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La domanda della regina
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Articolo di Alessandro Pedone
10 dicembre 2014 18:03
 
Se abbiamo imparato qualcosa
dai passati 20 anni è che
c’è parecchia stabilità incorporata
nell’economia reale
- Robert Lucas, 19 Settembre 2007 
 
Nel Novembre del 2008, la Regina Elisabetta, presso la prestigiosa London School of Economics rivolse una domanda apparentemente ingenua: Com'è possibile che nessuno si sia accorto che stava arrivandoci addosso questa crisi spaventosa?
In realtà, un recente studio ha confermato ciò che già diversi studi avevano provato, ovvero: la capacità degli economisti di prevedere i momenti di svolta degli andamenti economici è, per usare un eufemismo, estremamente limitata. Si dovrebbe più correttamente dire che è praticamente nulla poiché sono enormemente superiori le volte che sbagliano rispetto a quelle che ci prendono.
Ci sono casi veramente clamorosi di grandissimi economisti che se ne sono usciti con frasi particolarmente infelici. Irving Fisher, nell'ottobre del 1929 disse che i prezzi dell'azionario sembravano aver raggiunto "un livello stabilmente alto": pochi giorni dopo ci fu il più grande crollo del mercato azionario mai avvenuto prima di allora.
Più recentemente il grande economista Rober Lucas (potrà non dire moltissimo al grande pubblico, ma è uno stimatissimo economista dell'Università di Chicago, quindi di stampo neoclassico) poco prima del crollo dei mutui subprime, nel 2007, scrisse sul Wall Street Journal che era scettico sul fatto che i mutui subprime potessero contaminare l'intero mercato dei mutui e quindi quello immobiliare per condurre poi alla recessione, ed infine scrisse: “Se abbiamo imparato qualcosa dai passati 20 anni è che c’è parecchia stabilità incorporata nell’economia reale”. Complimenti!
In realtà, se abbiamo imparato qualcosa in questi ultimi 20 anni, è che gli economisti, in particolare quelli allineati con il pensiero economico attualmente dominante, cioè quello neoclassico, non hanno ancora sviluppato un paradigma in grado di spiegare l'andamento economico che sia anche solo lontanamente affidabile ma soprattutto, almeno, aderente con le evidenze empiriche.
 
Il pensiero economico dominante ha un problema strutturale: è basato su alcuni assunti non solo non verificati dai i fatti, ma che i fatti smentiscono chiarissimamente.
L'assunto base di tutta la teoria economica neoclassica è che, in presenza di mercati liberi, vi sia una tendenza naturale all'equilibrio (un esempio è il modello di Arrow e Debreu). Un altro assunto di base è quello della aspettative razionali degli agenti economici. Entrambi questi due assunti sono stati demoliti dai successivi studi effettuati negli ultimi 40 anni, ma il pensiero economico dominante continua ad ignorare la realtà ovvero: è l'instabilità (e non l'equilibrio) l'assunto dal quale partire per analizzare l'economia ed in particolare i mercati finanziari.
 
Paradossalmente l'economia moderna ha cercato di imitare la fisica creando dei modelli teorici ricchi di inutili formule matematiche (inutili perché basate su assunti smentiti dai fatti), ma la fisica moderna avrebbe molto da insegnare all'economia se solo smettesse di venerare il totem dell'inesistente “equilibrio dei mercati”.
Il mercato è un sistema complesso composto da una moltitudine di relazioni fra agenti che sicuramente non prendono le decisioni solo sulla base di presunte aspettative razionali. Ma la caratteristica centrale di queste relazioni fra agenti economici è la presenza di così dette “retroazioni positive e negative”. Detto in parole molto semplici, le azioni degli agenti economici influenzano le stesse azioni di altri agenti economici. Ad esempio, il fatto che qualcuno venda forti quantità di un titolo tende a far sì che altri siano spinti a fare la stessa cosa e viceversa. Oppure, il fatto che la gente non compri beni e servizi tende a far sì che anche altri si comportino allo stesso modo. Questa caratteristica è tipica dei sistemi complessi e ciò determina che sia impossibile pretendere di studiare tali sistemi applicando equazioni lineari. A causa della presenza di molti effetti di retroazioni e del grandissimo numero di agenti che caratterizza i nostri sistemi economici moderni è fisicamente impossibile che il sistema tenda all'equilibrio.
 
Pochi sanno che il grandissimo matematico francese Benoit Mandelbrot si è dedicato molto, già all'inizio degli anni '60 allo studio dei prezzi delle attività finanziarie (in particolare i prezzi del cotone) utilizzando le nuovissime (per allora) tecnologie informatiche. Mano a mano che la potenza dei calcolatori aumentava, molti altri studi hanno proseguito le geniali intuizioni di Mandelbrot ed oggi abbiamo modelli teorici di funzionamento dei mercati finanziari alternativi, non basati sul concetto di equilibrio, e molto più aderenti alla realtà, ma che non trovano diffusione (se non in ambiti molto ristretti) a causa del fatto che contraddicono alla radice il modello teorico dominante.
Poiché la nostra teoria economica dominante è basta su assunti totalmente sbagliati, è ovvio che non sia in grado di fare nessuna previsione realmente utile.
 
Ma perché, si potrebbe domandare qualcuno, se la teoria dominante è chiaramente sbagliata, continua ad essere dominante? La domanda è estremamente interessante e ci porterebbe molto lontano. La risposta ha a che fare con il modo con il quale viene valutata e premiata l'attività accademica e di ricerca non solo in Italia, ma nel mondo. Non è questa la sede per approfondire questo problema, qui ci premeva invece sottolineare come la nostra società abbia un problema molto grande: il modello teorico prevalente con il quale studiamo l'economia è strutturalmente sbagliato.
 
Sarebbe il caso che alla Regina d'Inghilterra si fornisse, finalmente, una risposta pienamente veritiera.  
 
 
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