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Il controllo di Internet favorisce l'autocensura delle minoranze. Studio
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Articolo di Redazione
1 aprile 2016 14:31
 
“Io non ho niente da nascondere”. Questo argomento, sostenuto da numerosi partigiani della sorveglianza da parte dei Governo, sembra non essere proprio come dovrebbe grazie ad un nuovo studio. Pubblicato nell'edizione di marzo della rivista “Journalism & Mass communication quarterly” -e quindi dopo le ultime rivelazioni di Edward Snowden sull'ampiezza di questa sorveglianza messa in atto dalla National Security Agency (NSA) americana, essenzialmente attraverso Internet- esso si concentra sul fatto che la sorveglianza di massa sugli internauti, spinge gli stessi ad autocensurarsi.
Per studiare questo fenomeno, la ricercatrice Elizabeth Stoycheff, dell'Universita' di Wayne State a Detroit, in Michigan, ha analizzato 255 persone a cui ha fatto riempire un questionario. Per la meta' dei partecipanti, questo questionario era affiancato da un messaggio che ricordava che “anche se noi facciamo tutto quello che e' in nostro potere perche' le vostre opinioni restino confidenziali”, e' importante considerare che la NSA sorveglia le attivita' in linea dei cittadini, cosa che e' al di fuori del nostro controllo”.
Tutti i partecipanti hanno dovuto rispondere a delle domande sulla loro personalita', che poi sono state confrontate con un testo pubblicato su Facebook che riprende un articolo della stampa su come vengono intraprese le iniziative americane contro l'organizzazione Stato Islamico in Iraq. Essi dovevano poi fornire la propria opinione sulla materia, dire cio' che ritenevano fosse l'opinione diffusa tra gli americani, e se contavano di condividere il proprio punto di vista in materia.
Le idee minoritarie “minacciate”
Risultato, le persone a cui e' stata ricordata la sorveglianza di Stato erano meno inclini a parlare delle loro idee nel caso in cui le consideravano non conformi all'opinione maggioritaria. Stessa cosa anche tra i partecipanti che, secondo il loro profilo psicologico, erano meno soggetti all'autocensura.
Piu' eclatante, pero', il fatto che le persone piu' propense ad autocensurarsi sono quelle che, in assoluto, sostengono i programmi di sorveglianza. Si legge nello studio:
“Questi soggetti hanno indicato che la sorveglianza era necessaria per la sicurezza pubblica e che loro non avevano niente da nascondere. Ma, quando questi soggetti hanno percepito di essere sorvegliati, hanno di conseguenza modificato il proprio comportamento: essi esprimevano la loro opinione quando la stessa era maggioritaria e non lo facevano quando invece non lo era”.
Queste conclusioni sono coerenti con la teoria della “spirale del silenzio”, portata avanti duranti gli anni 1970, che dimostra come i singoli hanno la tendenza a non esprimere il proprio punto di vista se si rendono conto che lo stesso non e' condiviso con i loro pari, e questo per paura di un isolamento. Ma questo ultimo studio da' un nuovo elemento, interessandosi essenzialmente al modo di esprimersi via internet e alla sorveglianza dei Governi: “e' il primo studio che fornisce prove sul fatto che i programmi di sorveglianza dei governi sulle comunicazioni online possono minacciare l'espressione delle idee minoritarie, e contribuire a rafforzare l'opinione maggioritaria”.
Risultati che preoccupano l'autrice dello studio, come lei stessa spiega dalle colonne del quotidiano Washington Post:
“Cio' che mi da' preoccupazione e' che la sorveglianza sembra che instauri una cultura di autocensura, e questo ha come conseguenza di privare l'espressione delle minoranze. Ed e' difficile proteggere e migliorare i diritti di queste popolazioni quando la loro voce non fa parte del confronto. La democrazia si nutre della diversita' di idee, e l'autocensura le fa male”.

(articolo di Morgane Rual, pubblicato sul quotidiano Le Monde le 01/04/2016) 
 
 
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