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Il caso delle Poste e l'assurda normativa a tutela degli investitori
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Editoriale di Alessandro Pedone
16 settembre 2015 15:21
 
  Come è noto, a fine Luglio, le Poste sono state multate dalla Consob per gravi violazioni della normativa di settore. Per chi vuole approfondire può leggere direttamente il provvedimento. La Consob ha accertato che Poste Italiane S.p.A. “ha compiuto scelte strategiche, riflesse nei documenti riguardanti la pianificazione commerciale ed i sistemi di incentivazione, tali da orientare, in assenza di adeguata valorizzazione degli effettivi bisogni della clientela, la propria attività di commercializzazione su specifici prodotti o categorie di prodotti (prevalentemente caratterizzati da elevate commissioni up-front)". Non finisce qui. Alle Poste, come nelle banche, hanno la "bella abitudine" di far disinvestire prodotti in portafoglio per venderne di nuovi col ricavato: "Il ricorso a disinvestimenti anticipati della clientela, anche di carattere massivo per il tramite di OPA buyback, strumentali alla utilizzazione delle risorse da essi rivenienti per l'acquisto di altri prodotti 'a budget' in collocamento, determinando così un 'effetto sostituzione' degli strumenti finanziari collocati presso gli investitori (switch), senza che si tenesse conto delle esigenze degli investitori".
 
In pratica, alle Poste fanno quello che fanno sempre tutte le banche, ovvero privilegiare i propri interessi rispetto a quelli dei clienti. Convincere i clienti a fare investimenti che convengono più all'intermediario che non al cliente.
Questo è quello che avviene nella quasi totalità dei casi.
Certo, fa molta specie che ad essere multata sia non una banca privata qualsiasi, ma un'azienda di proprietà dello Stato.
Dopo la multa, ovviamente, è partito tutto il teatrino delle dichiarazioni che assicurano che si tratta di cose del passato e che la nuova gestione ha già sistemato tutto.
Chiaramente è vero l'esatto opposto. La nuova gestione ha previsto un incremento degli utili provenienti dalla vendita di prodotti finanziari ed è evidente che ciò può essere realizzato esclusivamente continuando con politiche commerciali contrarie allo spirito della norma attuale che prevede che l'intermediario debba anteporre l'interesse del cliente al proprio.
 
Quando capiremo che l'assurdità nasce proprio da una norma ipocrita? Una norma che in teoria, ma solo in teoria, è iper garantista per il cliente, ma in pratica consente agli intermediari di sfruttare l'ignoranza dei clienti per vendere loro strumenti che mai sottoscriverebbe se li conoscessero realmente.
Il 90% di quello che viene regolarmente proposto ai clienti di banche e promotori finanziari è privo di senso. Implica costi o rischi inutili che i clienti mai vorrebbero sostenere se sapessero che esiste un'alternativa per loro perfettamente praticabile. Questo è ciò che viene venduto regolarmente. Non è l'eccezione. E' la norma! Solo chi vuole girarsi dall'altra parte, o chi è totalmente ignorante per non capire, può non constatare che ciò che viene regolarmente venduto in banca e dai promotori finanziari conviene più all'intermediario che al cliente.
 
La normativa a tutela degli investitori dovrebbe essere riscritta partendo da assunti completamente diversi. La base della normativa attuale è il concetto così detto della “disclosure”. Anche qui, in teoria tutto bello, in pratica tutto inutile. In teoria si pensa di tutelare l'investitore dandogli tutte le informazioni disponibili per fare scelte d'investimento consapevoli (e giù decine se non centinaia di fogli). In pratica l'investitore non legge nulla, ma firma molto. Firma che ha letto, che conosce, che gli è stato detto, che sa tutto. La banca acquisisce le firme ed ha “assolto” ai suoi doveri.
 
Abbiamo più volte scritto quale sarebbe la nostra proposta di radicale rivoluzione della normativa relativa alla tutela degli investitori che si fonda sul concetto della “scelta standard”. Invece di fare inutili multe (fra l'altro di importi insignificanti per gli intermediari), l'autorità di vigilanza del mercato dovrebbe assumersi l'onere di identificare gli strumenti finanziari utili a coprire le esigenze standard degli investitori con i costi ed i rischi minimi sul mercato.
Tutti coloro che desiderano fare scelte diverse dall'opzione standard dovrebbero dimostrare, con un esame (come si fa con la patente) di avere le nozioni di base per fare una scelta consapevole, oppure dovrebbero avere un consulente, la cui unica retribuzione dovrebbe essere una compenso diretto pagato dal cliente, che si assume la responsabilità dell'investimento.
Questa riforma spazzerebbe via tutta questa ipocrisia legata ad una norma paternalistica eccellente in teoria ma che affida al “Lupo” il ruolo di difendere Cappuccetto Rosso.
 
 
 
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