testata ADUC
FRA AGOSTO E SETTEMBRE ...
Scarica e stampa il PDF
La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
15 settembre 2004 0:00
 
Con l'idea che sono libera di andare via quando mi pare, finisce che sto sempre a casa.. Pero' e' vero che, anche se mi muovessi di piu', il mese di agosto lo passerei comunque in citta'. Secondo me, infatti, e' uno dei periodi dell'anno piu' particolari e va maneggiato con grande cura, direi con rispetto reverenziale, perche' molteplici e sorprendenti sono gli incontri esterni e interiori che vi si fanno. E l'attenzione e il silenzio non sono mai sufficienti.
Cosi', sei giorni prima del fatidico Ferragosto, mi ritrovo anche quest'anno praticamente da sola per un bel tratto della via in cui abito. Dal mio condominio sono partiti, la mattina, anche i signori del piano terra con la loro giovane setter, il che mi liberera' per un po' dal risvegliarmi al suo uggiolio mattutino, e in quello accanto non e' rimasta che una coppia di coniugi anziani. La quiete e' dunque assicurata -mi dico compiaciuta e sollevata, mentre chiudo il cancello dei garage quando manca poco all'imbrunire.
Ma un po' piu' in la', quando il buio e' calato, mi arriva alle orecchie qualcosa di simile a un lamento che si ripete a intervalli regolari, ora piu' forte ora piu' debole. All'inizio mi da' fastidio, poi e' come se, pur con ritrosia, vi sentissi dentro un appello. E' certo un animale; vi sono delle siepi qua intorno, forse un cane vi si e' rifugiato ferito. Acc... non ci mancava altro! Ma la tranquillita' se n'e' andata, e devo verificare. Prendo la torcia elettrica ed esco, pronta a una ricerca laboriosa ... Ma non serve molto tempo ne' molta fatica per arrivare a pochi cancelli oltre il mio, dove il vecchio cocker bianco e nero, che non vedevo piu' da tempo, e' li', solo, a mugolare la sua tristezza di un abbandono sia pur momentaneo e in casa sua, perche' tale e' il garage-ripostiglio, in cui lo hanno lasciato. Si muove inquieto, e mi accorgo che sbatte negli ostacoli. E' cieco.
Il cancello non e' chiuso a chiave, ed entro. Non registra la mia presenza finche' non lo tocco, e allora ha un sobbalzo, ma non si rivolta. Anzi. Sta volentieri a farsi accarezzare, e non fiata piu'. Cosa c'e', Ciccio? (mi viene di chiamarlo cosi', dato che non ho mai capito bene il suo nome). Sei triste? E perche' non dovrebbe esserlo, del resto. Il suo padrone, quello che lo portava sempre fuori, e' morto a gennaio, e ora la sua padrona deve essere andata al mare con la nipotina di tre o quattr'anni -cosi' mi immagino io-, e vi sono certo delle difficolta' nel tenere insieme una bambina piccola e un cane cieco con le orbite allagate come da una muffa verdastra, e per di piu' ormai incapace di salire un solo scalino. Capisco il cane, capisco gli umani.
Che cosa c'e', Ciccio, gli chiedo, dunque. Perche', vedi, il punto e' che io vorrei dormire, e se tu ti lamenti tutta la notte, io che faccio? Non ho mica l'aria condizionata in casa, che chiudo le finestre e. buona notte, sul serio. Io, no. Le finestre le devo lasciare aperte perche' passi un po' d'aria, capisci?
Ispeziono velocemente l'ambiente, e scopro che l'acqua nella ciotola e' sporca. Per fortuna c'e' un piccolo lavatoio con rubinetto e cosi' gliela posso cambiare. Lo piloto vicino alla ciotola perche' si renda conto del cambiamento, poi, un altro paio di carezze, e gli do la buona notte. Dai, dormi anche tu, non sei proprio tutto solo, no?
E in effetti la notte e' passata abbastanza bene. Nei pochi giorni in cui Ciccio e' rimasto ancora solo (veniva a dargli da mangiare e a pulire una delle figlie della signora, che confermo' la giustezza della mia supposizione), ho potuto verificare che, a volte, i suoi lamenti esprimevano un disagio preciso. Una volta gli si era chiusa la porta del locale e lui era rimasto fuori, un'altra aveva fatto i suoi "bisogni grossi", come si dice in tedesco, nello spazio esterno, si', ma evidentemente gli davano noia lo stesso, e basto' che glieli levassi perche' si mettesse tranquillo. Anche l'acqua la voleva sempre pulita, e se non lo era, beh, lo faceva sapere...
Ma, a volte, evidentemente, c'era dell'altro. E quando, un'altra sera -gia' verso mezzanotte-, dopo aver verificato che, secondo i miei criteri, non gli mancava niente, continuo' per una buona mezz'ora a emettere il suo lamento cadenzato, l'unico modo che trovai per non farmi prendere dall'insofferenza fu quello di andargli dietro nel suo dolore; di prendere quella sorta di pianto come la testimonianza di un dolore piu' vasto (quanti esseri, umani e non, stavano morendo in quel momento, o comunque sperimentando una grande sofferenza?) -l'espressione del male di vivere universale che, almeno secondo quanto vedo dentro di me, non si puo' ignorare o far vista che non ci sia, perche' altrimenti si trasforma in un'angoscia senza fine.
Gia', il male di vivere... Era stato il giovane Montale ad aver dato espressione a qualcosa di simile a quello che provavo io in quel momento:

"Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato".

Mi accorsi che, in qualche modo, avevo colto uno dei doni che agosto aveva in serbo per me, e non era una cosa da poco. Di li' a qualche giorno la padrona torno', il vecchio cane riacquisto' la sua quiete . e io la mia.
Ma non era finita. Ai primi di settembre riecco il lamento cadenzato che mi stringe il cuore. Ritorno a vedere. "Ciccio" e' di nuovo solo, di nuovo chiede di essere pulito, un supplemento di attenzione, avuta la quale si calma e, se e' sera, si accuccia e, penso, sprofonda nel sonno. Finche'. finche' due o tre notti dopo non ne vuole sapere di calmarsi. E' mezzanotte e mezzo, torno a dargli un'occhiata; secondo me, e' tutto in ordine. Ciccio che c'e'? Dai dormi.
Ma lui, niente, insiste nel suo lamento, e io, tornata in casa, dopo un'altra mezz'ora, non posso fare altro che mettermi i tappi nelle orecchie, perche' sentirlo, a quel punto, mi riesce insopportabile. Capiro' la domenica mattina, da qualche mormorio dei vicini ormai tutti tornati alla base, che il cane si e' lamentato per quasi tutta la notte.
Accendo la radio, che non ascoltavo da un paio di giorni, e sento della tragedia che si e' consumata in Ossezia il giorno prima. Quanto pianto, quanto dolore ha inondato la nostra atmosfera in quelle ore? Mi si compongono nella mente i versetti del profeta Geremia, che Matteo cita quando racconta la strage degli innocenti perpetrata da Erode:

"Un grido e' stato udito in Rama,
un pianto e un lamento grande;
Rachele piange i suoi figli
e non vuole essere consolata, perche' non sono piu'".

Ho un trasalimento. Ma allora: era forse davvero anche al grido plurimillenario di Rachele, rinnovato oggi nell'Ossezia, che tu, piccolo vecchio cane cieco, davi voce stanotte nel tuo inconsolabile lamento?

NOTE

- Altre considerazioni sul mese d'agosto si trovano in questa rubrica alla data del 15.8.2002 clicca qui
- La poesia di Eugenio Montale, "Spesso il male di vivere ho incontrato" appartiene alla raccolta "Ossi di seppia" e si trova anche su Internet.
Tutta intera suona cosi':

"Spesso il male di vivere ho incontrato
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato".

- La citazione biblica appartiene al "Libro di Geremia" (31,15) ed e' ripresa dall'evangelista Matteo in Mt 2, 13-18.
 
 
LA PULCE NELL'ORECCHIO IN EVIDENZA
 
AVVERTENZE. Quotidiano dell'Aduc registrato al Tribunale di Firenze n. 5761/10.
Direttore Domenico Murrone
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS