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Se i software prendono il posto dei gestori dei fondi d'investimento
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Editoriale di Alessandro Pedone
29 marzo 2017 15:14
 
  Ha destato clamore la notizia che una delle più grandi società di gestione (BlackRock) ha deciso di licenziare circa 40 money manager che si occupavano di selezionare singole azioni (in gergo si parla di “stock picking”) per una serie di suoi fondi d'investimento che assieme gestiscono circa 27 miliardi di dollari (cifre da capogiro). Il clamore deriva dal fatto che queste 40 persone verranno sostituite da software che si occuperanno del medesimo lavoro di selezione delle azioni.
Per chi si occupa di queste cose non c'è nessuna sorpresa. Sono molti anni che oltre la metà delle transazioni finanziare negli USA è decisa dai computer con quello che viene chiamato "high frequency trading". Ciò nonostante, da alcuni anni i software stanno conquistando sempre più fette di mercato non soltanto nel trading di tipo più speculativo, pensato per il breve/brevissimo termine (in molti casi l'acquisto e la vendita durano lo spazio di pochi secondi), ma anche nelle scelte d'investimento pensate per il medio/lungo termine.
Questo, in effetti, ha la potenzialità di cambiare molto lo scenario di riferimento sia per come si comporteranno in futuro i mercati, sia per gli investitori che dovranno scegliere come investire i propri risparmi.
In futuro sarà sempre più normale scegliere non più questo o quel gestore, ma questa o quella tipologia di strategia gestita esclusivamente da software. Gli investitori (e prima ancora i loro consulenti) dovranno sempre più familiarizzare con i concetti legati alle valutazioni statistiche di rischio/rendimento di queste strategie.
Sul piano più “sistemico” sappiamo che l'introduzione dell'high frequency trading ha introdotto dei comportamenti anomali nei mercati finaziari, i così detti “flash crash”. Ad esempio, il 6 maggio 2010 in appena quindici minuti le azioni americane persero il 9% per poi recuperare immediatamente dopo il 6%.
Come cambierà il comportamento strutturale dei mercati, cioè le oscillazioni dei prezzi nel medio/lungo termine, nel momento in cui non solo gli investimenti a brevissimo termine, ma anche la maggioranza di tutti gli altri tipi d'investimento, saranno scelti da software?
La risposta non è così scontata come potrebbe apparire, perché molto dipenderà dalle strategie che saranno “cablate” nei software. In linea di principio non si può escludere che il combinato disposto di questi software possa produrre dei miglioramenti del rapporto rischio/rendimento degli asset, ma il timore – comprensibile – è che accada esattamente l'opposto.
Ciò che spaventa maggiormente è la consapevolezza che il contesto socio-politico-culturale nel quale siamo immersi, rende impossibile anche solo ipotizzare che qualche regolatore (e men che meno i legislatori) pensi di governare questo fenomeno che nei prossimi decenni cambierà radicalmente una componente chiave della nostra società, ovvero il sistema finanziario.
Si da per scontato che “il mercato” si autoregola.
Quindi, ciò è ragionevole attendersi è che ciascuno svilupperà i software apparentemente più profittevoli per la singola istituzione, infischiandosene delle conseguenze sistemiche. I costi di qualche “incidente” (prima o poi è naturale che si verifichi) verranno pagati dall'intero mercato e conseguentemente dall'intera società. Andiamo avanti così, fidiamoci della “mano invisibile” di Smith...
 
 
 
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