testata ADUC
E' necessario smettere di separare il clima dal mondo reale. Dal protocollo di Kyoto a Parigi
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Redazione
18 febbraio 2015 11:35
 
Dieci anni fa, il 16 febbraio 2015, e' entrato in vigore il protocollo di Kyoto, che ha imposto per la prima volta una serie di riduzioni di emissioni di gas con effetto serra ai Paesi del Nord del mondo. Il primo periodo di applicazione, fino al 2012, nel bene e nel male ha registrato un calo delle emissioni da parte di alcuni Paesi sviluppati, ma ha registrato anche l'esplosione delle emissioni da parte dei Paesi emergenti, Cina in testa. In un'opera pubblicata in questi giorni (Governare il clima?, Presses de Sciences Po, 750 pagine, 23 euro), il sociologo Stefan Aykut e lo storico delle scienze Amy Dahan tornano sulla storia del protocollo, ma anche su due decenni di negoziazioni climatiche, oggi in fase di stallo e che attendono un nuovo impulso dalla conferenza sul clima che si terra' a Parigi nel prossimo dicembre.

Come e' stato negoziato il protocollo di Kyoto?
Amy Dahan. Le trattative che hanno dato vita al protocollo di Kyoto sono cominciate alla fine degli anni 1980. La tappa piu' importante e' stata l'adozione di una convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici al Summit della Terra a Rio, nel 1992. La comunita' internazionale ha cominciato a considerare il surriscaldamento come un problema serio e la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra come un fardello che occorreva dividersi. Il maggiore elemento del protocollo e' che i Paesi del Nord vi sono stati costretti, nel corso del primo periodo di impegno, che andava dal 1990, l'anno base per calcolare le riduzioni, fino ad un periodo oscillante tra il il 2008 e il 2012. Per i Paesi del Sud, il protocollo sarebbe stato soprattutto un mezzo per familiarizzare con un problema nei confronti del quale non prestavano ancora particolare attenzione durante gli anni 1990.
Stefan Aykut. Il braccio di ferro che ha segnato il promo ciclo di negoziati e' stato tra Usa ed Europa. Il primo ciclo, tra il 1992 e il 1996, ha visto l'opposizione di grandi approcci. Uno, essenzialmente difeso dall'Europa -soprattutto Germania e Gran Bretagna- consisteva nell'assegnare, “dall'alto”, alcuni obiettivi, per ognuno, di abbassamento delle emissioni. L'altro, sostenuto da Paesi come Giappone e Usa, consisteva nel lasciare a ciascun Stato di fare delle proposte di riduzione, il ruolo di governance climatica era quello di semplicemente controllare e ricordare agli Stati, a intervalli regolari, il loro impegno. Oggi, e' questo approccio “al ribasso” che torna in auge nella diplomazia climatica. Ma a suo tempo, il protocollo di Kyoto ha marcato la vittoria dell'approccio vincolante, “verso l'alto”, quello voluto dall'Europa. Questa vittoria pero' e' stata ottenuta pagando il prezzo di importanti concessioni.
Quali sono queste concessioni?
A.D. Per esempio, l'Europa ha ceduto sugli strumenti economici utilizzati. L'Unione preferiva una tassa sul carbone, ma essa era incapace di imporla al proprio interno. Gli Usa hanno allora imposto dei meccanismi flessibili, basati sul mercato, come la possibilita' di acquistare o di vendere dei permessi per le emissioni, o la possibilita' data ai Paesi del Nord di ridurre le proprie bollette di CO2 investendo nei Paesi del Sud, per svilupparvi dei “progetti di sviluppo pulito”, con poche emissioni di gas ad effetto serra. Il problema e' che gli Usa, che hanno imposto questi strumenti, hanno si' firmato il protocollo, ma non lo hanno mai ratificato. Tutti il sistema Onu organizzato nell'ambito del clima, non ha mai realmente preso atto di questo ritiro degli Usa. E' stato considerato che ci sarebbe necessariamente stato un ritorno. Ma in realta', tutta la governance climatica e' diventata piu' fragile, e poco credibile.
E' l'unico buco dell'accordo?
S.A. No. Almeno fino ad oggi, la governance climatica non ha significato una presa d'atto reale sulle profonde cause del problema climatico. Il surriscaldamento e' il risultato di una certa forma di mondializzazione e di liberalizzazione dell'economia che si e' imposta negli anni 1980 e 1990, su cui e' stato determinante anche il percorso seguito dai Paesi in via di sviluppo. La questione non e' quindi quella di definire dei limiti alle emissioni mettendo in linea delle cifre astratte come il limite dei 2 gradi. Ma di sforzarsi a pensare e definire un'economia mondializzata e un modo di sviluppo che dovrebbe essere parco nel carbone. Ora, l'organizzazione dell'economia mondiale si gioca su delle piazze come l'Organizzazione mondiale del Commercio (OMC), dove non e' questione di clima...
Oggi, per esempio, non e' possibile prendere delle misure protezioniste per dei problemi climatici. Altro esempio: quando si parla oggi di cio' che sara' deciso alla conferenza di Parigi a dicembre, parallelamente si discute del trattato transatlantico di libero scambio, che non si preoccupa del clima ma determinera' una parte del surriscaldamento nei secoli a venire. Questo iato l'abbiamo chiamato “scisma di realta'”. Occorrerebbe cessare di separare la questione climatica dal mondo reale.
A.D. Si nota anche che che il protocollo non dissuade dal venire fuori dal meccanismo. Il Canada lo ha lasciato nel 2011 e non e' incorso in nessuna sanzione. Diversi Paesi, come Giappone e Nuova Zelanda, non si sono reimpegnati per il periodo 2013-2020, e senza conseguenze.
Il protocollo di Kyoto e' servito a qualche cosa?
S.A. Se si guardano le emissioni di diossido di carbone a livello mondiale, e' chiaro che ha contributo a ridurle. La riduzioni di emissioni da parte dei Paesi del Nord sono state largamente compensate da quelle dei Paesi emergenti, che oggi emettono molto di piu', anche se le emissioni per abitante sono ancora inferiori al livello del Nord. Nel contempo, il protocollo di Kyoto e le conferenze climatiche annuali hanno dato visibilita' al problema climatico.
La questione climatica ha contribuito a ridisegnare la diplomazia mondiale?
A.D. Il modo in cui' e' stata posta, dagli anni 1990, ha contribuito a dividere il mondo in due: il Nord da un lato e il Sud dall'altro. E' scritto nero su bianco! Ancora oggi si constata che e' difficile venir fuori da questa contrapposizione, anche se la stessa si e' evoluta: la Cina non e' piu' quella che era negli anni 1990, ma continua in una certa misura ad orchestrare il risentimento dei Paesi piu' poveri.

(Domande raccolte da Stéphane Foucart, pubblicate sul quotidiano Le Monde del 18/02/2015)
 
 
ARTICOLI IN EVIDENZA
 
AVVERTENZE. Quotidiano dell'Aduc registrato al Tribunale di Firenze n. 5761/10.
Direttore Domenico Murrone
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS