internauta che acquista un prodotto senza vedere della pubblicita' e' un “prigioniero”: inutile usare dei soldi per convincerlo; quello che acquista quando non vede della pubblicita', ma cessa di acquistare quando la vede, e' un “refrattario”: e' bene lasciarlo tranquillo; quello che non acquista mai niente, e' da dimenticare -troppo difficile convincerlo; infine, quello che non compra niente se prima non vede della pubblicita' ma si mette ad acquistare quando la vede, e' un “recettivo”, l'obiettivo piu' degno di interesse.
Tappa successiva, il computer compara il campione dei “recettivi confermati” con il totale delle persone contenute in un database. Tutti gli internauti il cui profilo e' simile a quello dei “recettivi” saranno a loro volta classificati come tali. E il pubblicitario eliminera' dalla sua campagna gli altri tre gruppi. “Grazie a questo cablaggio raffinato -spiega Erick Alphonse- il pubblicitario spende meno soldi, poiche' acquista meno spazi e realizza un migliore ritorno dai propri investimenti”
Tassonomia del web
Un'altra azienda, la Weborama, si e' lanciata in una avventura piu' sporca: sfruttare il “web delle parole”. Grazie a dei programmi robottizzati, raccoglie i testi pubblicati in un vasto numero di siti e di forum. A partire da questi dati rozzi, i linguisti di Weborama hanno estratto un lessico di seimila termini che possono essere utilizzati nell'ambito della pubblicita'.
In un secondo tempo, i matematici organizzano il web come uno “spazio metrico”: calcolano la distanza relativa tra le parole, rispetto al fatto che siano piu' o meno associate nella medesima frase. Poi mettono insieme queste parole in 177 gruppi tematici -assicurazioni, giochi d'azzardo, alimentazione, sport, animali domestici.. Il proprietario di Weborama, Alain Levy, riassume cosi' il suo approccio: “Questa tassonomia diviene la nostra visione del web. Il riferimento non e' piu' il sito, ma la parola”.
Si passa cosi' all'aspetto commerciale. Grazie ad alcuni accordi con delle agenzie, Weborama mette dei cookie a milioni di navigatori. Poi li segue attraverso il web e raccoglie le parole pubblicate su tutti i siti che visitano: “Ad ogni profilo viene cosi' attribuito il proprio ambito di parole che gli appartiene”. I computer in seguito progettano degli ambiti sulla base dei dati contenuti nei gruppi di parole, e attribuiscono ad ogni profilo un riferimento per ogni categoria.
Crescendo i riferimenti -per esempio 13 su 14 (il massimo) per le parole associate alla moda, 12 per il design, ma solamente 2 per lo sport, 1 per le automobili- Weborama puo' dire all'inserzionista cosa c'e' dietro ogni cookie: “Ci sara', per esempio, una donna di 39/49 anni, appassionata di moda, indifferente allo sport. Essa non avra' interessi per alcuni messaggi pubblicitari e, al contrario, lo avra' per altri. Un'azienda di moda sara' interessata a pagare due euro per ogni pubblicita' sul suo schermo”. Weborama possiede ad oggi 62 milioni di profili per la Francia -ci sono anche dei doppioni, poiche' la medesima persona puo' utilizzare diversi apparecchi (computer, smartphone, tablet). L'aggiornamento e' continuo, ogni click attiva nuovi calcoli.
Ultima speranza
L'analisi predittiva invade tutti i settori d'attivita'. Delle start-up si creano per facilitare la migrazione di queste nuove competenze verso le industrie tradizionali. In Francia, la societa' Dataiku ha messo a punto un programma informatico che permettera' a delle persone che non hanno una formazione in tal senso, di attivarsi nella gestione di base dei dati per l'analisi predittiva: “I nostri clienti potenziali -dice Florian Douetteau, proprietario di Dataiku- sono le industrie che posseggono stock di dati che non utilizzano, e che intendono sfruttarli per risolvere una serie di loro problemi”. Viene citato come esempio un gestore di parchimetri che intende, a partire dai dati sul parcheggio, creare dei modelli per la circolazione viaria in diverse citta'.
L'ultima speranza dei ricercatori e' che il computer dia dei significati a dei dati diffusi e caotici, archiviati alla rinfusa. Scoprendo dei modelli e delle correlazioni che nessun umano potrebbe immaginare, il computer risponde a delle domande che nessuno di loro ha posto.
Da qui, il dibattito sull'esistenza di una “intelligenza” di alcuni computer che apprendono da soli, e' gia' obsoleto. Per i professionisti del settore, l'importante non e' sapere se la macchina funziona come un cervello umano, ma prendere atto che essa ottiene, attraverso differenti vie, dei risultati uguali o superiori a quelli che avrebbe ottenuto un umano,
Rispetto al rapporto tra l'umano e la macchina, diversi pensatori americani l'anno riassunto in una domanda che ognuno dovra' ben presto porsi: la vostra capacita' di fare e' complementare alla capacita' di fare del vostro computer, o quest'ultimo fa un lavoro migliore senza di voi? Di fatto, i matematici hanno cominciato a distruggere alcuni mestieri della pubblicita', analisti, media-planing, etcc. C'e' da sapere se la crescita della potenza di queste tecniche sempre piu' invasive provochera' una reazione da parte di chi vi viene coinvolto.
Strategia di autodifesa
Il filoso William Bates ricorda che niente e' mai definitivo: “Il fatto stesso che il nostro cervello sia malleabile, significa che la tecnologia non ci predetermina del tutto. In alcuni momenti storici, noi possiamo decidere su cio' che ci accadra'. Ma per farlo occorre riflettere ed agire. Tuttavia, puo' darsi che sia cio' che ci spaventa di piu'. Se decidiamo che l'innovazione e' divenuta incontrollabile, e' meglio che ci tiriamo fuori da ogni responsabilita'”.
Melanie Swan, una creatrice di start-up californiana che si definisce come una “filosofa della tecnologia”, fa presente che diversi internauti cominciano a definire strategie di auto-difesa: “Sparpagliano i propri dati su diversi siti -le foto presso di uno, le E-mail presso un altro, le richieste presso un terzo- sperando che nessuna di queste societa' potra' definire un loro profilo completo. Questo comportamento e' indice di una “proto-sensibilita'” a questo problema. Sentono che qualcosa non va, ma rimangono impotenti. Ma il tutto sta per cambiare”.
Secondo Melanie Swan, in Usa si sta assistendo alla nascita di un movimento intellettuale che intende stimolare gli internauti perche' divengano soggetti attivi in questa questione: “Quando lasciamo che un'azienda si impossessi dei nostri dati personali, noi facciamo una transazione, noi liberiamo una materia prima che ha un valore. Oggi noi non abbiamo nessun potere di negoziazione, noi accettiamo le condizioni imposte dall'azienda”. La soluzione e' evidente: “Credo che gli internauti debbano unirsi e organizzarsi per difendere i propri interessi in quanto fornitori di dati. Per questo, bisogna riferirsi ad alcune associazioni di difesa dei consumatori, o anche a dei sindacati di lavoratori. Solo una risposta collettiva e solidale potra' ristabilire l'equilibrio”. Se gli internauti riescono a modificare il rapporto di forza con le aziende, essi potrebbero esigere di essere pagati per i loro dati, o imporre delle condizioni e delle restrizioni per il loro uso. Per i pensatori della Silicon Valley, questa strategia sara' senza dubbio piu' efficace rispetto alle leggi imposte dagli Stati, spesso in ritardo.

(tratto da un articolo di Yves Eudes, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 14/04/2014)
 
 
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