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DELLA SERIE: CENCIO DICE MAL DI STRACCIO
(con il corroborante sostegno di CECCO ANGIOLIERI)
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
15 novembre 2005 0:00
 
Quante piccole, significative illuminazioni posso contare nella mia biografia!
Una di queste venne molti anni fa -ma non moltissimi. Ero quindi, anagraficamente, gia' piu' che adulta. Mi ricordo bene la dinamica che mi porto' a una utilissima scoperta di un interessante risvolto della vita, ma non ho chiaro se quando la feci, questa scoperta, la manifestai sul momento o la tenni per me.
La scena si svolse davanti alla cassa di una bottega di fornaio, dove ero solita comprare il pane. Mi ero accorta che, quando compravo un pezzo di pane tagliato da una forma piu' grande, il prezzo lievitava automaticamente di 50 lire, e un giorno, un po' per curiosita', un po' per provocazione, chiesi alla cassiera-padrona se quel sovrappiu' era legale o abusivo. Invece di rispondermi chiaramente, replico' seccata: "Eh, quanto la fa lunga per 50 lire!".
Parole che ebbero l'effetto lampadina
di Archimede Pitagorico nei sempre amati album di Topolino & C!
"Gia'", pensai a mia volta (e forse dissi a voce alta), "quanto la fa lunga, anche Lei, per 50 lire!"
Da quel giorno evitai accuratamente di comprare il pane in quella bottega, in cui peraltro avevo ricevuto il nucleo di un insegnamento che si sarebbe rivelato col tempo sempre piu' prezioso.
Perche', in effetti, a quello che posso constatare ormai a ogni pie' sospinto, non esiste osservazione, critica, rimprovero che non sia riflettibile sulla persona che lo esprime.
Nel caso accennato, la fornaia intendeva dare di pidocchiosa a me che ero perplessa su quell'aumento di prezzo, ma non si rendeva conto, la tapina, che, implicitamente, dava di pidocchiosa a se stessa. Infatti, il mio attaccamento alle 50 lire nel chiederne la legittimita' era pari al suo attaccamento nel pretenderle da me -e ingiustamente, come poi appurai dai vigili urbani. Ma, d'altra parte, neppure io potevo negare di essere, in altre occasioni, a mia volta, abbastanza "tirata"; insomma, ci eravamo fatte reciprocamente da specchio. In certo qual modo eravamo il "cencio" e lo "straccio" di quel profondissimo quanto esilarante detto popolare: "Cencio dice mal di straccio".
Questa specularita' e' cosa di ogni istante, e riconoscerla e' una cosa per me bellissima, un'autentica salvazione dal cadere nella trappola dello scontro personale, non solo inutile, ma sempre, senza eccezione alcuna, nocivo, e lesivo della dignita' e dell'intelligenza di tutti gli attori coinvolti. Infatti, che cosa si puo' dire di male di un'altra persona che non si possa dire di noi stessi?
"Sei un ipocrita!!!!" -"D'accordo.. Perche' tu no?".
"Sei un presuntuoso!!!" -Si', OK. Perche' tu no?".
"Sei un egoista!!!" -"Si', certo, perche' tu no?".
"Hai un sacco di problemi!!!" -"Ma figurati! Perche' tu no?".
"Fai schifo!!!" -"Si', va bene. Perche' tu no?".
E si puo' continuare davvero all'infinito.
Ma attenzione: l'unica condizione necessaria per sottrarsi allo scempio di un confronto che degenera in affronto e' essere convinti in concreto (e non solo in astratto) di essere persone totalmente umane e quindi esposte a tutto cio' che comporta l'umana fragilita', con la conseguenza pratica che nella replica, al massimo, ci si deve fermare a quel: "perche', tu no?" -ed e' gia' molto (ma forse sarebbe meglio : "Si', e allora?", se non addirittura un sorridente silenzio). Senno' non funziona, e cadremo ugualmente nella spirale delle ritorsioni, mettendo cosi' ancora piu' a nudo le nostre debolezze dovute a "sventura o poco senno", come rileva con dolente profondita' il poeta senese del Duecento, CECCO ANGIOLIERI nella prima terzina (evidenziata) del sonetto che offro alla lettura qui di seguito. In esso il poeta senese ritorce su Dante Alighieri tutte le accuse che il Sommo poeta doveva avergli fatto in un altro sonetto, andato, ahinoi, perduto. Questa poesia non e' cosi' celebre come "S'i' fossi foco" (vedi: clicca qui) e, forse, neppure cosi' immediata alla nostra comprensione, ma, se abbiamo pazienza, ci apparira' presto in tutta la forza espressiva che scaturisce da immagini di grande plasticita'. E a questa pazienza invito chi sta leggendo, perche' il valore di una poesia, come del resto di una musica o di un dipinto, si apprezza a mano a mano che ci diventa piu' familiare. E dato che esiste la possibilita' che certe espressioni risultino difficili a prima vista, ne do la "traduzione" per consentire il piu' possibile il piacere della lettura diretta, mentre in "nota", "faccio la prosa", come a scuola.
["Begolardo"/ buffone. "S'io mordo 'l grasso"/se sono avido o goloso. "S'io cimo 'l panno"/ se taglio i panni addosso, se sparlo. "E tu vi freghi el cardo"/ tu cardi, cioe' tu sei maldicente. "S'io so' discorso"/ sono sboccato, esagero. "S'io gentileggio"/ mi do arie da nobile. "Tu misser t'avveni"/ ti atteggi da sapiente. "Vo' dir piue"/ vuoi continuare. "Pugnerone"/ il bastone con in cima il pungolo, usato dai contadini per far "stare al solco" i buoi].


SONETTO CXI

Dante Alleghier, s'i' so' buon begolardo,
tu me ne tien' ben la lancia a le reni;
s'i' desno con altrui, e tu vi ceni;
s'io mordo 'l grasso. e tu vi sughi el lardo;
s'io cimo 'l panno, e tu vi freghi el cardo;
s'io so' discorso, e tu poco t'affreni;
s'io gentileggio, e tu missèr t'avveni;
s'io so' fatto romano, e tu lombardo.
Si che, laudato Idio, rimproverare
poco po' l'uno a l'altro di noi due:
sventura o poco senno ce'l fa fare.
E se di tal materia vo' dir piùe,
Dante, risponde, ch'i' t'avrò a stancare,
ch'i' so' lo pugnerone, e tu se' 'l bue.

NOTA
"Traduzione" del sonetto: "Dante Alighieri, se io sono un buffone, tu mi segui molto da vicino. Se io pranzo con qualcuno, tu vi ceni. Se io sono avido, tu non sei da meno. Se io taglio i panni addosso, tu fai di peggio. Se io parlo in modo sboccato, tu non ti freni. Se io mi do arie nobili, tu ti atteggi a gran sapiente (il titolo di "Messere" si dava ai dotti e ai notai). Se io sono dovuto andare in esilio a Roma, tu sei andato in esilio in Lombardia. Cosi' che, Dio sia lodato, nessuno di noi due puo' rimproverare l'altro, ma siamo entrambi vittime della sventura o della nostra scarsa saggezza. E se vuoi continuare nella disputa, fai attenzione, perché saro' io che stanco te, in quanto io sono il pungolo e tu il bue".

La numerazione e il testo di questo sonetto sono ripresi da: CECCO ANGIOLIERI; Sonetti (a cura di Menotti Stanghellini), Accademia dei Rozzi di Siena / Edizioni Il Leccio, Badesse - Monteriggioni, s.i.d. (ma finito di stampare nel novembre 2003) clicca qui

Secondo me questo e' un bel libro perche', tra l'altro, spiega con chiarezza le situazioni storiche e biografiche dei diversi sonetti. Si capisce che e' scritto da una persona che, oltre a una conoscenza della storia, della letteratura e della filologica, ha anche una grande passione per questo poeta e la sua poesia -e la sa trasmettere.

Rime di CECCO ANGIOLIERI su Internet (nella versione a cura di Gigi Cavalli, Rizzoli -BUR, Milano 1979): clicca qui. Qui il nostro sonetto e' indicato col numero CII.

Sulla specularita' delle relazioni umane:
clicca qui

(a cura di Annapaola Laldi)
 
 
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