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Tassa sul carbone per salvare ambiente ed economie?
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Articolo di Redazione
9 ottobre 2015 10:13
 
Una quarantina di Paesi e una ventina di regioni, province o citta' hanno gia' approvato, o si apprestano a farlo, una sistema di tariffazione del carbone. Questi metodi coprono il 12% delle emissioni mondiali di gas ad effetto serra, una percentuale che resta modesta, ma che' triplicata in dieci anni. E tutto questo senza nuocere alla competitivita' economica degli Stati o delle zone che hanno deciso di farlo. E' quanto ci dice uno studio, pubblicato oggi 9 ottobre, del "New Climate Economy" (Commissione mondiale sull'economia e il clima), un think-tank internazionale creato da ex-capi di Stato e di Governo e da alcuni economisti. Che confermano una tendenza gia' sottolineata nell'ultimo rapporto “Carbon Pricing Watch” della Banca Mondiale,  pubblicato lo scorso mese di maggio, che conclude con la necessita' di sviluppare una tariffazione del carbone a livello planetario. L'idea di dare un prezzo al carbone, secondo il principio di chi inquina paga, con lo scopo di finanziariamente penalizzare le emissioni di gas ad effetto serra responsabili della deregolamentazione climatica, si fa quindi avanti. Concretamente ci sono due tipi di dispositivi. Il primo, la tassa sul carbone, applicata per esempio ai carburanti o ai combustibili fossili, porta a riscrivere il loro costo, con un effetto dissuasivo sui loro consumatori. Il secondo, il mercato del carbone, consiste nel pianificare le emissioni industriali attraverso un meccanismo di quote annuali, che possono essere acquistate o rivendute in una sorta di Borsa di scambi.
Riforma del mercato europeo
L'Unione Europea ha scelto questa seconda opzione, Essa e' stata la prima ad instaurare, nel 2005, un mercato di scambi di quote di CO2 (Emission Trading Scheme, o ETS), applicato a dodicimila siti industriali (centrali termiche, reti di calore, raffinerie, acciaierie, cementifici, fabbriche di carta...), alle quali e' stato aggiunto, nel 2012, il settore aereo. Questo meccanismo copre oggi piu' del 40% delle emissioni europee di gas ad effetto serra. Ma, di fatto, per l'attribuzione iniziale di un volume molto ampio di quote e per la recessione economica, il prezzo della tonnellata di carbone e' caduto dai 30 euro nel 2005 a soli 5 euro di questi ultimi anni, un livello troppo basso per avere un reale effetto di scoraggiamento per le imprese.
E' in corso una riforma del mercato comunitario del carbone
Nove Stati Usa hanno anche loro messo in piedi un mercato comune del CO2, il Regional Greehouse Gas Initiative (RGGI). Il Québec e la provincia canadese dell'Ontario hanno istituito meccanismi simili, cosi' come la Corea del Sud. Soprattutto la Cina, primo Paese inquinatore del Pianeta, dopo aver sperimentato questo sistema in sette citta' e province, ha annunciato le sue intenzioni di creare nel 2017 un mercato nazionale del carbone, che sara' il piu' importante al mondo.
Diversi Paesi -Francia, Regno Unito, Portogallo, Svizzera, Norvegia, Finlandia, Polonia, Slovenia, Estonia e Lettonia- hanno avviato un doppio meccanismo del mercato e della tassa sul carbone. Mentre in Africa del Sud prevedono di istituire una tassa carbone nel 2016. Al contrario, a luglio del 2014, l'Australia ha eliminato la sua tassa carbone che aveva introdotto due anni prima.
Non un handicap economico
Ora, il nostro studio dice che “la tariffazione del carbone non e' un handicap per la crescita economica”. Ne e' dimostrazione l'esempio dei nove Stati americani che partecipano al RGGI: tra il 2009 e il 2013, essi hanno complessivamente registrato una crescita economica leggermente superiore al resto degli Stati Uniti (9,2% contro 8,8%), e questo riducendo le loro emissioni totali di gas ad effetto serra ad un ritmo ben maggiore (18% contro 4%). Nello stesso tempo, la Svezia, che ha istituito una tassa carbone agli inizi del 1990, ha fatto diminuire le sue emissioni del 23%, e tutto a beneficio di una crescita economica di circa il 60%.
A questi dispositivi nazionali o regionali -evidenzia lo studio- si aggiunge l'iniziativa privata di un numero sempre crescente di imprese: oggi sono circa 450, rispetto alle 150 di un anno fa, che hanno fissato un “prezzo interno” del carbone, che prendono in considerazione nei loro bilanci. Questo al fine di riorientare i loro investimenti verso attivita' con meno carbone e anticipando l'impatto delle future tariffazioni obbligatorie. E' il caso di Google, Microsoft, BP, Shell o Exxon Mobile, Total, EDF, Engie (ex GDF-Suez), Renault, Saint Gobain, Lafarge, Danone, BNP-Paribas.
Pertanto, se “la tariffazione del carbone fa progressi a livello mondiale”, non siamo ancora lontani da un meccanismo armonizzato che copra l'insieme delle emissioni di gas ad effetto serra. “E' il momento buono per introdurre un prezzo del carbone nel mondo, e nel contempo di ricercare misure complementari come una riforma delle sovvenzioni ai fossili”, dice l'economista britannico Nischolas Stern, ex-vicepresidente della Banca Mondiale e copresidente della New Climate Economy.
Aiuto ai Paesi del Sud
Sempre Stern, preconizza che “tutti i Paesi sviluppati ed emergenti si impegnino ad approvare una tariffazione del carbone entro il 2020”. Questo provvedimento -dice- permetterebbe, entro il 2030, di ridurre le emissioni mondiali annuali di CO2 di un volume che va da 2,8 a 5,6 miliardi di tonnellate. Cifre che vanno comparate ai circa 40 miliardi di tonnellate annuali che vengono diffuse nell'atmosfera dalle attivita' umane.
Facendovi eco, la direttrice generale del Fondo Monetario Internazionale (FMI), Christine Lagarde, ha dichiarato, lo scorso mercoledi' 7 ottobre, ai margini dell'assemblea generale dello stesso FMI a Lima (Peru'): “E' semplicemente il buon momento per introdurre una tassa carbone”. Secondo lei, il valore di una simile tassa, se la stessa fosse generalizzata, costituirebbe “un cuscino di sicurezza” per “i ministri delle finanze [che] cercano risorse di reddito”. E Lagarde aggiunge che questa imposta potrebbe contribuire con quei 100 miliardi di dollari che i Paesi sviluppati hanno promesso di utilizzare, entro il 2020, per aiutare i Paesi del Sud a far fronte alle conseguenze del cambiamento climatico
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(da un articolo di Pierre Le Hir, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 09/10/2015)
 
 
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