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Le unioni civili e le altre priorità, la strage di via D’Amelio e i social network
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Articolo di Alessandro Gallucci
20 luglio 2015 16:43
 
In questi giorni sono due gli avvenimenti che, pur distanti tra loro, mi hanno colpito. Motivo? La protervia, da una parte, e l’ipocrisia, dall’altra, che hanno caratterizzato chi le ha affrontate.
Mi riferisco a quanto ha detto monsignor Galantino, rispetto alla legge sulle unioni civili di cui si chiacchiera in Italia da anni (senza mai raggiungere alcun genere di risultato concreto) e alle reazioni emotive rispetto all’anniversario della strage di via D’Amelio.
Il prelato, a capo dell’organizzazione di dirigenti locali della chiesa cattolica, ha affermato (meglio ribadito) che rispetto alle unioni civili ed in genere a certi diritti individuali la CEI ritiene che vi siano ben altre priorità, ad esempio maggiore attenzione per le famiglie tradizionali. Fermo restando il ridicolo refrain che l’unica famiglia è quella tra uomo e donna uniti in matrimonio (uomo e donna conviventi sono da ritenersi dei reietti in costanza di peccato, non parliamo delle coppie omosessuali) per i dirigenti cattolici bisogna occuparsi prima di altro. Quindi 1.000 persone lautamente pagate per fare leggi non possono discuterne più d’una contemporaneamente? Prendiamo atto dell’offesa della CEI al Parlamento italiano e chiediamo al Ministro degli Esteri di prendere posizione sulla questione. Viste queste premesse, ma anche più generalmente per un naturale e doveroso processo di emancipazione del nostro Stato dalla longa manus dei porporati, sarebbe bene che si iniziasse a ragionare, qui in Italia, sulle altre priorità che si potrebbero avere nella destinazione di quel miliardo di Euro che, spicciolo più spicciolo meno, la cricca della pretaglia rastrella ogni anno dalle tasse degli italiani. Soldi che vanno a loro e alle altre confessioni religiose e che non dovrebbero più essere così distribuiti. Perché per uno Stato laico non è prioritario finanziare le religioni, ma risolvere problemi. Magari quel “miliardo e rotti” lo si potrebbe usare per finanziare la legge sul riconoscimento delle unioni civili e per aiutare ogni genere di famiglia. Crediamo si possa fare il tutto contemporaneamente.
Finito di subire il bombardamento mediatico delle dichiarazioni di Galantino, cui certa lasciva stampa ha concesso spazio in abbondanza, è arrivato il giorno del ricordo della strage di via D’Amelio del 1992, quando furono ammazzati il giudice Borsellino e alcune persone della sua scorta. E su queste cose l’utente medio del social network da il meglio di sé; chi usa facebook o twitter potrà testimoniare l’infinità di ricordi strazianti e commossi della figura di Paolo Borsellino e altrettanti attacchi alla mafia. Cose sacrosante che è bene si ripetano: certo l’ipocrisia di taluni timorati dentro e anti-mafiosi per l'occasione stride un po’ con il senso dell’azione e del sacrificio del giudice ammazzato.
Perché? Perché finita la giornata delle commemorazioni di quella strage, quasi il 100% dei celebratori sui social network – spese parole di disprezzo, odio e schifo verso la mafia - torna al più confortevole "tengo famiglia" della vita di tutti i giorni, piegando, fuori dal web, la testa davanti al sopruso del momento, che esso sia commesso da un pubblico ufficiale, da un superiore sul posto di lavoro o da un proprio pari in un qualunque momento della giornata. Perché in qualche modo si deve pur vivere, perché tanto non ha senso perché nulla cambia, perché in fondo non c’è ragione di esporsi se qualcun altro dietro è già pronto a “farmi le scarpe”. Senza dimenticare quelli della così detta antimafia delle parole; vigorosa nelle condanne verbale, connivente nei comportamenti quotidiani. Però tutti stimano Borsellino. Alè!
 
 
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