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AZZECCAGARBUGLI
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
1 settembre 2007 0:00
 
Sento alla radio la notizia che dare dell'azzeccagarbugli a un avvocato puo' essere considerato diffamante e passibile di condanna.
Ma come?
Un avvocato e', per definizione, azzeccagarbugli, come, per definizione, l'arbitro e' cornuto.
E' vero che sono importanti il tono con cui una data parola e' proferita cosi' come il contesto nel quale e' situata, ma il termine azzeccagarbugli, in se' e per se' e', a mio avviso, uno dei piu' inoffensivi che esistano (certamente, secondo me, piu' inoffensivo di "cornuto", perche' quest'ultimo termine non si riferisce solo all'individuo designato, ma implicitamente diffama, questa volta si', la di lui eventuale compagna).
Azzeccagarbugli, poi, a ben guardare, non e' neppure una definizione, quanto una descrizione che ben si addice al lavoro di un avvocato. Cosa fa, infatti, un avvocato? Nel garbuglio, cioe' nel groviglio dei tanti fili che formano il caso affrontato, cerca di azzeccare, cioe' centrare, cogliere, individuare quello giusto, a partire dal quale puo' dipanare la matassa e trovare la soluzione giusta per il cliente.
E' vero tuttavia che, fin dalla sua invenzione, che si deve ad Alessandro Manzoni, il termine e' suonato come un soprannome che, fa capire subito il narratore, non doveva essere affatto gradito al famoso dottore in legge conosciuto come tale.
Ma tant'e'. Come molti altri nomi e situazioni manzoniane, Azzeccagarbugli e' diventato molto popolare e, passando di bocca in bocca, ha fatto persino perdere le tracce della sua origine non solo letteraria ma anche di soprannome. E' il mio caso: avendo letto I promessi Sposi da qualche decennio, mi sembrava che Azzeccagarbugli fosse il cognome del celebre avvocato, cosi' come Perpetua e' il nome proprio della domestica di don Abbondio, che, grazie al romanzo di Manzoni, e' diventato un nome comune (perpetua) per indicare, appunto, la domestica di un prete. E invece, no. Azzeccagarbugli nasce proprio come soprannome e, come tale, comporta una certa irriverenza. Ragion per cui ci si potrebbe legittimamente chiedere quale stima avesse Manzoni per gli avvocati ... Ma mi fermo qui, perche' non vorrei che l'ordine degli avvocati chiedesse un processo postumo contro il nostro autore per offesa alla categoria, nel quale potrebbe pesare come aggravante la grande fama del Nostro e la felicita' dell'invenzione, perche' bisogna riconoscere che Azzeccagarbugli e' proprio un termine. azzeccato!
Semmai, se proprio vogliamo cercare il pelo nell'uovo, potremmo dire che il soprannome puo' suonare offensivo per il fatto che e' collegato con un avvocato pavido e vigliacco che usa la sua scienza per far andare assolti i ribaldi e si rifiuta di tutelare il buon diritto della persona offesa, anzi la caccia in malo modo, accusandola, come fa con Renzo, di avergli teso un tranello. Un uomo, questo Azzeccagarbugli manzoniano, che non e' soltanto "forte coi deboli e debole coi forti", come, in qualche modo e' anche il prete don Abbondio, ma, peggio ancora, ha l'aria di un vero e proprio venduto ai pre-potenti.
La cosa migliore da fare, a questo punto, mi sembra quella di dare la parola allo stesso Alessandro Manzoni, proponendo la lettura della parte del terzo capitolo dei Promessi Sposi, in cui compare questo personaggio.
Prima di farlo, tuttavia, tre piccoli richiami. Il primo sulla vicenda: il 7 novembre 1628, il giorno prima delle nozze tra Renzo e Lucia, due bravi, al servizio del prepotente signorotto del luogo don Rodrigo, diffidano don Abbondio dal celebrare quel matrimonio (con un'altra frase diventata celeberrima: "Questo matrimonio non s'ha da fare"). Don Abbondio, che "non era un cuor di leone", trova una scusa con Renzo, ma questi riesce velocemente a risalire al nome di don Rodrigo e a questo punto la madre di Lucia, Agnese, gli suggerisce di consultarsi con l'avvocato. Il secondo riguarda invece un'altra immagine diventata famosa; si tratta dei famosi capponi di Renzo che egli porta all'avvocato per ingraziarselo, e sui quali Manzoni posa un occhio compassionevole e insieme critico, osservando come, nella comune situazione di prigionia e sofferenza, le povere bestie " intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura". Il terzo riguarda un altro termine diventato famoso coi Promessi Sposi ed e' quello delle grida, cioe' delle leggi contro i bravi, sempre piu' minacciose, emanate dai governatori spagnoli di Milano, che, alla fin fine, come osserva Manzoni, che ne riporta alcune fedelmente anche in questo capitolo, rendevano soltanto piu' difficile la vita agli onesti, mentre i mascalzoni di grande e piccolo cabotaggio trovavano sempre il verso di uscirne, anche con l'aiuto di avvocati sul tipo di Azzeccagarbugli. (Naturalmente, ogni riferimento con la nostra epoca e', davvero, puramente casuale).

Ed ecco dunque, a Voi, dal capitolo III dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni .. il dottor Azzeccagarbugli!

"[...]-Sentite, figliuoli; date retta a me, -disse, dopo qualche momento, Agnese. -Io son venuta al mondo prima di voi; e il mondo lo conosco un poco. Non bisogna poi spaventarsi tanto: il diavolo non e' brutto quanto si dipinge. A noi poverelli le matasse paion piu' imbrogliate, perche' non sappiam trovarne il bandolo; ma alle volte un parere, una parolina d'un uomo che abbia studiato... so ben io quel che voglio dire. Fate a mio modo, Renzo; andate a Lecco; cercate del dottor Azzecca-garbugli, raccontategli... Ma non lo chiamate cosi', per amor del cielo: e' un soprannome. Bisogna dire il signor dottor... Come si chiama, ora? Oh to'! non lo so il nome vero: lo chiaman tutti a quel modo. Basta, cercate di quel dottore alto, asciutto, pelato, col naso rosso, e una voglia di lampone sulla guancia.
-Lo conosco di vista, -disse Renzo.
-Bene, -continuo' Agnese: -quello e' una cima d'uomo! Ho visto io piu' d'uno ch'era piu' impicciato che un pulcin nella stoppa, e non sapeva dove batter la testa, e, dopo essere stato un'ora a quattr'occhi col dottor Azzecca-garbugli (badate bene di non chiamarlo cosi'!), l'ho visto, dico, ridersene. Pigliate quei quattro capponi, poveretti! a cui dovevo tirare il collo, per il banchetto di domenica, e portateglieli; perche' non bisogna mai andar con le mani vote da que' signori. Raccontategli tutto l'accaduto; e vedrete che vi dira', su due piedi, di quelle cose che a noi non verrebbero in testa, a pensarci un anno.
Renzo abbraccio' molto volentieri questo parere; Lucia l'approvo'; e Agnese, superba d'averlo dato, levo', a una a una, le povere bestie dalla sti'a, riuni' le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegno' in mano a Renzo; il quale, date e ricevute parole di speranza, usci' dalla parte dell'orto, per non esser veduto da' ragazzi, che gli correrebber dietro, gridando: lo sposo! lo sposo! Cosi', attraversando i campi o, come dicon cola', i luoghi, se n'ando' per viottole, fremendo, ripensando alla sua disgrazia, e ruminando il discorso da fare al dottor Azzecca-garbugli. Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, cosi' legate e tenute per le zampe, a capo all'in giu', nella mano d'un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l'alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.
Giunto al borgo, domando' dell'abitazione del dottore; gli fu indicata, e v'ando'. All'entrare, si senti' preso da quella suggezione che i poverelli illetterati provano in vicinanza d'un signore e d'un dotto, e dimentico' tutti i discorsi che aveva preparati; ma diede un'occhiata ai capponi, e si rincoro'. Entrato in cucina, domando' alla serva se si poteva parlare al signor dottore. Adocchio' essa le bestie, e, come avvezza a somiglianti doni, mise loro le mani addosso, quantunque Renzo andasse tirando indietro, perche' voleva che il dottore vedesse e sapesse ch'egli portava qualche cosa. Capito' appunto mentre la donna diceva: -date qui, e andate innanzi-. Renzo fece un grande inchino: il dottore l'accolse umanamente, con un - venite, figliuolo, - e lo fece entrar con se' nello studio. Era questo uno stanzone, su tre pareti del quale eran distribuiti i ritratti de' dodici Cesari; la quarta, coperta da un grande scaffale di libri vecchi e polverosi: nel mezzo, una tavola gremita d'allegazioni, di suppliche, di libelli, di gride, con tre o quattro seggiole all'intorno, e da una parte un seggiolone a braccioli, con una spalliera alta e quadrata, terminata agli angoli da due ornamenti di legno, che s'alzavano a foggia di corna, coperta di vacchetta, con grosse borchie, alcune delle quali, cadute da gran tempo, lasciavano in liberta' gli angoli della copertura, che s'accartocciava qua e la'. Il dottore era in veste da camera, cioe' coperto d'una toga ormai consunta, che gli aveva servito, molt'anni addietro, per perorare, ne' giorni d'apparato, quando andava a Milano, per qualche causa d'importanza. Chiuse l'uscio, e fece animo al giovine, con queste parole: -figliuolo, ditemi il vostro caso.
-Vorrei dirle una parola in confidenza.
-Son qui, -rispose il dottore: -parlate -. E s'accomodo' sul seggiolone. Renzo, ritto davanti alla tavola, con una mano nel cocuzzolo del cappello, che faceva girar con l'altra, ricomincio': -vorrei sapere da lei che ha studiato...
-Ditemi il fatto come sta, -interruppe il dottore.
-Lei m'ha da scusare: noi altri poveri non sappiamo parlar bene. Vorrei dunque sapere...
-Benedetta gente! siete tutti cosi': in vece di raccontar il fatto, volete interrogare, perche' avete gia' i vostri disegni in testa.
-Mi scusi, signor dottore. Vorrei sapere se, a minacciare un curato, perche' non faccia un matrimonio, c'e' penale.
"Ho capito", disse tra se' il dottore, che in verita' non aveva capito. "Ho capito". E subito si fece serio, ma d'una serieta' mista di compassione e di premura; strinse fortemente le labbra, facendone uscire un suono inarticolato che accennava un sentimento, espresso poi piu' chiaramente nelle sue prime parole. -Caso serio, figliuolo; caso contemplato. Avete fatto bene a venir da me. E' un caso chiaro, contemplato in cento gride, e... appunto, in una dell'anno scorso, dell'attuale signor governatore. Ora vi fo vedere, e toccar con mano.
Cosi' dicendo, s'alzo' dal suo seggiolone, e caccio' le mani in quel caos di carte, rimescolandole dal sotto in su, come se mettesse grano in uno staio.
-Dov'e' ora? Vien fuori, vien fuori. Bisogna aver tante cose alle mani! Ma la dev'esser qui sicuro, perche' e' una grida d'importanza. Ah! ecco, ecco-. La prese, la spiego', guardo' alla data, e, fatto un viso ancor piu' serio, esclamo': -il 15 d'ottobre 1627! Sicuro; e' dell'anno passato: grida fresca; son quelle che fanno piu' paura. Sapete leggere, figliuolo?
-Un pochino, signor dottore.
-Bene, venitemi dietro con l'occhio, e vedrete. E, tenendo la grida sciorinata in aria, comincio' a leggere, borbottando a precipizio in alcuni passi, e fermandosi distintamente, con grand'espressione, sopra alcuni altri, secondo il bisogno:
-Se bene, per la grida pubblicata d'ordine del signor Duca di Feria ai 14 di dicembre 1620, et confirmata dall'lllustriss. et Eccellentiss. Signore il Signor Gonzalo Fernandez de Cordova, eccetera, fu con rimedii straordinarii e rigorosi provvisto alle oppressioni, concussioni et atti tirannici che alcuni ardiscono di commettere contro questi Vassalli tanto divoti di S. M., ad ogni modo la frequenza degli eccessi, e la malitia, eccetera, e' cresciuta a segno, che ha posto in necessita' l'Eccell. Sua, eccetera. Onde, col parere del Senato et di una Giunta, eccetera, ha risoluto che si pubblichi la presente.
-E cominciando dagli atti tirannici, mostrando l'esperienza che molti, cosi' nelle Citta', come nelle Ville... sentite? di questo Stato, con tirannide esercitano concussioni et opprimono i piu' deboli in varii modi, come in operare che si facciano contratti violenti di compre, d'affitti... eccetera: dove sei? ah! ecco; sentite: che seguano o non seguano matrimonii. Eh?
E' il mio caso, -disse Renzo.
-Sentite, sentite, c'e' ben altro; e poi vedremo la pena. Si testifichi, o non si testifichi; che uno si parta dal luogo dove abita, eccetera; che quello paghi un debito; quell'altro non lo molesti, quello vada al suo molino: tutto questo non ha che far con noi. Ah ci siamo: quel prete non faccia quello che e' obbligato per l'uficio suo, o faccia cose che non gli toccano. Eh?
-Pare che abbian fatta la grida apposta per me.
-Eh? non e' vero? sentite, sentite: et altre simili violenze, quali seguono da feudatarii, nobili, mediocri, vili, et plebei. Non se ne scappa: ci son tutti: e' come la valle di Giosafat. Sentite ora la pena. Tutte queste et altre simili male attioni, benche' siano proibite, nondimeno, convenendo metter mano a maggior rigore, S. E., per la presente, non derogando, eccetera, ordina e comanda che contra li contravventori in qualsivoglia dei suddetti capi, o altro simile, si proceda da tutti li giudici ordinarii di questo Stato a pena pecuniaria e corporale, ancora di relegatione o di galera, e fino alla morte... una piccola bagattella! all'arbitrio dell'Eccellenza Sua, o del Senato, secondo la qualita' dei casi, persone e circostanze. E questo ir-re-mis-si-bil-mente e con ogni rigore, eccetera. Ce n'e' della roba, eh? E vedete qui le sottoscrizioni: Gonzalo Fernandez de Cordova; e piu' in giu': Platonus; e qui ancora: Vidit Ferrer: non ci manca niente.
Mentre il dottore leggeva, Renzo gli andava dietro lentamente con l'occhio, cercando di cavar il costrutto chiaro, e di mirar proprio quelle sacrosante parole, che gli parevano dover esser il suo aiuto. Il dottore, vedendo il nuovo cliente piu' attento che atterrito, si maravigliava. "Che sia matricolato costui", pensava tra se'. - Ah! ah! - gli disse poi: - vi siete pero' fatto tagliare il ciuffo. Avete avuto prudenza: pero', volendo mettervi nelle mie mani, non faceva bisogno. Il caso e' serio; ma voi non sapete quel che mi basti l'animo di fare, in un'occasione.
Per intender quest'uscita del dottore, bisogna sapere, o rammentarsi che, a quel tempo, i bravi di mestiere, e i facinorosi d'ogni genere, usavan portare un lungo ciuffo, che si tiravan poi sul volto, come una visiera, all'atto d'affrontar qualcheduno, ne' casi in cui stimasser necessario di travisarsi, e l'impresa fosse di quelle, che richiedevano nello stesso tempo forza e prudenza. Le gride non erano state in silenzio su questa moda. Comanda Sua Eccellenza (il marchese de la Hynojosa) che chi portera' i capelli di tal lunghezza che coprano il fronte fino alli cigli esclusivamente, ovvero portera' la trezza, o avanti o dopo le orecchie, incorra la pena di trecento scudi; et in caso d'inhabilita', di tre anni di galera, per la prima volta, e per la seconda, oltre la suddetta, maggiore ancora, pecuniaria et corporale, all'arbitrio di Sua Eccellenza.
Permette pero' che, per occasione di trovarsi alcuno calvo, o per altra ragionevole causa di segnale o ferita, possano quelli tali, per maggior decoro e sanita' loro, portare i capelli tanto lunghi, quanto sia bisogno per coprire simili mancamenti e niente di piu'; avvertendo bene a non eccedere il dovere e pura necessita', per (non) incorrere nella pena agli altri contraffacienti imposta.
E parimente comanda a' barbieri, sotto pena di cento scudi o di tre tratti di corda da esser dati loro in pubblico, et maggiore anco corporale, all'arbitrio come sopra, che non lascino a quelli che toseranno, sorte alcuna di dette trezze, zuffi, rizzi, ne' capelli piu' lunghi dell'ordinario, cosi' nella fronte come dalle bande, e dopo le orecchie, ma che siano tutti uguali, come sopra, salvo nel caso dei calvi, o altri difettosi, come si e' detto. Il ciuffo era dunque quasi una parte dell'armatura, e un distintivo de' bravacci e degli scapestrati; i quali poi da cio' vennero comunemente chiamati ciuffi. Questo termine e' rimasto e vive tuttavia, con significazione piu' mitigata, nel dialetto: e non ci sara' forse nessuno de' nostri lettori milanesi, che non si rammenti d'aver sentito, nella sua fanciullezza, o i parenti, o il maestro, o qualche amico di casa, o qualche persona di servizio, dir di lui: e' un ciuffo, e' un ciuffetto.
-In verita', da povero figliuolo, -rispose Renzo, -io non ho mai portato ciuffo in vita mia.
-Non facciam niente, -rispose il dottore, scotendo il capo, con un sorriso, tra malizioso e impaziente. -Se non avete fede in me, non facciam niente. Chi dice le bugie al dottore, vedete figliuolo, e' uno sciocco che dira' la verita' al giudice. All'avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle. Se volete ch'io v'aiuti, bisogna dirmi tutto, dall'a fino alla zeta, col cuore in mano, come al confessore. Dovete nominarmi la persona da cui avete avuto il mandato: sara' naturalmente persona di riguardo; e, in questo caso, io andero' da lui, a fare un atto di dovere. Non gli diro', vedete, ch'io sappia da voi, che v'ha mandato lui: fidatevi. Gli diro' che vengo ad implorar la sua protezione, per un povero giovine calunniato. E con lui prendero' i concerti opportuni, per finir l'affare lodevolmente. Capite bene che, salvando se', salvera' anche voi. Se poi la scappata fosse tutta vostra, via, non mi ritiro: ho cavato altri da peggio imbrogli... Purche' non abbiate offeso persona di riguardo, intendiamoci, m'impegno a togliervi d'impiccio: con un po' di spesa, intendiamoci. Dovete dirmi chi sia l'offeso, come si dice: e, secondo la condizione, la qualita' e l'umore dell'amico, si vedra' se convenga piu' di tenerlo a segno con le protezioni, o trovar qualche modo d'attaccarlo noi in criminale, e mettergli una pulce nell'orecchio; perche', vedete, a saper ben maneggiare le gride, nessuno e' reo, e nessuno e' innocente. In quanto al curato, se e' persona di giudizio, se ne stara' zitto; se fosse una testolina, c'e' rimedio anche per quelle. D'ogni intrigo si puo' uscire; ma ci vuole un uomo: e il vostro caso e' serio, vi dico, serio: la grida canta chiaro; e se la cosa si deve decider tra la giustizia e voi, cosi' a quattr'occhi, state fresco. Io vi parlo da amico: le scappate bisogna pagarle: se volete passarvela liscia, danari e sincerita', fidarvi di chi vi vuol bene, ubbidire, far tutto quello che vi sara' suggerito.
Mentre il dottore mandava fuori tutte queste parole, Renzo lo stava guardando con un'attenzione estatica, come un materialone sta sulla piazza guardando al giocator di bussolotti, che, dopo essersi cacciata in bocca stoppa e stoppa e stoppa, ne cava nastro e nastro e nastro, che non finisce mai. Quand'ebbe pero' capito bene cosa il dottore volesse dire, e quale equivoco avesse preso, gli tronco' il nastro in bocca, dicendo: - oh! signor dottore, come l'ha intesa? l'e' proprio tutta al rovescio. Io non ho minacciato nessuno; io non fo di queste cose, io: e domandi pure a tutto il mio comune, che sentira' che non ho mai avuto che fare con la giustizia. La bricconeria l'hanno fatta a me; e vengo da lei per sapere come ho da fare per ottener giustizia; e son ben contento d'aver visto quella grida. -Diavolo! -esclamo' il dottore, spalancando gli occhi. -Che pasticci mi fate? Tant'e'; siete tutti cosi': possibile che non sappiate dirle chiare le cose?
-Ma mi scusi; lei non m'ha dato tempo: ora le raccontero' la cosa, com'e'. Sappia dunque ch'io dovevo sposare oggi, -e qui la voce di Renzo si commosse, -dovevo sposare oggi una giovine, alla quale discorrevo, fin da quest'estate; e oggi, come le dico, era il giorno stabilito col signor curato, e s'era disposto ogni cosa. Ecco che il signor curato comincia a cavar fuori certe scuse... basta, per non tediarla, io l'ho fatto parlar chiaro, com'era giusto; e lui m'ha confessato che gli era stato proibito, pena la vita, di far questo matrimonio. Quel prepotente di don Rodrigo...
-Eh via! -interruppe subito il dottore, aggrottando le ciglia, aggrinzando il naso rosso, e storcendo la bocca, -eh via! Che mi venite a rompere il capo con queste fandonie? Fate di questi discorsi tra voi altri, che non sapete misurar le parole; e non venite a farli con un galantuomo che sa quanto valgono. Andate, andate; non sapete quel che vi dite: io non m'impiccio con ragazzi; non voglio sentir discorsi di questa sorte, discorsi in aria.
-Le giuro...
-Andate, vi dico: che volete ch'io faccia de' vostri giuramenti? Io non c'entro: me ne lavo le mani -. E se le andava stropicciando, come se le lavasse davvero. -Imparate a parlare: non si viene a sorprender cosi' un galantuomo.
-Ma senta, ma senta, -ripeteva indarno Renzo: il dottore, sempre gridando, lo spingeva con le mani verso l'uscio; e, quando ve l'ebbe cacciato, apri', chiamo' la serva, e le disse: -restituite subito a quest'uomo quello che ha portato: io non voglio niente, non voglio niente.
Quella donna non aveva mai, in tutto il tempo ch'era stata in quella casa, eseguito un ordine simile: ma era stato proferito con una tale risoluzione, che non esito' a ubbidire. Prese le quattro povere bestie, e le diede a Renzo, con un'occhiata di compassione sprezzante, che pareva volesse dire: bisogna che tu l'abbia fatta bella. Renzo voleva far cerimonie; ma il dottore fu inespugnabile; e il giovine, piu' attonito e piu' stizzito che mai, dovette riprendersi le vittime rifiutate, e tornar al paese, a raccontar alle donne il bel costrutto della sua spedizione[...]".

NOTA

I promessi Sposi sono in rete su diversi siti, ma preferisco indirizzare a quello del "Liceo Berchet" di Milano perche', per ogni capitolo, offre, oltre al testo integrale, anche un breve interessante commento:
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Un'accurata biografia di Alessandro Manzoni (Milano 7 marzo 1785- Milano 22 maggio 1873), a cura di Maria Adele Garavaglia si trova sullo stesso sito:
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