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Quando Uber sogna un mondo senza autisti
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Articolo di Redazione
26 dicembre 2016 10:37
 
 546 citta', 80 Paesi, piu' di un milione di autisti, circa 3 miliardi di chilometri percorsi e… 800 milioni di euro di perdite nel solo terzo trimestre 2016! Con Uber, ormai nel business degli autisti delle vetture del trasporto pubblico, le cifre sono fuori delle norme. Mai, anche con Amazon e Facebook, una start-up aveva conosciuto uno sviluppo cosi' folgorante superando cosi' velocemente il vecchio mondo, al punto che il suo nome e' diventato un aggettivo sinonimo di eradicazione. Se “über” significa “al di sopra di” in tedesco, l'uberizzazione generale all'opera in reparti interi dell'economia sta portando milioni di persone “al di sopra” del livello standard minimo per vivere il proprio lavoro.
L'aspetto piu' folle, malgrado un deficit che dovrebbe rappresentare piu' della meta' del suo giro d'affari in forte crescita quest'anno (5,5 miliardi di dollari, stima l'agenzia Bloomberg per tre miliardi di perdite) ed una iper-inflazione di problemi normativi che fanno la fortuna di schiere di avvocati, e' che i finanzieri non sembrano molto convinti della robustezza del suo modello. Nata da sette anni, raccolti fondi per piu' di 15 miliardi di dollari dopo il suo avvio, la start-up, il cui suo vero attivo e' in un'applicazione per smartphone, e' stimata in 69 miliardi di dollari, 15 miliardi in piu' rispetto a General Motors.
“Winner takes all”
Un ammontare certamente virtuale, tant'e' che la societa' non e' quotata o introdotta in Borsa, ma diventata incompatibile con una tale livello di perdite. Come lo riconosce il francese Thibaud Simphal, direttore della piattaforma di prenotazioni per l'Europa dell'ovest, “alcuni dei nostri investitori cominciano in effetti a domandarci dei conti”. Come ogni start-up che ha ben calibrato la sua strategia di economia di scala -gli americani dicono “scalability”, un termine che significa che piu' si diventa grossi velocemente, piu' si sara' portatori di reddito in seguito- Uber ha cominciato a sovvenzionare massicciamente la sua attivita'. Obiettivo? Tagliare i prezzi per attirare sempre piu' clienti e remunerare sufficientemente i propri autisti per farli diventare dei “partner” fedeli.
Ma una volta che l'applicazione ha acquisito una posizione dominante per non dire monopolista -la famosa regola “winner takes all” dell'economia digitale- puo' cominciare a raccogliere e ad investire i benefici. Tranne che in un mercato dove la concorrenza e' feroce e dove un pieno di piccoli Uber attirati per il suo successo tentano anch'essi la loro opportunita', e' complicato rilevare i prezzi e le commissioni prelevate sugli autisti restano tutte anche competitive. Chi dice piu' soldi per Uber dice anche potenzialmente meno clienti e soprattutto meno autisti con tempi d'attesa piu' lunghi, che riducono l'attrattivita' dell'offerta.
Uber ha si' da moltiplicare gli studi per dimostrare che i suoi autisti “guadagnano la loro vita” e meglio che sulle altre piattaforme -tra 1400 e 1600 euro netti al mese per 45 ore di lavoro settimanale secondo il Boston Consulting Group-, e affermare, citando il rapporto del deputato Thomas Thévenoud, che ci sono posti per 68.000 auto dedite al servizio pubblico in Francia (circa 25.000 oggi), ma la ricetta non va piu' bene. I suoi “partner” autisti, degli indipendenti che bizzarramente non possono metter parola sulle tariffe, si sentono sempre piu' precari, con dei guadagni che non cessano di diminuire.
Sentendo il pericolo e la propria immagine degradare alla velocita' di una chiamata di un “Uber”, la societa' dice di essere pronta a migliorare le remunerazioni e le condizioni di esercizio dell'attivita' (protezione sociale, mutualita', etc..), ma solo a condizione che tutto il settore venga dietro. Una postuma guerra a se stesso: essa nega la concorrenza a tutti i crismi che sono all'origine del suo successo, che le ha permesso in qualche anno di rovinare la professione di autista di taxi. Difficile improvvisarsi benefattore dopo essersi comportato come uno di questi “barbari” senza scrupoli della nuova economia.
In realta', Uber ha gia' gli occhi rivolti verso il prossimo colpo. Un colpo che fa ancora sbavare dei finanzieri pronti ad aderire al suo nuovo conto di file di algoritmi ed a pazientare ancora un po' -ma quanto tempo?- prima di toccare il loro ritorno sull'investimento. Come si diceva di Amazon all'epoca in cui Jeff Bezos inghiottiva miliardi di dollari promettendo la luna, la societa' e' diventata “to big to fail”, cioe' che ora ha troppi soldi da perdere per tornare indietro.
“Lei paga per l'altra persona a bordo”
Per diventare cosi' redditizia come promette, l'applicazione intende ora andare oltre gli autisti con vetture autonome. Niente piu' a che fare con autisti di vetture pubbliche arrabbiati, o diritti del lavoro da rispettare, la vettura robotizzata sara' l'ultimo stadio del trasporto privato a domanda. La societa' investe dal 2015 centinaia di milioni di dollari in questa tecnologia cooperando con il prestigioso istituto Carnegie Mellon di Pittsburgh, cosa che le permette di giustificare in parte le proprie perdite. E i risultati sono probanti: da qualche giorno, una flotta di 16 veicoli autonomi solcano la citta' di San Francisco, suo quartiere generale, per testare commercialmente questa nuova offerta, prima che lo Stato della California non metta fine all'esperimento a causa di.. non rispetto della procedura di autorizzazione. Uber ne e' consapevole ma questo poco importa al suo über-PDG Travis Kalanick, che non si nasconde: “Se Uber puo' talvolta sembrarvi caro -ha detto in una conferenza del 2014- e' che voi pagate per l'altra persona a bordo. Quando non sara' piu' cosi', il servizio sara' piu' economico”.
Uber con vetture autonome o Uber uberizzate?
Uber non sara' attenta probabilmente al 100% del prezzo della corsa, perche' non ci soni problemi per l'applicazione a controllare i suoi propri veicoli, ma probabilmente ad un livello di piu' del 25%. Una prospettiva che non rassicura gli autisti, che ora sanno che i loro giorni sono contati. Thibaud Simphal stima che questa nuova Uber autonoma potrebbe fare la sua comparsa in Francia in “tre o cinque anni. Si puo' immaginare che le cose procederanno in modo progressivo, con in un primo tempo dei veicoli autonomi controllati da delle persone -spiega in un'intervista ad Altereco+-. Poi quando l'utenza e le autorita' saranno pronte, dei veicoli completamente autonomi”. E i partner? “Saremo trasparenti con gli autisti. Coloro che vogliono svilupparsi nel settore potranno investire nelle flotte dei veicoli. Gli altri sappiano che avranno tempo per immaginare altre cose”. In attesa che Uber vada oltre, le commissioni che la fanno vivere dovrebbero restare la variabile di adattamento che pesa su degli indesiderabili “partner”.. Disperatamente umani. A meno che Uber non finisca essa stessa per uberizzarsi. Diversi autisti di vetture pubbliche devono sognare questo giorno.

(articolo di Christophe Alix pubblicato sul quotidiano Libération del 24/12/2016)
 
 
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