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Riforma della prescrizione: i processi si allungheranno?
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Articolo di Fabio Clauser
17 maggio 2016 11:19
 
Pochi mesi fa è approdato al Senato un disegno di legge in cui è contenuta la riforma della prescrizione penale.
Il tema è stato oggetto di numerosi dibattiti che si sono susseguiti da dieci anni a questa parte.
L'ultima riforma strutturale in materia, attuata con la legge ex-Cirielli, fu al centro di dure polemiche poiché tacciata di essere una legge scritta nell'interesse di pochi, ma che avrebbe avuto ricadute in molti processi.
Da un punto di vista non politico, ma tecnico, non mancarono apprezzamenti per una norma che, fatte salve alcune ipotesi come la recidiva, semplificava di molto la applicazione in concreto dell'istituto.
Oggi, per ragioni del tutto differenti, il dibattito è nuovamente aperto e molto vivo.
D'altra parte ci sarebbe da stupirsi del contrario, visto che la prescrizione riflette molteplici interessi: quello della collettività alla conclusione del processo penale prima che l'utilità repressiva cada nell'oblio e quello dell'imputato ad ottenere una decisione prima che invecchi nel patimento dell'attesa dell'esito del processo.
La vituperata prescrizione garantisce, a ben vedere, che la durata estenuante del processo penale non diventi di per sé una pena, dovendosi ritenere che ogni persona sia innocente fino alla condanna definitiva, ancorché accusata di gravi delitti.
In ogni caso, non si deve mai incorrere nell'errore di ritenere che la durata del processo debba coincidere con quella della prescrizione del reato: quest'ultima deve rappresentare unicamente il termine oltre il quale non si può andare.
Rischiando di semplificare eccessivamente si segnala che la normativa della prescrizione penale prevede che l'imputato debba essere prosciolto laddove non si riesca a celebrare il processo entro un termine pari alla pena massima prevista per il reato per cui si procede.
Così, se si procede, ad esempio, per violenza sessuale, il processo dovrà essere celebrato entro dieci anni dal fatto.
Se invece si procede per delitti meno gravi, la cui pena massima è inferiore a sei anni di reclusione, la prescrizione non potrà essere comunque inferiore a sei anni.
Se non si procede per un delitto, ma per una contravvenzione, il tempo perché maturi la prescrizione è di quattro anni.
Sono poi previsti degli atti che interrompono la prescrizione fra i quali la richiesta di rinvio a giudizio.
Nel caso di interruzione del termine necessario per prescrivere, questo inizierà a decorrere nuovamente, ma è previsto comunque un tetto massimo pari al normale tempo necessario a prescrivere, con l'aggiunta di un quarto dello stesso termine.
Così, ad esempio, il termine per prescrivere il reato di violenza sessuale, dopo l'interruzione, diventerà di dodici anni e mezzo, mentre il termine per i reati meno gravi di cui si è detto, sarà di sette anni e mezzo per i delitti e di cinque anni per le contravvenzioni.
Sono anche previsti dei casi in cui il decorso della prescrizione viene sospeso, come nella ipotesi in cui l'imputato, o un suo difensore, faccia valere un legittimo impedimento (si pensi al classico esempio della malattia che impedisce la partecipazione al processo).
In questi casi il decorso del termine della prescrizione è sospeso e inizia a decorrere nuovamente dal momento in cui cessa l'impedimento (tornando al nostro esempio, dal momento in cui l'imputato è nuovamente in uno stato di salute tale da consentirgli di partecipare al processo).
La riforma andrebbe a toccare proprio la norma che disciplina i casi di sospensione con la finalità di garantire la ragionevole durata del processo ed al contempo tutelare l'imputato dall'esposizione al procedimento penale senza un limite ragionevole (come risulta dalla analisi tecnico-normativa del DL n. 2798).
Sostanzialmente, per garantire la ragionevole durata del processo, tutelata per espressa previsione dalla nostra Costituzione, il legislatore intende, fra le altre cose, aumentare i tempi di prescrizione prevedendo dei nuovi casi di sospensione.
Sono previsti, in automatico, due anni di sospensione del termine necessario a prescrivere il reato dopo la sentenza di condanna emessa in primo grado ed un ulteriore anno di sospensione dopo il secondo grado.
Con questa modifica vi sarebbe dunque un aumento complessivo di tre anni del termine prescrittivo in tutti i casi, a prescindere dalla gravità dei fatti per cui si procede, se la prescrizione non sia maturata nella fase delle indagini preliminari, dell'udienza preliminare e del primo grado.
Pare veramente difficile capire il senso logico di una riforma che, ponendosi l'obiettivo di ridurre i tempi del processo, allunga il termine finale entro cui questo deve essere celebrato, senza contestualmente individuare, isolare e risolvere i veri problemi fisiologici del processo che ne determinano la lunga durata.
Peraltro il Ministero di Giustizia (www.giustizia.it) ha nella sua disponibilità le statistiche dei procedimenti finiti con la prescrizione: il 55% di questi è finito nel nulla già nella fase delle indagini e solo nel 16% dei casi la prescrizione è maturata dopo il primo grado (dati relativi al 2013).
Non viene poi considerato l'altissimo numero di sentenze di riforma che intervengono grazie alle Corti di Appello: ancora una volta si deve ricordare che l'imputato, anche se condannato in primo grado, deve essere considerato innocente fino alla sentenza definitiva (si pensi che solo la Corte di Appello di Roma, in un anno, ha ribaltato la sentenza di condanna in primo grado in 292 casi, assolvendo gli imputati.
L'aumento dei termini di prescrizione rischia di trasformare questo istituto in uno strumento che allontana ancora di più nel tempo l'esito del dibattimento, finendo per lasciare all'oblio, non il disvalore del fatto, ma la sentenza definitiva.
 
 
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