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19 maggio 2010 17:14 - Annapaola Laldi
Grazie a Lucillafiaccola per aver ripescato questo scritto e averlo aggiornato con queste informazioni che si riferiscono a realtà che ci fanno vergognare.
18 maggio 2010 19:22 - lucillafiaccola1796
L'ITALIA ESPORTA STRUMENTI DI TORTURA. La denuncia di Amnesty International Mercoledí 17.03.2010 19:25 La Repubblica Ceca e la Germania, ma anche l'Italia sono tra i Paesi europei che consentono il traffico di armi che possono essere usate come strumenti di tortura. La denuncia arriva da Amnesty International, che ha stilato un rapporto insieme alla Omega Research Foundation, sui Paesi membri Ue che non riescono ad arginare il commercio di tali strumenti (manganelli arpionati, cuffie da elettroshock, spray chimici) nonostante la legislazione in materia. L'Italia è finita nel mirino per la produzione di 50.000 polsini e manette che sui prigionieri scaricano cariche elettriche da 50mila volt: una lacuna giuridica ne consente infatti il commercio, spiega Amnesty, nonostante in tutta l'Ue sia proibita l'importazione e l'esportazione di cinture stordenti che sono molto simili. La denuncia di Amnesty riguarda numerosi Paesi europei e documenta per esempio come, tra il 2006 e il 2009, la Repubblica Ceca abbia rilasciato licenze d'esportazione per ceppi, armi da elettroshock, spray chimici; e la Germania nello stesso periodo abbia concesso licenze per catene da piedi o spray chimici. Oliver Sprague, direttore per la Gran Bretagna del Settore Armi di Amnesty International, ha fatto notare che "l'Ue non può applicare due pesi e due misure quando si tratta di torture: non può dire che aborre la tortura in ogni circostanza e poi silenziosamente consentire il trasferimento di armi che sono usate come strumenti di tortura". Amnesty chiede agli Stati membri e all'Ue di attivarsi per rendere efficace la legislazione in materia. Defence System SRL, Access Group SRL, Joseph Stifter s.a.s./KG, Armeria Frinchillucci S.r.l e PSA Srl. Sono queste le aziende italiane specializzate in prodotti di elettronica, in armi o di difesa, presenti nel rapporto di Amnesty. "Dal 2007 al 2010 - spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia - queste imprese hanno commercializzato prodotti che fanno parte di quello che noi chiamiamo il commercio della tortura, approfittando dei controlli inadeguati da parte dei governi. Non sappiamo se questi prodotti siano stati anche realizzati nel nostro paese: in ogni caso una delle modalità per aggirare le norme comunitarie è quella di far produrre all'estero. Possiamo dire comunque che le aziende italiane hanno offerto pubblicamente, soprattutto attraverso internet, bastoni elettrici o spray contenenti sostanze chimiche che possono infliggere dolore fisico e che hanno dunque un potenziale pericoloso di tortura". "Non sappiamo nemmeno chi è che compra questi oggetti e dove poi vanno a finire - continua Noury -. Sappiamo invece che in altri paesi, come la Germania e la Repubblica Ceca, questi strumenti sono stati esportati verso nazioni dove sono stati poi usati dalle forze di polizia per effettuare torture: sono finiti in Georgia, Mongolia, Pakistan, India, Cina, Emirati Arabi. Per noi in ogni caso il punto fondamentale è che si tratta di oggetti costruiti per torturare". Sulla commercializzazione di strumenti di tortura c'è poi un problema legislativo. "In Europa - spiega il portavoce di Amnesty International Italia - esiste dal 2006 un regolamento che vieta la commercializzazione di strumenti per la tortura e stabilisce l'obbligo di segnalazione di tutte le licenze per l'esportazione a un registro dell'Unione europea. Ma dalla sua entrata in vigore dei 27 Stati membri pochissimi hanno dato seguito a questo obbligo: sono Bulgaria, Repubblica Ceca, Germania, Lituania, Slovenia, Spagna e Regno Unito. E anche l'Italia ha adottato la normativa europea nel 2007. Comunque non esiste un diritto internazionale che stabilisca sanzioni e questo è, alla fine, il problema principale". "Noi chiediamo una normativa più ristretta e vincolante e una proibizione chiarissima sull'import e l'export di prodotti che possono essere usate anche per torture - sottolinea Noury -. E anche delle sanzioni in caso di violazione del divieto. I controlli devono essere effettuati dai singoli Stati perché al di là di un registro europeo sono poi i singoli paesi che devono controllare le proprie frontiere. Il nostro paese ha dichiarato di non sapere che in Italia si producono strumenti di tortura: il fatto che siano solo commercializzati non è poi così rilevante se alcune aziende sono coinvolte in questo commercio. Il governo italiano ora lo sa".

VIOLENZA E TORTURA, DI STATO Violenza di Stato? Non è una novità. Stefano è l’ultima vittima di Paolo Persichetti Stiamo assistendo ad una recrudescenza della violenza statale? La domanda è d’obbligo dopo l’ultima vicenda che ha portato alla morte di Stefano Cucchi. In realtà il ricorso a pratiche violente da parte degli apparati statali non è una novità. Una semplice disamina di lungo periodo del fenomeno porta a concludere che il ricorso ad un uso brutale, non proporzionato e fuorilegge della forza, è “prassi ordinaria” dei corpi dello Stato. Per i più giovani la memoria arriva alla «macelleria messicana» di Bolzaneto e della Diaz. I più anziani ricordano cosa fossero i commissariati e le carceri del dopoguerra, e cosa accadde nel calderone degli anni 70 con la legge Reale. Dal 1 gennaio 1976 al 30 giugno 1989 vennero uccise dalle «forze dell’ordine» 237 persone, mentre altre 352 rimasero ferite (dati censiti dal Centro Luca Rossi e fondazione Calamandrei). Senza dimenticare le torture contro i militanti della lotta armata praticate nel biennio 1981-1983, dopo il via libera venuto dal Cis, il comitato interministeriale per la sicurezza.Una squadretta dei Nocs imperversò per l’Italia praticando sevizie apprese dai manuali utilizzati dagli aguzzini delle dittature militari dell’America latina. Manuali redatti dai generali francesi che ne avevano aggiornato le tecniche durante la guerra d’Indocina e poi in Algeria, ed esportate in seguito nella famigerata Scuola delle Americhe . Eppure c’è la sensazione che negli ultimi tempi qualcosa sia cambiato. Analisi sociologiche ci spiegano che le forze di polizia si sono hooliganizzate , basta leggere il libro di Carlo Bonini, ( Acab , Einaudi 2009) per farsene un’idea. Sorta di calco del mondo imbastardito delle curve. La sensazione d’impunità, la forza dell’omertà-ambiente che copre questi comportamenti, hanno attenuato i meccanismi di autocontrollo. Il populismo penale, l’importazione dei modelli di “tolleranza zero”, hanno portato alla costruzione di un nuovo “nemico interno” identificato nella piccola devianza, nei migranti. Una gestione dell’ordine pubblico militarizzata, sommata alla legislazione proibizionista e all’internamento carcerario come soluzione dei problemi, hanno generato un mostro sicuritario che produce un fisiologico esercizio della coercizione che dilaga in violenza aperta, tra fermi, celle di sicurezza, tribunali, prigioni. Negli ultimi anni la cronaca è fitta di episodi del genere: Marcello Lonzi , morto nel 2003 all’interno del carcere di Livorno. Sul suo corpo numerosi segni di vergate e colpi di bastone. Dopo anni di denunce la procura ha recentemente riaperto l’inchiesta. Due agenti penitenziari sono indagati. Federico Aldovrandi , pestato a morte il 25 settembre 2005 in piena strada dai poliziotti di una volante. Aldo Bianzino , deceduto il 14 ottobre 2007 nel carcere di Perugia. Sul suo corpo vengono riscontrate «lesioni massive al cervello e alle viscere», provocate prima dell’ingresso nel penitenziario. Un’inchiesta per omicidio volontario è in corso contro ignoti. Stefano Brunetti , arrestato ad Anzio l’8 settembre 2008, muore in ospedale il giorno successivo a causa delle percosse subite. Dall’autopsia emerge un decesso provocato da «emorragia interna dovuta ad un grave danno alla milza. Risultano anche fratture a due costole». Mohammed , marocchino di ventisei anni suicidatosi il 6 marzo 2009 nel carcere di santa Maria Maggiore a Venezia, dopo una lunga permanenza in cella liscia. Sei poliziotti della penitenziaria finiscono nel registro degli indagati per «abuso di autorità contro persone arrestate o detenute». Francesco Mastrogiovanni , morto in un letto di contenzione il 4 agosto scorso dopo un Tso abusivo. Per le molteplici morti violente avvenute in carcere e nelle questure, l’Italia è sotto accusa da parte di alcuni organismi internazionali e dalla commissione europea per la prevenzione della tortura. Il potere sui corpi è qualcosa di osceno

«Il lavoro dell’investigatore, poliziotto o pubblico ministero, si colloca su una linea di confine» Intervista a Carofiglio, senatore PD, magistrato. Di Paolo Persichetti «Il lavoro dell’investigatore, poliziotto o pubblico ministero, si colloca su una linea di confine. Da un lato ci sono delle regole, nonnecessariamente giuridiche, che spesso, in modo consapevole o inconsapevole, vengono violate. Ma senza le regole non c’è nessuna differenza fra guardia e ladro, tutto si riduce a una pura questione di rapporti di forza». Si tratta di uno dei passi finali del Paradosso del poliziotto, dialogo tra un giovane scrittore e un vecchio poliziotto, scritto da Gianrico Carofiglio, oggi senatore del Pd, magistrato in aspettativa e per molti anni pubblico ministero, ma soprattutto autore riconosciuto. Per Sellerio ha pubblicato “I casi dell’avvocato Guerrieri”, “Testimone inconsapevole” e “L’Arte del dubbio”, che potremmo definire un vero manuale sulla tecnica dell’interrogatorio. Forse in questo momento è una delle persone più adatte per aiutarci a capire cosa è successo a Stefano Cucchi, e soprattutto perché. Chi meglio di lui può sapere quel che può accadere nelle pieghe delle indagini, nel chiuso di un posto di polizia durante i momenti che seguono il fermo di un indiziato? Nel Paradosso del poliziotto fa raccontare al vecchio sbirro una scena che marca l’inizio della sua carriera, il pestaggio di un giovane appena arrestato: «quando entrai il ragazzo stava gridando, o forse piangeva. Attorno c’erano sei o sette colleghi, un paio in divisa delle volanti e tutti gli altri della mobile. Quello era seduto, ammanettato dietro la schiena. Gli davano schiaffi e pugni a turno e gli gridavano in faccia e nelle orecchie». A Stefano Cucchi è accaduta una cosa del genere? Questo lo dovranno appurare i titolari dell’inchiesta. Piuttosto sono rimasto molto colpito dalle dichiarazioni fatte da un ufficiale dell’Arma, secondo cui l’unica cosa certa in questa storia è che i carabinieri quella notte si sono comportati correttamente. Un dato certo in realtà è che qualcuno ha prodotto quelle terribili lesioni sul corpo del ragazzo. Se quell’ufficiale garantisce che i carabinieri non hanno nulla di cui rimproverarsi, vuol dire che sa anche chi ha provocato quelle lesioni sul giovane. La conseguenza successiva è che lo deve dire, se vuole essere credibile e non dare l’idea di una difesa d’ufficio di comportamenti inaccettabili.

Marcello Lonzi, ucciso nel 2003 nel carcere di Livorno Nelle indagini uno dei maggiori momenti di criticità è la fase iniziale, quella dove le forze di polizia, in presenza di un fermo, possono agire d’impeto prima dell’intervento della magistratura.

E’ normale che un soggetto tratto in arresto possa essere informalmente interrogato per acquisire notizie utili all’immediato proseguimento dell’indagine. Queste dichiarazioni però non sono utilizzabili e nemmeno verbalizzabili. Un soggetto in stato di arresto non può essere formalmente interrogato dalla polizia giudiziaria. Però nel suo libro il vecchio poliziotto non aspetta il magistrato. Dialoga col rapinatore, gli toglie le manette, gli offre una sigaretta e quello parla? Nell’ultimo capitolo del mio prossimo romanzo, c’è un dialogo tra un avvocato e un poliziotto. Ad un certo punto i due parlano delle loro regole nella vita. Il poliziotto dice: «faccio lo sbirro. La prima regola per uno sbirro è non umiliare chi ha di fronte». Dice questo perché il potere sulle altre persone è qualcosa di osceno, perché è l’impossessamento di un corpo e l’unico modo per renderlo tollerabile è il rispetto. Evitare di passare da una funzione tecnica d’investigatore o giudice, a una funzione di giustiziere morale. Rispettare l’altro indipendentemente da chi è, da cosa ha fatto o si suppone abbia fatto. Si tratta della regola più importante ma anche di quella più facile da violare. Il corpo di Stefano Cucchi non ha avuto questo rispetto. Negli ultimi tempi le cronache hanno registrato anomalie, o per utilizzare il linguaggio dei suoi personaggi, hanno umiliato gli indiziati. Basti pensare a una vicenda come quella della Caffarella, o alla morte di Stefano Brunetti nel 2008, deceduto in carcere per traumi subiti nella fase dell’arresto. Io non parlerei di una recrudescenza. Il fenomeno è più strutturale e si colloca in quella zona grigia che caratterizza le prime fasi concitate delle indagini. In genere, in queste circostanze, c’è il rischio che si manifestino due tipi di violenza, entrambe illegittime, ovviamente. La prima legata alla fase operativa, quando intervengono modalità movimentate di un arresto o di un fermo. La seconda, molto più grave, è quella praticata negli uffici, a volte come inaccettabile punizione preventiva, a volte come altrettanto inaccettabile tecnica investigativa finalizzata ad acquisire prove. Si tratta di una dimensione difficilmente governabile che si colloca nella fase successiva all’arresto, all’apprensione fisica del soggetto interessato all’attività investigativa. Credo che l’unica soluzione – oltre alla repressione rigorosa degli episodi provati – sia lavorare sulla cultura dei dirigenti e degli operatori, mostrando una tolleranza zero verso forme ingiustificabili di puro sadismo. La capacità di parlare con le persone – indagati e testimoni – è in realtà molto più efficace e positiva nelle prospettiva di un’indagine dagli esiti attendibili. Ci sono analisi sociologiche che descrivono una sorta di hooliganizzazione della polizia. «L’Italia non è uno stivale. È un anfibio di celerino». La frase è di un esponente delle forze di polizia, e si trova nel libro di Carlo Bonini, Acab. Qualcosa vorrà pur dire, se un agente si esprime in questo modo? Non si può generalizzare l’atteggiamento di un balordo, o di qualcuno che agisce sotto stress. Non dobbiamo commettere l’errore di dire che la polizia, o i carabinieri, siano questo. Ed è altresì un errore confondere l’uso della violenza che a volte si verifica all’interno dell’attività investigativa con le modalità più o meno brutali di gestione dell’ordine pubblico. Si tratta di due fenomeni distinti. Il primo lo si ritrova, in misura minore o maggiore, nelle polizie di tutto il mondo ed è inversamente proporzionale al grado di civilizzazione e cultura del Paese e delle sue forze di polizia. Altra questione, più legata anche a sollecitazioni politiche, dirette o indirette, quella sull’uso eccessivo della forza in situazioni d’ordine pubblico. Certo si può sempre osservare che in una situazione di barbarie collettiva, di violenza verbale, di perdita di freni inibitori, è più facile che la violenza, in generale, si incrementi. Può anticipare il contenuto dell’interpellanza parlamentare che depositerà la prossima settimana? Tra le altre cose, ho chiesto chiarimenti sul fatto che l’autopsia sul corpo di Stefano Cucchi è stata disposta nell’ambito di un fascicolo che nel gergo si chiama modello 45, cioè il fascicolo in cui si inseriscono gli atti non costituenti notizia di reato. Quando l’autorità giudiziaria dispone un’autopsia, la premessa concettuale e giuridica è che ci sia un’ipotesi di reato, anche remota, benché in questo caso remota non lo fosse affatto. Si tratta di una strana anomalia che dovrà essere spiegata. Di anomalie in questa storia ce ne sono tante. Sembra che Cucchi in caserma avesse indicato un proprio legale di fiducia, che però non risulta mai essere stato avvertito. Quando è comparso in tribunale è stato assistito, per così dire, da un legale d’ufficio. Se la cosa dovesse trovare conferma sarebbe una circostanza di inaudita gravità e probabilmente un indicatore del fatto che si voleva evitare l’intervento del legale di fiducia e la sua funzione di controllo.
1 dicembre 2007 0:00 - gianluigi
Intervento organico e lucidissimo. Merita il massimo della diffusione, anche per la costante attualità degli argomenti.
Complimenti all'Autrice che anche in precedenti scritti ha raggiunto elevati livelli di comunicazione. Complimenti all'ADUC che con questo genere di approfondimenti surclassa analoghe organizzazioni del settore.
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