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Quando l'oceano muore... anche il Pianeta
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Articolo di Redazione
6 settembre 2016 19:42
 
 In mezzo alla hall dell'esposizione del congresso dell'Unione Internazionale per la protezione della natura (IUCN) che si tiene nelle Hawaii fino al 10 settembre, troneggia una grande mappamondo dell'agenzia meterologica e oceanica americana (NOAA). Che registra un notevole successo presso il pubblico, mostrando come aumenta il riscaldamento dell'oceano, cosi' come l'aumento della sua salinita' dopo la fine del XX secolo: il Pianeta sta virando verso lo scarlatto. E la gigantesca massa oceanica che lo copre al 71% -cioe' 360,6 milioni di chilometri quadrati- deve ancora guadagnare qualcosa come quattro gradi entro il 2100. Anche la temperatura dell'acqua delle grandi profondita' sta aumentando e, presso le coste, il termometro sale il 35% piu' veloce che in alto mare dopo gli anni 1960.
Gli scienziati stimano che l'oceano abbia assorbito il 93% del riscaldamento dovuto all'emissione di gas ad effetto serra generati dalle attivita' umane a partire dal 1970. “Senza l'oceano, ci sarebbero 36 gradi centigradi in piu' sulla terra, sarebbe insopportabile”, dice Carl Gustav Lundin, direttore del programma marino dell'Iucn. “Il 70% della biodiversita' si trova nell'oceano”. Questo ruolo di tampone nei confronti dei cambiamenti climatici ha un costo elevato per gli ecosistemi marini, ed e' questo che questa rete di difesa della natura mostra in una voluminosa compilation di studi scientifici che ha diffuso pubblicamente il 5 settembre.
Ottanta scienziati originari di dodici Paesi vi hanno contribuito. Gli esperti della conservazione del vivente hanno voluto pubblicare un insieme -inedito per la sua ampiezza. Delle proprie ricerche, “le piu' sistematiche -dai microbi alle balene- e comprensibili possibili”, riassume Dan Laffoley, vice-presidente della Commissione mondiale delle aree protette dell'IUCN e uno dei principali co-autori. “Piu' di un quarto di queste pubblicazioni sono state rese pubbliche dopo la COP21 di Parigi, dove l'oceano si e' imposto come elemento essenziale della riflessione sul clima, ed alcuni di essi sono successivi ai lavori del Gruppo intergovernativo di esperti sull'evoluzione del clima del 2013”, assicura Laffoley. Dire che il quadro presentato e' scuro, rileva un certo eufemismo.
Migrazione degli organismi marini
“I cambiamenti nell'oceano avvengono cinque volte piu' veloci che in qualsiasi altro ecosistema terrestre”, annuncia Dan Laffoley. Dalle regioni polari fino a quelle tropicali, dei gruppi interi di specie come le meduse, la tartarughe e gli uccelli di mare si sono messi a risalire di dieci gradi di latitudine verso i poli. Tutti gli organismi marini hanno cominciato a migrare: fitoplancton, alghe, invertebrati, pesci, ma nessuno seguendo la stessa traiettoria. Non solo per il plancton, alla base della catena alimentare della fauna marina, le modifiche avvengono da cinquant'anni, ma la sua stagionalita' si modifica e diviene piu' piccola secondo i vari luoghi. Nota piu' positiva: si diversifica nelle acque fredde.
Questi nuovi dati hanno degli effetti “drammatici”, insistono gli autori, su riproduzione e nutrizione di numerose specie. Il riscaldamento ha per esempio un effetto devastante sulle tartarughe, per le quali sei di sette specie marine sono classificate in pericolo di estinzione dall'IUCN. Tra gli altri mali. Aumenta pericolosamente il numero di femmine al momento dell'incubazione delle uova, al punto di compromettere la generazione successiva.
Certi fenomeni sono conosciuti. Tant'e' che i coralli che diventano sempre piu' bianchi e' un evidente indicatore, visibile ad occhio nudo, del riscaldamento e dell'acidificazione dell'acqua. La totalita' di essi dovrebbe subirne le conseguenze da qui al 2050, considerando che rappresentano l'habitat di un quarto delle specie di pesci. E' piu' difficile sensibilizzare l'opinione pubblica sulla sorte delle alghe, pertanto gli scienziati si preoccupano ugualmente della degradazione accelerate dei fondali delle coste. La distruzione delle foreste di laminarie fa perdere alcuni pesci, e, maggiormente, i loro habitat, favorendo la proliferazione di altre alghe, riducendo la quantita' di ossigeno nell'acqua.
Impatti sulla salute umana
Vicino alle coste, i cambiamenti hanno degli impatti visibili. Alcune popolazioni sono veramente dipendenti dai prodotti del mare. La pesca e l'acquacoltura forniscono circa il 15% delle proteine animali a 4,3 miliardi di persone nel mondo. Con l'effetto dell'aumento delle temperature, al quale si aggiunge l'attacco di meduse e di diversi patogeni, gli allevamenti di molluschi, di crostacei o di salmoni saranno portati a trasferirsi. Quanto ai pescatori delle coste, ci saranno chi vi guadagnera' e quelli che vi perderanno -specifica nel dettaglio uno degli studi. In Africa dell'est, per esempio, la pesca media, oggi, nella maggior parte dei Paesi, corrisponde a 5 Kg di pesce a persona ogni anno. In Somalia, per esempio, particolarmente messa male, potrebbe passare da 1,29 Kg a 0,85 Kg.
A confronto, le acque delle isole del Pacifico sono molto ricche, il consumo medio e' sui 35 Kg a persona e procura fino al 90% di proteine animali ai loro abitanti. Le risorse potrebbero diminuire del 20% verso il 2050. Ma il problema di questa parte del mondo e' sopratutto la distruzione dei coralli. Questa lascia campo libero al fitoplancton, ai dinoflagellati, su cui si sviluppano delle tossine che fanno circolare dei pesci erbivori, prima di concentrarsi sui grandi predatori come le cernie. Si nota anche una notevole “epidemia” di ciguatera (nr: intossicazione alimentare causata dall'ingestione di alimenti di origine marina contaminati da una tossina, di origine non batterica) in Polinesia francese questi ultimi anni -sottolinea il rapporto.
Questo fa aprire un capitolo particolarmente agghiacciante sugli impatti di queste mutazioni sulla salute umana. “Pu' calore, meno ossigeno, piu' microbi”, riassume Dan Laffoley. I passaggi che si aprono tra l'Atlantico e il Pacifico con lo scioglimento dei ghiacciai, non diventano solamente una manna per il trasporto merci e gli organizzatori di crociere, le specie invasive sono esse stesse in grado di circolare di piu', e anche i virus. Piu' numerosi, i patogeni sono anche favoriti dall'innalzamento del livello del mare, accelerando gli scambi, negli estuari, coi batteri terrestri.
In linea generale, le riviere appaiono sempre piu' vulnerabili, non solo per l'aumento del livello dei mari. Le relazioni complesse che legano strettamente oceano e clima, giocano un ruolo nell'accentuazione della forza delle tempeste. Gli umani hanno alterato il numero delle barriere di protezioni naturali, come le mangrovie, il 30% delle quali sono scomparse in un secolo. Una volta ancora, il riscaldamento ha aggravato queste distruzioni.
Resta molto da fare perche' le societa' umane prendano consapevolezza della “piu' grande e nascosta sfida della nostra generazione” -secondo gli autori del rapporto. Al di la' del mondo marino, e' il Pianeta tutto intero che e' scombussolato dai cambiamenti in corso. “L'oceano ha una capacita' di elasticita', occorre aiutarlo”, dice Lundin. Per questo, non abbiamo altra soluzione che ridurre le nostre emissioni di gas ad effetto serra.

(articolo di Martine Valo -inviata speciale alle Hawaii- pubblicato sul quotidiano Le Monde del 06/09/2016) 
 
 
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