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Uso dei locali condominiali
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Il condominio di Alessandro Gallucci
23 agosto 2011 11:34
 
La Cassazione, con la sentenza n. 15223 del 14 luglio 2011, è tornata ad occuparsi dell’uso della cosa comune ai sensi dell’art. 1102 c.c.
Il risultato non è diverso dai precedenti pronunciamenti: il diritto d’uso dei singoli condomini è ampio e libero purché ciò non leda il pari diritto degli altri e le altre condizioni previste dalla succitata norma.
Entriamo nel dettaglio
Nel condominio Alfa esiste un manufatto noto ai condomini come locale antenna, nel quale è posta una cisterna per la riserva. Una delle condomine chiede ed ottiene dall’assemblea l’autorizzazione ad utilizzare, non esclusivamente, quella parte d’edificio. L’assemblea decide, altresì, di operare la rimozione del serbatoio. L’uso da parte della comproprietaria si sostanzia nell’apposizione in quel locale d’uno stendino per i panni, di una sedia e di un vaso. Il tutto, emergerà dagli atti di causa, senza che fosse impedito agli altri condomini di fare i loro usi. Non secondo uno di essi, visto e considerato che agiva in giudizio, travisando la situazione, per chiedere ed ottenere l’accertamento della proprietà condominiale del vano e, di conseguenza, la cessazione dell’uso illecito dello stesso. La domanda veniva rigettata sia in primo che in secondo grado.
Da qui in ricorso per Cassazione: pure in questa sede l’originario attore trovava il respingimento delle proprie ragioni.
Il motivo è molto semplice: la causa non verteva sull’accertamento della proprietà condominiale del locale (mai messa in dubbio nemmeno dalla convenuta) ma, al massimo, poteva riguardare la legittimità dell’uso del vano. Uso che, secondo la Corte regolatrice, risultava comunque legittimo.
La norma posta alla base di quest’affermazione è l’art. 1102 c.c.
Questa disposizione “applicabile, in virtù del richiamo contenuto nell'art. 1139 c.c., anche in materia di condominio negli edifici -, consente a ciascun partecipante di servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione, cioè non incida sulla sostanza e struttura del bene, e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Il partecipante alla comunione, pertanto, può usare della cosa comune per un suo fine particolare, con la conseguente possibilità di ritrarre dal bene una utilità specifica aggiuntiva rispetto a quelle che vengono ricavate dagli altri, con il limite di non alterare la consistenza e la destinazione di esso, o di non impedire l'altrui pari uso (Cass. Sez. 2, 12-3-2007 n. 5753); con l'ulteriore precisazione che la nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l'art. 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, posto che nei rapporti condominiali si richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione (Cass. 27-2-2007 n. 4617; Cass. 30-5-2003 n. 8808; Cass. 12-2-1998 n. 1499)”. (Cass. 14 luglio 2011 n. 15223).
In questo contesto, concludono i giudici sul punto, “il fatto che la convenuta si sia servita di una parte del predetto vano per depositarvi alcuni beni personali, non pregiudica il pari uso degli altri condomini, né comporta alcuna alterazione della cosa comune, ma solo una più ampia utilizzazione di tale bene, consentita dalla legge (Cass. ult. cit.)”.
 
 
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