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Impegnarsi. Il volontariato: anima dello Stato o dell'umanita'?
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Editoriale di Vincenzo Donvito
10 marzo 2015 10:24
 
E' difficile? Bisogna avere il DNA o solo il forte stimolo personale/famigliare? Essere un po' o tanto fanatici -religiosi o meno, poco importa? Un po' strani per cui ci si realizza solo nell'aiuto dell'altro, nella cui soddisfazione si intravede una sorta di altrettanta soddisfazione di se stessi? Non si ha niente di meglio da fare, per cui, tanto vale, farlo per aiutare qualcun altro un po' piu' demunito? Dobbiamo pentirci verso noi stessi e quindi ci buttiamo sull'altro, come una sorta di promessa/voto? Si', mi impegno, ma tanto non serve a nulla, perche' non cambia nulla… certo qualcuno lo aiuto, ma il prossimo e la societa'?
Chi non ha ascoltato -o fatto- queste domande, in ogni occasione in cui si e' trovato al centro di un qualche confronto in merito?
Provate a frequentare un qualunque centro o associazione di volontariato, quello vero, non quello farlocco che si nasconde dietro alla parola volontariato per fregare essenzialmente il fisco. Quello vero, quindi neanche quello a meta', che dice di essere concepito e messo in pratica a fini mutualistici e/o popolari. Quel volontariato che non prende un centesimo di soldi da parte dello Stato; messo in piedi e alimentato solo grazie alla volonta' di chi partecipa, dove questa partecipazione e' anche concepita come parte di una macchina che deve essere altro dallo Stato, e non in sostituzione di quest'ultimo. Quel volontariato che vive di cio' che guadagna (senza fini di lucro, dove gli utili sono solo reinvestiti per lo scopo sociale) e della carita' di chi valuta meritorio cio' che sta facendo. Un volontariato che non puo' e non deve sostituirsi allo Stato, perche' spesso quest'ultimo e' la sua controparte; un volontariato che, concepito come impegno civico, serve a far sentire meno male le vittime anche dello Stato.
Per meglio capire: siamo circondati di volontariato foraggiato dalla pubblica amministrazione e dallo Stato, con talvolta degenerazioni che si manifestano in strutture che sopravvivono a se stesse proprio in virtu' di questa presenza economica dello Stato (Mafia-Roma e' l'ultima punta di tanti iceberg di degenerazione piu' accentuata); tante le sfaccettature, dove la forma giuridica piu' evidente e portatrice di dipendenza e' la ONLUS (organizzazione non lucrativa di utilita' sociale che, di per se', paga meno tasse dei comuni mortali, quindi sempre finanziata dallo Stato).
No, non e' di questo volontariato che stiamo parlando. Ma di uno piu' raro, meno diffuso e -quasi sempre- ignoto ai piu' nel suo essere apocrifo rispetto a Stato e soldi della pubblica' comunita'. Quel volontariato a cui spesso i cittadini si rivolgono convinti che sia come tutti gli altri, e da cui talvolta pretendono come fossero davanti ad uno sportello di un ente pubblico, ma che quando si spiega loro la differenza, tutti capiscono e mostrano interesse a “diventare complici”, a capire insieme anche per far capire e aiutare chi in quel momento non c'e'.
E' un volontariato per ridurre il danno che Stato e privati spesso provocano ai singoli. E che per questo non puo' essere foraggiato o emanato da questo Stato e da questi singoli. Invitiamo a diffidare chi sostiene il contrario con discorsi tipo “lo Stato sociale deve rimediare alle proprie manchevolezze, percio' e' bene che finanzi chi gli da' una mano in merito”. E noi opponiamo una domanda a questa logica: ma se questo Stato si accorge di avere delle manchevolezze, perche' non vi rimedia direttamente? La nostra e' una domanda inutile ma tendenziosa, perche' non ha risposte da parte di chi ci ha ispirato nel porla. Il nostro ispiratore e' portatore di un'assolutezza e onnipresenza dello Stato nel nostro vivere civico e sociale; e' questo Stato che per lui deve rimediare a tutto, e' questo Stato al centro, con intorno i cittadini piu' o meno sudditi. Noi invece crediamo -e mettiamo in pratica, anche a caro prezzo economico, politico e sociale- che lo Stato di per se' ha e deve avere dei limiti, si ferma di fronte all'individuo; lo Stato deve creare opportunita' e anche facilitare chi ne ha piu' bisogno, ma non sostituirsi: lo Stato non ha un'anima (1), non e' una sorta di Leviatano (2) nel nome del quale e per il quale tutto e' possibile, ma e' solo come un amministratore di condominio. I cittadini (i condòmini) ne fanno l'uso strettamente necessario e, liberi individui, si organizzano per mettere a disposizione il proprio tempo e le proprie conoscenze verso chi e' meno informato.
Ognuno ci faccia mente locale e tesoro. E' la liberta'.

(1) uso questa digressione spirituale (anima), anche se il termine corretto sarebbe “weltanschauung“ (visione del mondo); ma, se non consideriamo l'accezione religiosa della parola “anima”, per essere comprensibile ai piu', e' meglio utilizzarla in vece del dotto termine tedesco.
(2) la potenza priva di controllo; biblicamente: volontà divina e simbolo della potenza del Creatore.
 
 
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