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Il crimine ostacola l'economia mondiale. Sconfiggere la poverta' per eliminarlo
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Articolo di Redazione
8 novembre 2015 17:28
 
Per 50 anni, Meyer Lansky e' stato l'uomo ombra che ha gestito le finanze del crimine organizzato in Usa. Ispiratore del personaggio di Hyman Toth nella seconda parte del film Il Padrino, Lansky era indiscutibilmente un genio per gli affari, i suoi come quelli degli altri. Un agente della FBI affermo', non sena ammirazione: “Se fosse stato onesto, avrebbe potuto diventare l'amministratore delegato della General Motors”.
La storia di Lansky permette di azzardare due conclusioni. La prima e' che il crimine e' un business globale che muove migliaia di milioni di euro; la seconda e' che il crimine e' un pericolo per tutta l'economia: sia per gli affari che si devono fare, sia per le spese che obbliga a fare o, come nel caso del mafioso statunitense, per il talento che avrebbe potuto essere utilizzato in un miglior modo.
Ma, quanto costa il crimine al Pianeta? E' un problema con diversi aspetti e con tanti fattori occulti su cui anche i maggiori esperti hanno diversi dubbi. “Se uno comincia a tirare le somme, risulta una importante percentuale del Pil, ed e' impossibile da qualificarlo tutto”, spiega per telefono Alys William, specialista dell'éqipe di prevenzione della violenza e coesione sociale della Banca Mondiale. “L'effetto del crimine sull'economia e' stato considerato solo a partire da poco tempo. Solo 15 anni fa si pensava a calcolare solo quanto veniva a costare la violenza, Pero' sta crescendo una tendenza che questo sia un fattore importante per lo sviluppo”.
In questo si avventura l'istituto per l'economia e la Pace (IEP), un'organizzazione non governativa fondata da un impresario informatico, l'australiano Steve Killelea. Nella sua ultima nota informativa, l'IEP stima che nel 2014 il Pianeta ha perso 3,3 miliardi di dollari (qualcosa come il 4,2% del Pil globale) per combattere l'insicurezza interna: due miliardi di perdite per gli effetti del crimine e altri 1,3 miliardi in spese di sicurezza non militari.
E evidente la difficolta' di generalizzare i dati, poiche' la maggior parte degli studi sul tema sono regionali o settoriali. Un'analisi del 2010 del think-tank Center for American Progress, calcolava che solo in Usa, i costi diretti di quattro crimini (assassinio, violazioni varie, aggressione e furto) erano di 42.000 milioni di dollari, 137 dollari per ogni statunitense. In Thailandia, un'indagine ha stimato che ogni caso di violenza costava direttamente al contribuente 65 euro per spese di sanita' pubblica -che si accumula per ridurre l'equivalente del 4% del bilancio sanitario del Paese- e circa 700 euro in perdita' di produttivita'.
Tra i 10 Paesi col maggior tasso di omicidi al mondo, secondo la Banca Mondiale, otto sono nel continente americano. E in tutti questi, gli indici di morte violenta sono equiparabili a quella di Paesi in cui sono in corso guerre civili. “Nell'America Latina e nel Caribe vive meno del 9% della popolazione mondiale, ma si registra il 33% degli omicidi di tutto il mondo”, fa sapere una pubblicazione del Banco Interamericano de Desarrollo (BID) dello scorso ottobre.
“Quello che e' piu' preoccupante (…), e' che e' l'unica regione dove la violenza continua ad essere alta e continua ad aumentare dal 2005”, continua la nota. “Per questo, nella maggior parte dei Paesi della regione, i livelli di violenza sono cosi' alti che l'aumento della violenza si paragona con quello di un'epidemia, secondo gli standard internazionali”. Non e' strano che gli sforzi per evitare le conseguenze economiche del crimine ci concentrino in America Latina. Proprio l'IEP ha prodotto varie note informative che si riferiscono esclusivamente al Messico. “Stimiamo che nel 2014 la violenza e' costata al Messico tre miliardi di pesos (165.000 mila milioni di euro)”, spiega Killelea. “Il 77% di questa cifra viene dagli omicidi e dal crimine violento e organizzato”.
Quanto piu' specifici sono gli studi, piu' chiaramente si possono vedere gli effetti del crimine. Nel 2010, l'Asociación Mexicana de Promotores Inmobiliarios (AMPI), ha detto che solo in quell'anno la violenza aveva impedito affari del valore di 240.000 milioni di pesos (14.650 milioni di euro), l'equivalente del 30% del mercato immobiliare e l'1,6% del Pil. Proprio l'AMPI segnala che durante gli anni piu' duri della violenza nel nord del Paese, le rendite immobiliari erano cascate del 30%.
Poche compagnie vogliono parlare degli effetti del crimine sui propri proventi
“Ci sono tre modi per contabilizzare gli effetti della violenza in economia”, dice Killelea. “I costi diretti sono quelli della polizia, l'amministrazione della giustizia e le spese mediche. I costi indiretti includono le perdite dei salari e della produttivita' per le vittime di un crimine”. Facciamo l'esempio con gli omicidi, che riguardano piu' di 450.000 persone ogni anno, secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanita'. “La maggior parte degli assassinati sono tra i ventenni. E questo significa che sono approssimativamente 40 anni di salari che sono persi dall'economia”. Non c'e' bisogno di aver sperimentato il crimine in prima persona per esserne vittima. “La famiglia, gli amici soffrono il trauma del crimine”, considera Killelea. “La propria mente va, in un modo o nell'altro, alla propria sofferenza, e questo, senza dubbio, compromette la produttivita' lavorativa”.
Golpe alle imprese
L'effetto diretto della violenza si riflette sulle imprese che operano nei Paesi con maggiore tasso di criminalita'. Pochi vogliono parlare della portata che ha il crimine sul proprio business, inclusi coloro che si dedicano alla sicurezza. Quelli che lo fanno, chiedono discrezione. “Vivere in un Paese come questo, ti succhia l'energia”, spiega un impresario spagnolo del settore energetico impegnato in Centroamerica. “C'e' una tensione permanente, perche' ti possono ammazzare per poter usare un telefonino”. Non e' l'unico problema. “E' molto difficile avere crediti, perche' le banche sono spaventate dalla criminalita'”, ricorda. E' piu' difficile ricorrere a fonti di finanziamento di diversa origine, comunque, e' chiaro, dipende dagli interessi che ti coprono”.
Ma per molte imprese il principale problema e' attrarre il talento. “Ad un professionista se gli dici di lavorare in Brasile, o anche in Messico, ci va volentieri”, continua l'impresario. “ Ma se gli dici Honduras o Guatemala… non tanto. Se accetta di venire, ti chiedera' il 50% in piu' rispetto ad un normale espatrio. E alla fine si rendono conto che sono in transito, non portano la famiglia, completano il progetto e se ne vanno”. “Per noi che siamo di qui, la violenza l'abbiamo assimilata”, conferma il responsabile di un'impresa venezuelana del settore automobilistico. “E per chi viene da fuori e' sempre piu' complicato”.
La risposta dei poteri pubblici di fronte alla crisi della sicurezza urbana e' quella di grandi investimenti in polizia, nonostante l'austerita' che molti di questi stessi Governi predicano. Nel 2015, il Messico investi piu' di 8.000 milioni di euro in sicurezza urbana; il governo colombiano ha investito 2.800 milioni di dollari tra il 2013 e il 2015; a El Salvador, lo Stato vi ha destinato nel 2010 il 3,5% del Pil, il doppio della percentuale media dei Paesi dell'Unione Europea. Tuttavia in molti casi pu' denaro non vuole dire maggiore efficienza, ma solo piu' opportunita' di prosperare a spese del denaro pubblico.
I cittadini ne sono consapevoli: secondo il Barometro Globale della Corruzione di Trasparenza Internazionale, elaborato nel 2013 coi dati di 107 Paesi, la polizia, dopo i partiti politici, e' la seconda istituzione che viene percepita come piu' corrotta a livello globale. Secondo un'indagine di Gallup, il 45% dei messicani si fida della polizia locale, di fronte al 70% della Spagna e il 91% della Svizzera.
Questa sfiducia nella polizia obbliga a guardare con un certo sospetto ai dati della criminalita'. Molti crimini vengono commessi ma non denunciati, ed e' quello che si chiama sottostima.
“E' un problema anche nei Paesi sviluppati”, spiega Rodrigo R. Soares, professore della brasiliana Fundación Getulio Vargas e co-autore dello studio del BID. “GLI omicidi possono rappresentare un riferimento piu' preciso per il livello di criminalita', e questo succede solo perche' sono una statistica di salute pubblica e non di polizia”.
Le inchieste su chi e' stato in qualche modo vittima di un crimine, sono piu' precise, ma talvolta piu' costose e meno attendibili. “15 anni fa non si facevano", spiega Soares, “Fortunatamente, ogni volta siamo piu' consapevoli della loro importanza”.
I governi fanno grandi investimenti in polizia nonostante l'austerita'
Comunque, tali indagini sulle vittime di un crimine vanno prese con prudenza. Uno dei motivi che rendono difficile la comparazione tra Paesi, e' la diversa classificazione che un medesimo crimine violento puo' avere in un codice penale o in un altro. Per esempio, un'indagine elaborata dall'Istituto Demoscopia in Costa Rica e Honduras classifica a modo suo un reato come “vandalismo domestico”, “rottura di recinzioni, cancelli e serrature” e “furto e introduzione illecita in domicilio” (facendo differenza rispetto alla presenza o meno di persone in casa), mentre in Cile lo ingloba in un -relativamente- generico “furto con scasso in domicilio”.
La relazione tra violenza, paura e corruzione genera un circolo vizioso. “Oltre un livello di corruzione, e' piu' probabile che le attivita' della polizia facciano crescere la criminalita' invece di farla diminuire”, dice Killelea. "Questo accade quando si rompe la fiducia e quando si danno meno notizie sui crimini”. A volte, la soluzione per un problema puo' generarne un altro. “Ci sono Paesi molto corrotti che non hanno un alto livello di violenza”, fa notare James Shaw, analista dell'UNOCD, l'Agenzia Onu sulla criminalita'. “Paradossalmente, quando in questi casi si mettono in piedi meccanismi per lottare contro la corruzione, la pressione aumenta, i criminali la vivono su di se' per primi e reagiscono davanti a questa pressione con molta violenza. E' per questo che la risposta deve essere integrale”.
Il business privato
Di fronte alla diffidenza verso le forze (cosiddette) dell'ordine, le imprese di sicurezza privata come Prosegur o G4S, la maggiore del mondo, hanno enormi possibilita' di business. Secondo uno studio del 2012 dell'impresa di investigazioni Freedonia, il settore ha previsto, per il 2016, una crescita del 7,4% annuale fino ad arrivare a 244.000 milioni di dollari. La stessa indagine rivela che in Usa e Brasile ci sono i due principali mercati, mentre Cina e India sono i piu' promettenti.
Ma l'esperienza dimostra che non basta. “Mettere una polizia in ogni ambito non sembra essere il miglior metodo per far fronte ai problemi della societa'”, dice Laura Jaitman, editrice dell'informativa del BID. L'indagine dell'IEP coincide: “Non c'e' una correlazione tra numero di polizie e sicurezza”, dice nella sua ultima informativa. “La maggior parte delle spese fatte per contenere la violenza non generano benefici aggiunti di produttivita'”, dice Killelea. “Costruire un carcere puo' costare 200 milioni di dollari, e mantenerlo piu' di 20 milioni di dollari all'anno. Se questo denaro fosse stato speso in innovazione o nei trasporti, ci sarebbero benefici in piu' per l'economia. Crediamo che ogni dollaro speso per la violenza, riduca l'attivita' economica di un altro dollaro”.
L'inefficacia delle”guerre” contro la criminalita' obbliga a indirizzarsi in un altra direzione. “Non c'e' una sfera magica di vetro contro la violenza”, spiega Shawn. “Ae ci fosse stata, molti Paesi gia' l'avrebbero utilizzata in questi anni. Occorre avere un approccio globale, e non solo di polizia: per cui e' necessario coinvolgere altri soggetti dello Stato, come i doganieri, per esempio. E, come presupposto, bisogna coinvolgere la societa' civile”.
Ridurre la poverta' potrebbe essere il primo passo. Uno studio dell'Unita' di Sviluppo della Banca Mondiale su 12.000 imprese in 27 Paesi emergenti, ha valutato positivamente un incremento dell'1% della rendita per abitante reale, che si traduce in 0,3% in meno di perdite per colpa del crimine, una statistica piu' rilevante nelle piccole e medie imprese (-0,33%) che non nelle grandi (-0,21%). “E' evidente che i poveri sono quelli piu' attratti dal crimine”, spiega Jaitman, “Grazie al fatto che hanno meno possibilita' di proteggersi e minor accesso alla giustizia. Per cui, dare maggiore sicurezza ai settori piu' vulnerabili della popolazione deve essere una priorita'”.

(articolo di Thiago Ferrer Morini, pubblicato sul quotidiano El Pais del 08/11/2015) 
 
 
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