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La loro Italia e il Diritto- Il caso Yara
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Editoriale di Vincenzo Donvito
17 giugno 2014 18:09
 
L'Italia della politica, della giustizia e della cultura e' quella che tra ieri e oggi e' esplosa dietro l'individuazione del presunto assassino di Yara Gambirasio. In un primo momento sembrava che il ministro dell'Interno, Angiolino Alfano, avesse raccontato tutto quello che aveva saputo, senza il consenso della Procura che, infatti, si era lamentata: "Era intenzione della Procura mantenere il massimo riserbo", ha spiegato il procuratore Francesco Dettori - anche a tutela dell'indagato in relazione al quale, secondo la Costituzione, esiste la presunzione di innocenza". Il magistrato ha anche puntualizzato che gli inquirenti puntavano a mantenere la vicenda sotto silenzio. Ma poi il ministro Alfano ha precisato di avere solo detto che era stato arrestata una persona fortemente sospettata di essere l'assassino, e di non aver fornito altri particolari.
Probabilmente non sapremo mai chi dice la verita': se il ministro dell'Interno che ha spifferato tutto per farsi bello e la Procura che ha fatto la garantista sui diritti dell'indagato, oppure se il ministro e' stato ligio e tutto e' stato spifferato dalla Procura, che si e' arrabbiata perche' lo scoop gli e' stato soffiato dal ministro e quindi si e' messa a fare la garantista.
Questa e' la nostra politica, la nostra giustizia e la nostra cultura? Diciamo che e' la loro, e noi ne siamo coinvolti in quanto sudditi di questa politica, di questa giustizia e -purtroppo anche- di questa cultura.
Qui abbiamo un ministro che sembra essere garantista e sembra non esserlo: sembra esserlo quando gli torna meglio (ricordiamo, a suo tempo, le strenue e legittime difese dell'imputato -non condannato- Silvio Berlusconi) ma non quando spiffera tutto ai media di una persona non ancora giudicata. E poi abbiamo una Procura che si indigna per i diritti degli indagati o che forse se ne frega di questi diritti e li strumentalizza per farsi bella. Una baillame in cui ci sono tre vittime: l'imputato che ancora deve considerarsi innocente e che nonostante ciò è stato sbattutto su tutti i media, chi fruisce di questa informazione, lo Stato di diritto.
Non ci addentriamo nella ricerca della verita', ma prendiamo atto di quanto accade: anche quando lo Stato potrebbe vantare un successo, prevalgono i personalismi e le polemiche tra istituzioni. Sicuramente, quando un ministro viene accusato dalla magistratura di aver violato la riservatezza delle indagini per farsi pubblicita', le alternative dovrebbero essere due e solo due: il ministro ha torto e deve dimettersi; oppure, la Procura ha torto e deve risponderne.
Ma come sappiamo gia', il ministro Alfano non si dimetterà, visto che non l'ha fatto in passato per casi piuttosto gravi (vedi caso Shalabayeva). E sappiamo già che nessun magistrato pagherà mai perché, di fatto, non esiste alcuna responsabilita' civile dei magistrati nonostante i cittadini lo avessero chiesto con un referendum del 1987.

Anche questa volta finirà tutto a tarallucci e vino...
 
 
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