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COP21 e la presenza delle imprese che inquinano. 'E' come se un'azienda di tabacchi finanziasse un ospedale!'
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Articolo di Redazione
23 ottobre 2015 19:29
 
Nell'ambito del World Conference Center di Bonn, dove si tengono questa settimana i negoziati intermediari in preparazione della COP21, le aziende possono farsi un giretto, con un cartellino di “osservatore” appeso al collo. Che consente loro di accedervi, cosi' come per i sindacati, gli scienziati e le ONG, anche a certi negoziati non necessariamente aperti alla stampa. Guidata dalla ONG Corporate Accountability International, la campagna “Kick Big Polluters Out of Climate Policy” (espellete i grandi inquinatori dai negoziati sul clima) e' stata lanciata ieri 22 ottobre per porre fine all'interferenza delle aziende che producono grandi quantita' di gas ad effetto serra -energetiche, petrolifere, di gas, carbonifere…- sui negoziati climatici sotto l'egida dell'Onu. Jesse Bragg, uno dei portavoce di Corporate Accountability International, che ha tenuto le sue lezioni presso i Democratici americani, ha fatto un parallelo tra la lotta contro le responsabilita' del cambiamento climatico e quella contro l'industria del tabacco, fatta dalla sua organizzazione in passato.

D. Come il settore privato puo' influenzare i negoziati?
R. Le cose accadono soprattutto a livello nazionale, con delle azioni di lobby piu' o meno riservate. Questo succede frequentemente nei Paesi del Nord, in Europa e in Usa. L'impresa carbonifera Peabody Coal, per esempio, lavora strettamente con Alec, the American Legislative Exchange Council (un'organizzazione ultra-liberale a cui fanno capo i parlamentari di alcuni Stati repubblicani e alcune aziende private). Essi sono incredibilmente efficaci, e fanno pressione su tutti i tipi di legislazioni ambientali. Per esempio, in questo momento, stanno attaccando il Clean Power Plan di Obama! Queste loro iniziative hanno un forte impatto sul livello di impegno degli Usa. Ma una delle nostre piu' grandi preoccupazioni e' il “revolving door” (porta girevole) tra gli industriali e i governi a livello nazionale: degli ex-lavoratori dipendenti del settore fossile sono stati assunti al ministero dell'Energia del Paese e, di conseguenza, influenzano le specifiche politiche.

D. E' un'influenza difficile da misurare…
R. La maggior parte di questi scambi si fanno ad occhi chiusi. Ma si possono riguardare certi dati, come le spese in materia di lobbyng in Usa. E poi, certe cose sono difficili da perdere. Per esempio, e' Shell che ha dettato gli obiettivi dell'Unione Europea in materia di energie rinnovabili, come ha rivelato il quotidiano The Guardian. Bisogna prendere un insieme di provvedimenti per diminuire questa influenza del settore privato. In modo da far si' che le politiche ambientali siano fatte per proteggere l'ambiente, e non per aumentare i benefici delle imprese del settore fossile.

D. Conosce altri esempi recenti di influenza delle lobby del settore fossile sui negoziati?
R. Di volta in volta, si riesce ad avere un panorama del fenomeno. Per esempio, il rapporto della settimana scorsa della ONG Influence Map (che mette in evidenza il “doppio linguaggio” delle maggiori aziende di petrolio e gas in materia di politica climatica, ed essenzialmente il baratro tra le loro dichiarazioni pubbliche e le loro reali attivita' di lobbyng). Una simile inchiesta sull'industria del tabacco aveva consentito di rendere pubblici milioni di documenti che rivelavano la loro strategia: essi sapevano che il tabacco provocava il cancro, i bambini erano uno dei loro obiettivi…

D. La sua ONG si e' battuta contro le aziende del tabacco…
R. Nell'ambito delle discussioni sulla Framework Convenction on Tobacco Control, noi abbiamo potuto contribuire alla sicurezza dell'articolo 5.3, una lista di raccomandazioni per far fronte ai conflitti di interesse delle aziende del tabacco che partecipavano alle discussioni sulla legge sulla sanita' pubblica. Questo articolo ha permesso, per esempio, di vietare le “revolving door” e di obbligare alla trasparenza: i politici devono dichiarare se si incontrano con dei rappresentanti dell'industria. Questo articolo 5.3 ha permesso di passare da un semplice trattato di sanita' pubblica ad un trattato di responsabilita' delle imprese. E' questo che ha modificato il funzionamento dell'industria del tabacco. Questa e' una chiave per comprendere come noi possiamo applicare quanto fatto in questo ambito alla materia del cambiamento climatico. Dobbiamo riuscire a far cambiare il funzionamento delle industrie del settore fossile. Perche' in diversi ambiti, esse agiscono impunemente, e facendo degli enormi guadagni sull'ambiente.

D. Lei fa una comparazione tra Big Tobacco con Big Oil?
R. Assolutamente. Se guardate la loro attitudine, le industrie fossili sembrano applicare alla lettera il metodo delle industrie del tabacco. Negli anni 50 e 60, l'industria del tabacco ha fatto della propaganda con della scienza spazzatura, che sosteneva che il tabacco non provocava dipendenza, che non era causa di cancro… L'industria fossile, durante diversi decenni, ha asserito pubblicamente che il cambiamento climatico non era reale, o che non era causato dall'attivita' umana. Essi hanno messo in piedi degli esperti come Willy Soon, uno scienziato americano che -si e' scoperto- era pagato dalle aziende del carbone e del petrolio. Questo ha come risultato di rallentare la presa di coscienza dell'opinione pubblica, e la possibilita' di lottare. Ma io credo che oggi il messaggio sia passato: si sa che il cambiamento climatico e' reale e che noi ne siamo i responsabili. La presenza del settore privato e' incoraggiata dalla presidenza uscente (peruviana) e entrante (francese) della COP, essenzialmente con la “Lima Paris Action Agenda”, una lista di iniziative a favore del clima che provengono dalle collettivita' e dalle imprese.
Ci sono numerosi messaggi, da parte della Segreteria della Convenzione dell'Onu sul cambiamento climatico, per invitare le imprese a far proprie le etichette “verdi”. La Segreteria non e' la sola ad incoraggiare il coinvolgimento del settore privato, ma in un certo modo questo minaccia il lavoro che viene fatto per l'Accordo di Parigi. E questo da' a delle imprese che agiscono in modo catastrofico per l'ambiente, di marchiarsi come “verdi”, e di rendere vane tutte le critiche sulle loro pratiche ambientali.
Total, per esempio, ha proposto delle iniziative nella Lima-Paris Action Agenda. Questo e' molto imbarazzante, se guardiamo le loro azioni in materia di politica ambientale, Ci sono anche delle imprese energetiche, o anche delle grandi aziende del tabacco. E poi, e' un classico metodo di questo tipo di settore: quando la regolamentazione comincia a prender forma, queste industrie si impegnano moltissimo, con lo scopo di evitare regolamentazioni che le leghino e che siano permanenti. Non c'e' da stupirsi che esse siano prossime ad impegnarsi… In virtu' del fatto che non ne sono legalmente responsabili.
Questa influenza del settore privato, e dei grossi inquinatori, sta per istituzionalizzarsi nelle trattative. Se si aggiunge il fatto che la COP21 a Parigi e' sponsorizzata da dei grossi inquinatori.. A Varsavia (nel 2013), dal 3 al 5% della COP era stata finanziata dal settore privato. Parigi lo sara' almeno per il 20%! Con sponsor come Engue, Veolia, Suez… Questo da' all'industria del carbone un accesso privilegiato ai negoziati. In questo contesto, la societa' civile deve mendicare per avere dei piccoli pass d'accesso.

D. Christiana Figueres, la promotrice della Convenction, in una intervista a Libération ha detto che occorre che le aziende del settore fossile siano presenti, perche' esse hanno le competenze, la tecnologia, la capacita' finanziaria…
R. Ok, allora trovatemi un altro ambito dove si chiede alla causa del problema di trovare una soluzione al problema! Non e' stata consultata l'industria del tabacco per sapere come smettere di fumare. Sappiamo che questo non funzionera'. Perche' farlo con il clima, sperando in risultati diversi? Questa idea che ora dobbiamo coinvolgere l'industria fossile, perche' ha le capacita' di potersi poi sbrogliare in seguito, e' un po' sbagliata. E' piu' importante che l'accordo rifletta i bisogni di coloro che sono o saranno colpiti dal cambiamento climatico, e che hanno piu' bisogno di costruire una transizione giusta e durevole. Una volta che questo e' stabilito, si avranno certamente delle occasioni, in futuro, di consultare queste industrie. Ma vederle che scrivono insieme le regole, ora, e' veramente troppo. Avremo solo dei provvedimenti a meta', non all'altezza di cio' che e' in gioco.

D. Cosa cercherete di fare per far uscire queste industrie dai negoziati?
R. La prima tappa e' di mettere in evidenza il conflitto di interessi che rappresenta il fatto di avere le industrie del settore fossile, i grandi inquinatori, alla tavola dei negoziati. In seguito, bisogna che le parti che negoziano riflettano sul tipo di protezione che devono decidere. Per proteggere il tutto da chi vuole affossarlo, malgado tutto quello che queste industrie possono pubblicamente dichiarare.
Le persone sono sempre piu' preoccupate per il cambiamento climatico. Anche in Usa, e' diventato un tema della campagna elettorale per le presidenziali! E' per questo che bisogna essere molto chiari per dire quali sono gli ostacoli sulla strada dell'Accordo di Parigi. L'interferenza dell'industria e' un aspetto. E come se un'azienda produttrice di tabacco finanziasse un ospedale! Esse vogliono esserci, far vedere che si preoccupano di quanto accade. Ma noi sappiamo che non hanno alcun interesse a limitare i propri profitti.

(intervista di Isabelle Hanne, pubblicata sul quotidiano Libération del 23/10/2015) 
 
 
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