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 U.E. - U.E. - Privacy dati personali. Corte Giustizia versus Usa
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7 ottobre 2015 10:36
 
Il caso Snowden colpisce ancora: a Facebook si potra' vietare di conservare negli Usa i dati personali degli iscritti. La Corte di Giustizia europea ha stabilito che gli stati europei possono sospendere, qualora lo ritenessero opportuno, il trasferimento dei dati personali dei loro cittadini verso i server americani in cui sono conservati i dati informatici dei social network. Ovvero un paese potra' d'ora in poi vietare che i profili Facebook siano inviati nelle centrali di archivio informatico americane. E questo perche' si ritiene che gli Stati Uniti non garantiscano a sufficienza la privacy dei dati personali. La direttiva sul trattamento dei dati personali - si legge nel comunicato stampa della Corte Ue- dispone che il trasferimento di tali dati verso un paese terzo puo' avere luogo, in linea di principio, solo se il paese terzo di cui trattasi garantisce per questi dati un adeguato livello di protezione. Sempre secondo la direttiva, la Commissione puo' constatare che un paese terzo, in considerazione della sua legislazione nazionale o dei suoi impegni internazionali, garantisce un livello di protezione adeguato. Infine, la direttiva prevede che ogni Stato membro designi una o piu' autorita' pubbliche incaricate di sorvegliare l'applicazione nel suo territorio delle disposizioni di attuazione della direttiva adottate dagli Stati membri ("autorita' nazionali di controllo").
Tutto parte dalla denuncia di Maximilian Schrems, un cittadino austriaco, che utilizza Facebook dal 2008. Come accade per gli altri iscritti che risiedono nell'Unione, i dati forniti da Schrems a Facebook sono trasferiti, in tutto o in parte, a partire dalla filiale irlandese di Facebook, su server situati nel territorio degli Stati Uniti, dove sono oggetto di trattamento. Schrems ha presentato una denuncia presso l'autorita' irlandese di controllo ritenendo che, alla luce delle rivelazioni fatte nel 2013 dal sig. Edward Snowden in merito alle attivita' dei servizi di intelligence negli Stati Uniti (in particolare della National Security Agency), il diritto e le prassi statunitensi non offrano una tutela adeguata contro la sorveglianza svolta dalle autorita' pubbliche sui dati trasferiti verso tale paese. L'autorita' irlandese ha respinto la denuncia, segnatamente con la motivazione che, in una decisione del 26 luglio 2000, la Commissione ha ritenuto che, nel contesto del cosiddetto regime di "approdo sicuro", gli Stati Uniti garantiscano un livello adeguato di protezione dei dati personali trasferiti. La High Court of Ireland (Alta Corte di giustizia irlandese), investita della causa, vuole sapere se questa decisione della Commissione produca l'effetto di impedire ad un'autorita' nazionale di controllo di indagare su una denuncia con cui si lamenta che un paese terzo non assicura un livello di protezione adeguato e, se necessario, di sospendere il trasferimento di dati contestato.
Nella sua odierna sentenza, la Corte reputa che l'esistenza di una decisione della Commissione che dichiara che un paese terzo garantisce un livello di protezione adeguato dei dati personali trasferiti non puo' sopprimere e neppure ridurre i poteri di cui dispongono le autorita' nazionali di controllo in forza della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e della direttiva. La Corte sottolinea, a questo proposito, il diritto alla protezione dei dati personali garantito dalla Carta e la missione di cui sono investite le autorita' nazionali di controllo in forza della Carta medesima. La Corte considera anzitutto che nessuna disposizione della direttiva osta a che le autorita' nazionali controllino i trasferimenti di dati personali verso paesi terzi oggetto di una decisione della Commissione. Anche quando esiste una decisione della Commissione, quindi, le autorita' nazionali di controllo, investite di una domanda, devono poter esaminare in piena indipendenza se il trasferimento dei dati di una persona verso un paese terzo rispetti i requisiti stabiliti dalla direttiva. Tuttavia, la Corte ricorda che solo essa e' competente a dichiarare invalida una decisione della Commissione, cosi' come qualsiasi atto dell'Unione. Pertanto, qualora un'autorita' nazionale o una persona ritenga che una decisione della Commissione sia invalida, tale autorita' o persona deve potersi rivolgere ai giudici nazionali affinche', nel caso in cui anche questi nutrano dubbi sulla validita' della decisione della Commissione, essi possano rinviare la causa dinanzi alla Corte di giustizia. Pertanto, in ultima analisi e' alla Corte che spetta il compito di decidere se una decisione della Commissione e' valida o no. La Corte passa quindi a verificare la validita' della decisione della Commissione del 26 luglio 2000. A questo proposito, la Corte ricorda che la Commissione era tenuta a constatare che gli Stati Uniti garantiscono effettivamente, in considerazione della loro legislazione nazionale o dei loro impegni internazionali, un livello di protezione dei diritti fondamentali sostanzialmente equivalente a quello garantito nell'Unione a norma della direttiva, interpretata alla luce della Carta. La Corte osserva che la Commissione non ha proceduto a una constatazione del genere, ma si e' limitata a esaminare il regime dell'approdo sicuro. Orbene, senza che alla Corte occorra verificare se questo sistema garantisce un livello di protezione sostanzialmente equivalente a quello assicurato nell'Unione, la Corte rileva che esso e' esclusivamente applicabile alle imprese americane che lo sottoscrivono e che, invece, le autorita' pubbliche degli Stati Uniti non vi sono assoggettate. Inoltre, le esigenze afferenti alla sicurezza nazionale, al pubblico interesse e all'osservanza delle leggi statunitensi prevalgono sul regime dell'approdo sicuro, cosicche' le imprese americane sono tenute a disapplicare, senza limiti, le norme di tutela previste da tale regime laddove queste ultime entrino in conflitto con tali esigenze. Il regime americano dell'approdo sicuro rende cosi' possibili ingerenze da parte delle autorita' pubbliche americane nei diritti fondamentali delle persone, e la decisione della Commissione non menziona l'esistenza, negli Stati Uniti, di norme intese a limitare queste eventuali ingerenze, ne' l'esistenza di una tutela giuridica efficace contro tali ingerenze.
La Corte considera che questa ricostruzione e' avvalorata da due comunicazioni della Commissione, dalle quali si evince, segnatamente, che le autorita' degli Stati Uniti potevano accedere ai dati personali trasferiti dagli Stati membri verso tale paese e trattarli in modo incompatibile, in particolare, con le finalita' del loro trasferimento, anche effettuando un trattamento in eccesso rispetto a cio' che era strettamente necessario e proporzionato alla tutela della sicurezza nazionale. Analogamente, la Commissione ha dichiarato che le persone interessate non disponevano di rimedi amministrativi o giurisdizionali intesi, in particolare, ad accedere ai dati che le riguardano e, se necessario, ad ottenerne la rettifica o la cancellazione. Per quanto attiene al livello di tutela sostanzialmente equivalente alle liberta' e ai diritti fondamentali garantiti all'interno dell'Unione, la Corte dichiara che, nel diritto dell'Unione, una normativa non e' limitata allo stretto necessario se autorizza in maniera generalizzata la conservazione di tutti i dati personali di tutte le persone i cui dati sono trasferiti dall'Unione verso gli Stati Uniti senza che sia operata alcuna differenziazione, limitazione o eccezione in funzione dell'obiettivo perseguito e senza che siano fissati criteri oggettivi intesi a circoscrivere l'accesso delle autorita' pubbliche ai dati e la loro successiva utilizzazione.
La Corte aggiunge che una normativa che consenta alle autorita' pubbliche di accedere in maniera generalizzata al contenuto di comunicazioni elettroniche deve essere considerata lesiva del contenuto essenziale del diritto fondamentale al rispetto della vita privata. Parimenti, la Corte osserva che una normativa che non preveda alcuna facolta' per il singolo di esperire rimedi giuridici diretti ad accedere ai dati personali che lo riguardano o ad ottenerne la rettifica o la cancellazione viola il contenuto essenziale del diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva, facolta', questa, che e' connaturata all'esistenza di uno Stato di diritto. Infine, la Corte dichiara che la decisione della Commissione del 26 luglio 2000 priva le autorita' nazionali di controllo dei loro poteri nel caso in cui una persona contesti la compatibilita' della decisione con la tutela della vita privata e delle liberta' e diritti fondamentali delle persone. La Corte afferma che la Commissione non aveva la competenza di limitare in tal modo i poteri delle autorita' nazionali di controllo. Per questo complesso di motivi, la Corte dichiara invalida la decisione della Commissione del 26 luglio 2000. Tale sentenza comporta la conseguenza che l'autorita' irlandese di controllo e' tenuta a esaminare la denuncia del sig. Schrems con tutta la diligenza necessaria e che a essa spetta, al termine della sua indagine, decidere se, in forza della direttiva, occorre sospendere il trasferimento dei dati degli iscritti europei a Facebook verso gli Stati Uniti perche' tale paese non offre un livello di protezione dei dati personali adeguato. 
 
 
 
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