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Perche’ alcuni negano i risultati della scienza
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Articolo di Redazione
29 dicembre 2016 15:05
 
 In una recente cronaca sul quotidiano Le Monde dedicata al concetto di post-verita’ nelle scienze dell’ambiente, Stéphane Foucart ricorda che notoriamente si trova, tra le grandi figure dei negazionisti sui cambiamenti climatici, dei ragguardevoli scienziati -in generale non addetti alle scienze del clima. La questione spesso posta in materia e’ la seguente: come e’ possibile che dei ricercatori adepti alla metodologia scientifica e capaci di leggere le pubblicazioni nelle riviste specializzate rifiutano di accettare i risultati e gli elementi di prova eclatanti raccolti dai loro colleghi climatologi?
La questione non e’ circoscritta ad alcuni refrattari -alcuni dei quali adorano mettersi nella posizione di un Galileo solo contro tutti- ma si estende a tutti quelli che la scienza non convince. Sara’ facile, e anche comodo, che solo le persone che hanno poca familiarita’ con le scienze, male informati o disinformati soccombono alle sirene di quelli che io chiamo i “negazionisti della scienza”, sia che si tratti di negazionisti sul cambiamento climatico, creazionisti o convinti che l’Aids non e’ causato dall’Hiv. Non e’ cosi’ che le cose sono in realta’. Come lo ricorda Dan Kopf in un articolo comparso sul sito web Quartz, le conoscenze scientifiche hanno scarso peso per coloro che credono al creazionismo o sono negazionisti sul cambiamento climatico.
Dan Kopf si riferisce al lavoro di Dan Kahan e in particolare ad un lungo studio che questo specialista del comportamento all’Universita’ di Yale ha pubblicato nel 2014 sulla rivista Advances in Political Psychology. Dedicato alla difficolta’ di far passare nella popolazione i risultati della ricerca sul clima, questo lavoro fornisce essenzialmente il grafico che segue, che descrive l’adesione di un gruppo di americani all’idea che esistano “solide prove” per dire che il riscaldamento climatico e’ “principalmente” causato dalle attivita’ umane come l’uso di energie fossili.



In ognuno dei due grafici, piu’ si va verso destra, piu’ la cultura scientifica dei partecipanti e’ alta. Il grafico di sinistra mostra il risultato globale, sull’insieme del campione: si vede che l’adesione ad un riscaldamento climatico dovute a cause antropiche aumenta lentamente ma sicuramente con le conoscenze della scienza. La curva passa da un po’ piu’ del 30 a circa 60%. Niente di particolarmente spettacolare. Questa cambia se si dividono i partecipanti in funzione delle loro opinioni politiche, come e’ presentato nel grafico di destra. Si scopre che, presso gli elettori democratici (curva blu), l’adesione si impenna con l’acquisizione delle conoscenze scientifiche. Presso i repubblicani (curva rossa), essere informati sulle scienze non produce lo stesso effetto, al contrario: piu’ si ha una cultura scientifica, piu’ si hanno possibilita’ di essere negazionisti sul cambiamento climatico.
Dissonanza insopportabile
Come sottolinea Dan Kahan nel suo studio, questa separazione spettacolare delle curve non si produce che per questioni politiche sensibili, come il riscaldamento climatico o l’evoluzione della specie umana a partire dalle specie animali piu’ antiche. Al contrario, quando si domanda agli intervistati se l’elettrone e’ piu’ piccolo o piu’ grande di un atomo o il nome del gas piu’ presente nell’atmosfera (l’azoto), la dicotomia sparisce, le curve blu e rossa si uniscono e la cultura scientifica predispone bene per dare la risposta giusta. Per il ricercatore della Yale, quello che conta nell’adesione o meno ai risultati della scienza, e’ prima di tutto il fatto di sapere se questa ci fa uscire o meno dal nostro gruppo culturale. Se questa adesione ci esclude dalla famiglia con la quale noi ci sentiamo in comunione di idee, e’ probabile che non ne prenderemo il rischio perche’ questa dissonanza cognitiva sarebbe difficilmente sopportabile.
Questi lavori non fanno che confermare la capacita’ dello spirito umano ad abbracciare le piu’ incredibili teorie per evitare che non siano distrutte le principali idee che le strutturano. Esistono numerosi esempi, ma quello che io preferisco e’una storia di astronomi in cui e’ coinvolto un oggetto volante non identificato. E’ un canadese, John Wooley, che la racconta e mi permetto di riportarne qui dei larghi estratti… La storia risale alla meta’ degli anni 1970, epoca alla quale John Wooley lavorava nel gruppo di astrofisici dell’Universita’ di Alberta. Un finanziamento era stato ottenuto per dotare l’osservatorio di un nuovo telescopio e il vecchio strumento era stato installato sul tetto di un alto palazzo per dei corsi o delle sessioni di astronomia aperti al pubblico. Una sera John Wooley ed uno studente contemplavano il cielo ad occhio nudo, quando un volo di quattro UFO, uscito dal nulla, passo’ sopra di loro prima di sparire subito dopo.
“Gli UFO erano tondi e bianchi, si ricorda John Wooley, e volavano a forma di rombo: uno davanti, due sui lati ed uno che chiudeva il gruppo. Hanno percorso velocemente 90 gradi di cielo in meno di tre secondi”. I due uomini si sono scambiati alcune parole:
Studente: Ah, hai visto questo?
Wooley: si’, l'ho visto.
Studente: okay, che cos’e’?
Wooley: Non lo so, ma teniamo gli occhi aperti, Puo’ darsi che ritornino.
E i due uomini si misero a scrutare il cielo, non piu’ per guardare le stelle, ma per cercare cio’ che avevano visto prima, cioe', nel senso letterale dell’espressione, degli oggetti volanti non identificati. Ognuno dei quali misurava un quarto di grado, ed erano separati gli uni dagli altri di circa 5 gradi ma, in quel cielo senza nuvole, niente permetteva di stimare la distanza alla quale essi si trovavano. Cioe’, se erano molto vicini e piccoli, in quel caso la loro velocita’ era relativamente modesta, se erano lontani, voluminosi e molto veloci. John Wooley e lo studente avrebbero potuto domandarsi per tutta la loro vita che cosa avevano visto. Ma per loro fortuna, i quattro UFO ritornarono. Era quattro piccioni.
“Vedere cio’ in cui si crede”
Ecco l’analisi che John Wooley ha fatto di questa storia: “E’ un caso classico di ‘vedere cio’ in cui si crede’. C’e’ la tendenza a considerare l’informazione che viene dai nostri sensi come se fosse passata attraverso dei filtri -o come se avesse assunto una forma grazie ai nostri cervelli- tutto come se noi cercassimo di dare un senso a tutto cio' che ci succede intorno. Questo significa che la stessa informazione sensoriale puo’ essere interpretata in modo molto diverso dai nostri cervelli in base alle circostanze, seguendo i filtri o le forme che sono attivi in quel momento specifico. Nel caso dei nostri piccioni, la luce dell’illuminazione pubblica, sopra di noi, ci ha indirizzato sui ventri tondi e bianchi dei piccioni che non sul resto del loro corpo, cosa che faceva piu’ risaltare i ventri sul cielo nero. Cosi’ velocemente che non abbiamo visto i quattro oggetti bianchi, un filtro UFO ha agito nei nostri cervelli. E’ assolutamente straordinario vedere con quale efficacia il filtro UFO ha fatto sparire il resto dei piccioni. Al primo passaggio, non abbiamo lontanamente presupposto che potesse trattarsi di piccioni. Nel momento in cui c’e’ stato il secondo passaggio, ognuno di noi era pronto a mettere da parte il filtro UFO ed a rimpiazzarlo con un filtro del genere ‘OK, che cosa abbiamo visto veramente?’. Quando i piccioni sono comparsi di nuovo, i loro ventri rotondi e bianchi erano cosi’ evidenti che non ci voleva molta concentrazione per vedere oltre questi il resto dei piccioni stessi”.
La storia e’ gia’ di per se’ istruttiva, ma non finisce qui… “Qualche tempo piu’ tardi, durante un incontro di osservazione pubblica, ero di nuovo sul tetto guardando il cielo. Accanto a me c’era un giovane di circa 14 anni, quando un piccione solitario volo’ sulle nostre teste. Il ragazzo si volto' verso di me e mi disse: ‘Wow! Ha visto questo? Un UFO ha appena attraversato il Grande Orso’. ‘Si’ -gli ho risposto- ogni tanto passa di qui, ma succede che non sono degli UFO ma dei piccioni’. Poi mi sono lanciato nella spiegazione dei ventri bianchi che riflettono la luce e dei filtri nel cervello che selezionano i dati, etc. In considerazione del fatto che questo e’ accaduto circa due decenni dopo l’uscita di ‘Men in Black’, ho dovuto fare una molto buona imitazione del personaggio inscenato da Will Smith che cercava di convincere qualcuno che non aveva visto cio’ che egli aveva appena visto, perche’ questo ragazzo non credeva nulla di cio’ che gli dicevo. Lui sapeva cio’ che aveva visto (percepito, in realta’) e non aveva certamente visto un piccione. La sua totale incredulita’ di fronte a cio’ che sentiva si leggeva sul suo viso. Potevo vedere quasi gli ingranaggi che giravano dentro la sua testa, mentre cercava di adeguare cio’ che io gli dicevo con quello che lui aveva visto (percepito)”. “Mentre lui cercava di capire che cosa era accaduto, l’espressione sul suo viso passo' gradualmente dall’incredulita’ alla comprensione e poi all’Eureka!”. Indietreggio' quindi di un passo, punto' il suo dito verso di me e grido’: ‘LEI FA PARTE DELLA COSPIRAZIONE!’. Io ero talmente deconcentrato che non ho potuto dare una migliore risposta che ‘NO, NO, onestamente e’ un piccione’. Il ragazzo giro’ le spalle e se ne ancdo’, apparentemente convinto delle sue cose. Prima di tutto che dei dischi volanti ci avevano visitato e, secondariamente, che esisteva un vasto complotto per nascondere questa informazione all’opinione pubblica. E tutto questo perche’ non era stato in grado di riconoscere un piccione”.
Quando si vuole credere fermamente a qualche cosa, niente, anche le dimostrazioni piu’ razionali, potranno farvi cambiare idea, filtro, struttura mentale. E’ cosi’ difficile mandare le proprie convinzioni al di sopra dei mulini, e cosi’ rassicurante proteggerle, che si preferisce immaginare dei complotti magici, come il fatto che il riscaldamento climatico e’ una beffarda invenzione dei cinesi (ndr: cosi’ sostiene Donald Trump), piuttosto che guardare la verita’ in faccia.

(articolo di Pierre Barthélémy, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 29/12/2016)
 
 
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