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Il problema della democrazia attualmente, e’ che non e’ piu’ rappresentativa. Lawrence Lessig
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Articolo di Redazione
24 aprile 2017 18:44
 
 Lawrence Lessig e’ uno dei principali pensatori di Internet. Il primo libro di questo professore di diritto ad Harvard, Code, anticipava nel 2000 le linee di tensione e le grandi evoluzioni di Internet. Ora si batte da diversi anni per rendere il sistema politico americano piu’ rappresentativo, essenzialmente diminuendo l’influenza del denaro.
Lessig ha recentemente contribuito a quello che potrebbe cambiare il mondo, un’opera dedicata al prodigio del net Aaron Swartz, comparso lo scorso 2 1 marzo in Francia grazie alle edizioni B42. Di passaggio a Parigi per la presentazione del Meeting Snowden, un documentario che lo mostra cambiare il futuro della democrazia con la deputata pirata islandese Birgitta Jonsdottir e il lanciatore di allerta Edward Snowden, Lessing ha risposto alle domande del quotidiano Le Monde.
D. Le sue idee di democrazia e quelle di Edward Snowden sembra che partano da direzioni diverse. Alla fine del meeting Snowden, lo abbiamo visto immaginare una umanita’ piu’ connessa online, mentre lei ha di recente molto denunciato i pericoli che possono fare le reti sociali, in materia di polarizzazione delle idee politiche per esempio. E’ cosi’?
R. Io non penso che ci sia una vera differenza nella constatazione che facciamo della situazione attuale, ne’ nella direzione che noi vogliamo prendere. Al contrario, li’ dove c’e’ la differenza, riguarda i soggetti sui quali lavoriamo. Birgitta (Jonsdottir) vuole regolare i problemi che preoccupano le persone se investire nel processo politico -che e’ la problematica del Partito pirata in Islanda. Io rifletto su come rendere la democrazia veramente rappresentativa. L’obiettivo di Edward Snowden e’ piu’ grande: cerca di sapere come ottenere una societa’ che va in una direzione comune. Nessuno di noi e’ in disaccordo con il progetto degli altri. Io lavoro su una parte differente dello stesso problema.
D. Come molti, lei pensa che Internet sara’ benefica per la democrazia, ma lei e’ diventato molto scettico, perche’?
R. Una delle grandi forze di Internet, e’ che permette alle persone di connettersi direttamente. Una delle grandi debolezze di Internet, e’ che permette di connettersi direttamente (ride). Con Internet, abbiamo scoperto l’incredibile potere che hanno i capo-redattori -non le censure o i filtri, ma le persone che hanno il potere di decidere che cio' che si dice e’ vero, se e’ dimostrabile, se ci sono dei fatti dietro cio' che si afferma. Questo permette di assicurare che una pubblicazione abbia un certo legame con la realta’, ma se si sopprimono questi capo-redattori, non c’e’ piu’ connessione coi fatti.
D. Lei fa riferimento al problema delle fake news, ma e’ importante preservare l’accesso all’informazione e alla libera espressione. Come concilia questi due aspetti?
R. Non si regolera’ questo problema spegnendo Internet o impedendo che le persone accedano all’informazione. Cio che Facebook sta sviluppando, un sistema molto sofisticato di identificare ed isolare le fake news, e’ inquietante. L’idea che una entita’ privata possa dedicarsi a questo tipo di censura e’ sempre inquietante. Io penso che si dovrebbe sviluppare una sorta di “capo-redattore portatile”. Un po’ come... se tutto cio’ che arriva sul computer passa attraverso l’antivirus, bisogna che ci sia un mezzo per vedere se questo e’ stato verificato o meno. Questo tipo di strumenti vanno sviluppati per forza, anche se sicuramente non saranno perfetti.
D. Il fatto che piattaforme come Facebook o Google ospitano dei pannelli interi del dibattito politico, fa parte del problema?
R. I conservatori non sono d’accordo, ma penso veramente che delle piattaforme come Facebook tentino di mantenere un certo livello di neutralita’. E’ possibile che su queste grandi piattaforme digitali, ci sia naturalmente uno stimolo economico a preservare una certa neutralita’ che non esiste, per esempio, nel passaggio della televisione.
D. Il problema non e’ tanto l’assenza di neutralita’ ma il fatto che queste piattaforme incitano i loro utenti a dividere, reagire, e favoriscono quindi i contenuti polemici?
R. Questo e’ certamente vero. Se si guarda la storia dei media, abbiamo appreso che la misura di audience corrompe i media la cui audience e’ misurata. Negli anni 1950 e 1980, i canali televisivi dedicavano all’informazione i tempi che loro giudicavano necessari all’informazione del pubblico. E poi e’ comparsa la classificazione di Nielsen, e i canali hanno potuto cominciare a calcolare costi e benefici dei giornali. Io non parlo unicamente del costo in senso di cio’ che bisogna spendere per fare informazione, ma anche del fatto che quando le persone fanno zapping, si perdono dei soldi. Da quando si e’ cominciata a misurare l’audience, questo ha un impatto su cio’ che si produce. L’abbiamo visto con l’aumento gigantesco dei contenuti “appesi ad un click” su Internet. Una delle conseguenze, e’ che questi contenuti sono molto determinati ideologicamente, fanno riferimento all’emozione piuttosto che alla ragione.
La mia opinione e’ che bisogna riflettere sul modo in cui si puo’ coniugare il progetto democratico con delle fonti d’informazione deboli. Per esempio, la settimana prossima, vado in Mongolia, dove una recente legge obbliga il governo a selezionare 500 persone che si sono riunite durante un week-end. A loro si presenta un problema costituzionale, gli si danno tutte le informazioni in merito, essi ne dibattono, deliberano e in seguito producono una risoluzione che e’ proposta al Parlamento. Dobbiamo utilizzare prima di tutto questo tipo di strumenti se vogliamo avere una democrazia che ci rappresenti realmente. Bisogna trovare una rappresentazione politica con cui il popolo abbia il tempo e l’opportunita’ di comprendere cio’ di cui si parla. Le persone non sono degli idioti. Idiota significa che tu non puoi comprendere.
D. In Francia ci sono delle esperienze intorno ad un sistema di voto attraverso la classificazione, dove si mettono in lista i candidati nell’ordine di preferenza. Queste esperienze, sono interessanti?
R. Bisogna moltiplicare tutte le esperienze di questo tipo, in modo che si comincino a produrre risultati rappresentativi. La’ dove metto il limite, e’ di sapere cio’ che e’ possibile costruire. Cercare di arrivare alla democrazia diretta o ad un sistema rappresentativo? Nello stesso modo in cui io sono scettico quando mi si dice che il popolo e’ idiota, io sono scettico rispetto alla democrazia diretta. Ci sono persone che credono che ci si puo’ collegare su Internet e votare per tutto, ma la verita’ e’ che la maggior parte delle persone non conoscono niente in materia. Essi potrebbero, ma essi hanno dei mestieri, dei passatempo, delle famiglie, degli amori… E’ per questo che assumiamo degli eletti: spetta a loro gestire questo.
D. La tecnologia puo’ aiutare ad arrivarci?
R. Sicuramente. C’e’ per esempio questa meravigliosa esperienza di democrazia liquida dove si puo’ dare il proprio voto a certe persone per alcune materie. Si puo’ per esempio decidere che una persona ti rappresenti per le questioni fiscali, un’altra per le questioni ambientali… Queste sono esperienze impossibili senza la tecnologia.
D. Ha paura che la gigantesca quantita’ di dati raccolti sugli elettori, che permettono di inviare dei messaggi politici ad un livello molto alto di selezione, rendano impossibile una discussione generale a livello Paese?
R. Assolutamente. Le persone che pensano che una tecnologia sia utile sono quelle che si concentrano unicamente sull’elezione, non sul modo di governare. E’ ancora una tecnica che porta ad aumentare lo scarto tra l’idea che si fa il pubblico di cio’ che un candidato puo’ fare, e cio’ che potra’ realmente fare una volta eletto.
In questo mondo di obiettivi molto mirati, la mia percezione di un candidato e’ diversa da quella che lei ha. Lo si e’ visto con Obama. Dopo la sua elezione, tutti avevano l’impressione che era “il loro ragazzo” che era stato eletto. Se lei avesse messo insieme gli americani per domandare loro cio’ che rappresentava Obama per loro, lei avrebbe ottenuto trenta risposte diverse e tutte piu’ o meno plausibili. Io penso che Obama fosse un grande riformatore, che lui avrebbe cambiato il sistema politico, lo avrebbe liberato dall’influenza corruttrice del denaro. Altri americani pensavano che ci avrebbe dato una sicurezza sociale universale. Tutto cio’ e’ stato causa di un obiettivo individualizzato, che all’epoca era lontano dall’essere preciso cosi’ come lo e’ oggi. Queste tecniche permettono di indirizzare alle persone esattamente il messaggio di cui loro hanno bisogno di ascoltare perche’ poi si dicano “e’ il mio ragazzo”. Ma una maggioranza di persone sono rimaste deluse perche’ si e’ avverato che non era cio’ che loro pensavano che fosse. Io capisco perche’ c’e’ questa volonta’ da parte dei consulenti che lavorano all’elezione dei candidati. Ma penso che dobbiamo avere una visione piu’ larga di cio’ di cui la democrazia ha bisogno, cioe’ di politici autentici che fanno cio’ che promettono. Lei non puo’ farlo se si separa in 50.000 versioni di lei stesso.
D. Cosa pensa del fatto che i discorsi anti-élite, che sono stati molto forti nell’elezione francese, siano il sintomo?
R. Nella maggior parte delle grandi democrazie, le persone pensano che ci sia una élite e il popolo, e che i governi lavorino per le élite e non per il popolo. In Usa e’ un sintomo di una democrazia non-rappresentativa. C’e’ un lavoro empirico fantastico sulle decisioni reali dei nostri governi nella storia di Martin Gilens e Benjamin Page. Essi raccontano cio’ che i governi hanno fatto dal punto di vista dell’élite economica, e dal unto di vista del cittadino X. La loro principale scoperta e’ che piu’ l’élite economica sostiene un’idea, piu’ essa ha chance di essere adottata. E’ cosi’ per i gruppi di interesse. Ma per l’elettore medio, la percentuale della popolazione che sostiene un’idea non cambia in realta’ niente alle possibilita’ che questa idea possa divenire una legge! Questo mostra il problema di governi che non soddisfano le aspirazioni del popolo. Non e’ semplicemente una percezione, i dati provano che e’ vero. E’ il principale problema della democrazia attualmente: essa non e’ rappresentativa. Fintanto che non affronteremo questo problema, fintanto che non daremo agli elettori delle ragioni per credere che la democrazia lavori per loro, essi non vorranno dedicarci del tempo.
D. L’influenza del denaro e’ il motivo per cui tutto e’ bloccato o ci sono altri fattori?
R. In Usa, il denaro contribuisce al fatto che i rappresentanti non fanno cio’ che vuole il popolo. Il gerrymandering (il fatto di tagliare le circoscrizioni elettorali in funzione delle loro caratteristiche socio-economiche ed a vantaggio di una famiglia politica -ndr) e’ un altro componente. Almeno l’80% dei distretti elettorali sono detti “sicuri”, cioe’ che il partito che non e’ al potere non puo’ vincervi. Questo significa che il gioco elettorale e’ al livello delle primarie. Coloro che possono vincere sono quelli che saranno ancora piu’ estremisti rispetto al candidato del luogo. Se sei in una circoscrizione elettorale repubblicana, la sola persona che puo’ battere il Repubblicano del luogo e’ qualcuno che e’ ancora piu’ a destra. Questa dinamica rende i candidati ancora piu’ polarizzati rispetto ai loro distretti.

(intervista di Martin Untersinger pubblicata sul quotidiano le Monde del 24/04/2017)
 
 
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