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L'INVENZIONE DELL'OTTO PER MILLE
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
1 settembre 2004 0:00
 
Mentre continua il lavoro di costruzione di un ARCHIVIO PERMANENTE SULL'OTTO PER MILLE, si offre questo secondo capitolo della ricerca che riguarda l'istituzione dell'OPM, il suo meccanismo, gli scopi e la gestione dell'OPM statale. Ben separata dalla presentazione della normativa, vi e' la parte denominata "uno sguardo critico", in cui chi scrive ha delineato quelle che, a suo parere, sono le stranezze e le contraddizioni della cosa.

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*LA NORMATIVA
* UNO SGUARDO CRITICO


LA NORMATIVA

1) ISTITUZIONE OPM. LA LEGGE 222/1985

Come gia' accennato nella panoramica storica sul nuovo Concordato del 1984 (vedi allegato clicca qui), l'invenzione dell'OPM si trova nell'art.47 della L. 222/1985, al quale e' strettamente legato il successivo art.48 (vedi allegato clicca qui).
Per comodita' si trascrivono le parti che riguardano il nostro tema (istituzione OPM, suo meccanismo di distribuzione e sue finalita').
Dei cinque commi di cui e' composto l'art. 47, ci interessano il secondo e il terzo. L'art. 48, invece, e' composto di un unico comma.

A) IL MECCANISMO

Art. 47
Comma 2: A decorrere dall'anno finanziario 1990 una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, e' destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica.

Comma 3: Le destinazioni di cui al comma precedente vengono stabilite sulla base delle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi. In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse.


Vediamo di capire le cose come stavano all'epoca (1984/85).
Per farlo, bisogna cancellare dalla nostra mente quanto e' successo alla Camera dei Deputati nell'aprile 1985, quando fu approvato l'ordine del giorno dei Radicali (clicca qui) che impegnava il Governo ad estendere il beneficio dell'OPM anche alle Confessioni religiose che avessero firmato le Intese con lo stato italiano, previste dall'art.8 della Costituzione. Questo fatto ha rimescolato le carte, e puo' confonderci un po' le idee nella ricostruzione storica.
Quando la commissione paritetica italo-vaticana, prevista dall'art.7 comma 6 del nuovo Concordato (clicca qui) lavoro' su questa materia, cio' che essa aveva in mente era semplicemente "la revisione degli impegni finanziari dello stato italiano" a favore della chiesa cattolica.
E' cosi' che e' stato inteso, dunque, l'OPM: un rinnovato impegno finanziario dello stato italiano verso la chiesa cattolica.
Il meccanismo dell'art.47 e' questo: dal 1990, ogni anno, lo stato, per cosi' dire, rinuncia all'otto per mille del gettito complessivo dell'IRPEF (l'imposta sul reddito delle persone fisiche), e crea come due condutture, in cui convogliare questa somma di denaro. Una conduttura porta agli "scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale", e l'altra a "scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica".

A smistare l'OPM sono chiamati i contribuenti (terzo comma art.47), che dovranno esprimere la propria scelta al momento della dichiarazione dei redditi. Quindi, ciascuno dei due destinatari ricevera' la percentuale dell'OPM in proporzione alle scelte espresse. Ma. Questo comma prevede anche che non tutti i contribuenti esprimano una scelta (cosa che si avvera puntualmente ogni anno e in modo massiccio). E allora, si dice che comunque l'OPM sara' assegnato integralmente ai destinatari, mantenendo come criterio di distribuzione, la percentuale di gradimento di coloro che hanno espresso la propria scelta. Che cosa succede, in parole povere?
Ammettiamo che ad esprimere la scelta OPM sia il 50 per cento dei contribuenti, dei quali, diciamo, il 30% scelga "A" e il 70% scelga "B". Stando al meccanismo vigente, ai due pretendenti non andra' solo il 50% della somma (che corrisponderebbe al 50% dei contribuenti), distribuita secondo le indicazioni espresse, ma tutto il 100% dell'OPM, mantenendo pero' il 30% ad "A" e il 70% a "B". Nel nostro esempio, cio' significa che, in realta', ciascuno dei due destinatari va a percepire il doppio di cio' che e' stato loro attribuito esplicitamente. Infatti, su un totale, mettiamo, di 100 ¤, ad "A" ne toccheranno 30, e a "B" 70; solo che ad esprimersi erano stati solo la meta' dei 100 contribuenti, e quindi, rispetto al totale, il 15% per "A" e il 35% per "B".
Ricapitolando: "A" si porta a casa 30 euro grazie al 15% dei contribuenti e "B" porta a casa 70 euro grazie al 35% dei contribuenti.
Questo per quanto riguarda il meccanismo.

B) GLI SCOPI

L'art.48 precisa gli scopi a cui dovra' servire l'OPM assegnato allo stato e alla chiesa cattolica.

Art.48. Le quote di cui all'articolo 47, secondo comma, sono utilizzate: dallo Stato per interventi straordinari per fame nel mondo, calamita' naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali; dalla Chiesa cattolica per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettivita' nazionale o di paesi del terzo mondo.

Lo stato, come percettore dell'OPM, assegna a se stesso quattro finalita' che vengono chiamate "interventi straordinari", espressione che si cerchera' in seguito di approfondire (vedi sotto, punto 2/A), nel settore della "fame nel mondo", delle "calamita' naturali", dell'"assistenza ai rifugiati" e della "conservazione dei beni culturali".
Le finalita' per cui la chiesa cattolica dovra' usare la sua parte di OPM sono invece tre, e precisamente, "esigenze di culto della popolazione", "sostentamento del clero" e "interventi caritativi" in Italia e in paesi del cosiddetto Terzo Mondo.

2) L'OPM DELLO STATO. DPR 10 marzo 1998 n.76 e DPR 23 settembre 2002, n.250

L'OPM a diretta gestione statale ebbe un primo regolamento provvisorio con l'art. 3, comma 29 della L. 29/12/1990, n. 406. Risale al 10 marzo 1998 il D.P.R. n. 76 (vedi allegato clicca qui), che ha dettato le regole ancora sostanzialmente in vigore per quanto ci interessa qui. Infatti, il DPR 250/2002 ha modificato solo alcune parti che riguardano le modalita' per accedere ai finanziamenti dell'OPM e i controlli dell'autorita' statale sulle opere finanziate. (Nel testo coordinato accessibile con l'allegato di sopra le parti nuove sono riportate in corsivo).

A) Le finalita' dell'OPM a diretta gestione statale

In questa sede ci interessa l'art. 2 (vedi allegato clicca qui) che e' composto di sei commi.

Riprendendo l'esatta dizione dell'art. 48 della L. 222/1985, il primo comma elenca i quattro settori in cui potra' essere speso l'OPM statale, precisando che si deve trattare di "interventi straordinari". Per sapere che cosa significhi questa dizione, bisogna saltare al comma 6. Dove si dice testualmente cosi':
"(comma 6) "Gli interventi ... sono considerati straordinari ... quando esulano effettivamente dall'attivita' di ordinaria e corrente cura degli interessi coinvolti e non sono per tale ragione compresi nella programmazione e nella relativa destinazione delle risorse finanziarie".

E' bene avere davanti agli occhi questa idea di "STRAORDINARIETA'", quando si vanno a leggere per esteso gli altri commi, in cui si cerca di spiegare meglio le aree interessate:

a) (comma 2 art.2 DPR 250/2002): "Gli interventi per fame nel mondo sono diretti alla realizzazione di progetti finalizzati all'obiettivo dell'autosufficienza alimentare dei Paesi in via di sviluppo, nonche' alla qualificazione di personale endogeno da destinare a compiti di contrasto delle situazioni di sottosviluppo e denutrizione che minacciano la sopravvivenza delle popolazioni ivi residenti;

b) (comma 3): "Gli interventi per calamita' naturali sono diretti all'attivita' di realizzazione di opere, di lavori o di interventi concernenti la pubblica incolumita' o al ripristino di quelli danneggiati o distrutti a seguito di avversita' della natura, di incendi o di movimenti del suolo. Tra detti interventi rientrano quelli di ricerca finalizzata, monitoraggio, ricognizione, sistemazione e consolidamento del territorio.

c) (comma 4): "Gli interventi di assistenza ai rifugiati sono diretti ad assicurare a coloro cui sia stato riconosciuto lo stato di rifugiato secondo la vigente normativa o, se privi di mezzi di sussistenza e ospitalita' in Italia, a coloro che abbiano fatto richiesta di detto riconoscimento l'accoglienza, la sistemazione, l'assistenza sanitaria e i sussidi previsti dalla vigente normativa".

d) (comma 5): "Gli interventi per la conservazione di beni culturali sono rivolti al restauro, alla valorizzazione, alla fruibilita' da parte del pubblico di beni immobili o mobili, anche immateriali, che presentano un particolare interesse, architettonico, artistico, storico, archeologico, etnografico, scientifico, bibliografico e archivistico".


UNO SGUARDO CRITICO

A. Sull'art. 47 Legge 222/1985


Nell'art. 47 della L. 222/1985 (LINK 2) assistiamo a una cosa che definire singolare e' poco. Sembra quasi uno spettacolo di trasformismo alla Fregoli, l'attore di varieta' dei primi del Novecento, celebre per la sua abilita' di cambiare, in pochi istanti, abito ed espressione. Infatti, all'inizio vediamo lo Stato come un ricco signore che elargisce l'OPM dell'IRPEF, e, subito dopo, rieccolo, con la mano tesa, a richiedere una parte di quel denaro, per destinarla "a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario". Di fronte a cio' nasce uno sconcerto; esso e' dato dal fatto che la ragion d'essere di un moderno Stato democratico e' proprio quella di provvedere, con i proventi della tassazione, a tutti quei servizi che hanno bisogno di una direzione, organizzazione e gestione pubblica -fra i quali sembra ovvio annoverare quelli di interesse sociale e di carattere umanitario. Quindi, che senso ha una manovra come questa? Non a caso ho parlato prima di "spettacolo", perche' lo Stato, che si e' trasformato in beneficiario di se stesso, permette in tal modo l'entrata in scena dell'autentico beneficiario dell'OPM, secondo le intenzioni primitive, e cioe' la Chiesa cattolica. Infatti, tutto il sistema dell'OPM e' stato pensato come attuazione della "revisione degli impegni finanziari dello Stato italiano" verso la Chiesa cattolica (art. 7 comma 6 del Concordato del 1984), che, non si dimentichi, e', a sua volta, uno Stato -lo Stato della Citta' del Vaticano.
Ma perche' lo Stato italiano del 1984, ormai laico e fondato sulla Costituzione repubblicana, si sentiva impegnato finanziariamente nei confronti della Chiesa cattolica? E perche' deve sentirsi impegnato ancora oggi? Per quali ragioni e per quali scopi? Sono domande che vengono spontanee e che, se assunte onestamente, potrebbero guidare verso un serio approfondimento a proposito del rapporto fra le due entita'. Qui, si puo' solo constatare la triste situazione di uno Stato sovrano che si trasforma in "spalla" di un altro Stato sovrano per sovvenzionarlo, oggi, in modo piu' massiccio, del passato (vedi allegato clicca qui), ricorrendo a un vero e proprio trucco su e con se stesso.

B. Sull'art. 48 L. 222/1985 e il suo derivato, l'art. 2 del D.P.R. 76/1998

La contraddizione di uno Stato, che riscuote le imposte per provvedere a tutta una serie di necessita' pubbliche, e che poi rinuncia a una parte di esse per riassegnarsele sulla base della scelta dei contribuenti (allo scopo di fare del bene?), non deve essere sfuggita fin dall'inizio a chi ha congegnato la L. 222/1985. Ed ecco, infatti, che l'art. 48 introduce una precisazione, che pero' ha piu' che altro l'effetto di un boomerang.
Si precisa, infatti, in quell'articolo, che le quote OPM assegnate allo Stato sono utilizzate "PER INTERVENTI STRAORDINARI" negli ormai noti quattro ambiti (fame nel mondo, calamita' naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione dei beni culturali).
Questa dizione "interventi straordinari" e' ripresa nell'art. 2 del D.P.R. 76/1998, dove si cerca anche di spiegarla sostenendo che gli interventi sono straordinari "quando esulano effettivamente dall'attivita' di ordinaria e corrente cura degli interessi coinvolti e non sono per tale ragione compresi nella programmazione e nella relativa destinazione delle risorse finanziarie".

Ma la delicatezza dei quattro ambiti prescelti per il finanziamento OPM e' tale che per essi NON SI PUO' MAI PARLARE DI STRAORDINARIETA'.
La fame nel mondo non e' forse endemica? E le calamita' naturali (in tutta la loro varieta'), non sono ahime', all'ordine del giorno? L'assistenza ai rifugiati non e' un'urgenza quotidiana? E la conservazione dei beni culturali, cosi' numerosi nel nostro Paese, un'ordinaria necessita'?

Questi quattro ambiti rappresentano problemi di cosi' ordinaria amministrazione che, paradossalmente, se ci si volesse davvero attenere con rigore all'accezione di "straordinarieta'", non dovrebbe essere erogato alcun contributo statale dell'OPM.
Diciamo dunque piu' realisticamente che i proventi dell'OPM statale servono a tappare qualcuna delle numerosissime falle che ogni giorno si aprono anche e forse proprio a causa di una "cura ordinaria e corrente" della cosa pubblica (ivi compresa l'apertura alla dimensione mondiale dei problemi) che non sta al passo con le effettive necessita'. E c'e' qualcosa di piu', ed e' il sapore sgradevole che si lascia dietro la sensazione che un certo numero di problemi siano risolti dallo Stato non in base al riconoscimento dei diritti umani e civili dei richiedenti (sanciti oltretutto dalla Costituzione), ma in virtu' di una "apposita domanda" di fruizione di una elargizione straordinaria, che sa tanto di elemosina. E' davvero necessario ricordare che l'elemosina diventa necessaria quando vengono calpestati i diritti? Ma che c'e' a fare uno Stato moderno e democratico se non a garantire che ogni cittadino o abitante sul suo suolo goda il piu' possibile di essi?

C. QUESTIONI DI LINGUA

Nel rileggere l'art.2 del D.P.R. 76/1998, mi hanno colpito un paio di cose a proposito del linguaggio usato dal legislatore.
a. Quando si parla degli interventi per calamita' naturali (comma 3), vengono enumerate tre possibili cause di disastri: "avversita' della natura", "incendi" e "movimenti del suolo". E' interessante e, direi, significativo che si sia sentito il bisogno di precisare che si considerano "calamita' naturali" anche gli incendi e i movimenti del suolo, oltre alle generiche "avversita' della natura". Mi pare che queste precisazioni rivelino finalmente la coscienza di quell'intreccio profondo che esiste fra forza della natura e incuria umana in molti disastri cosiddetti "naturali". Cosi', i danni relativi agli incendi potranno essere coperti con gli introiti dell'OPM non solo quando sono causati da un fulmine, ma anche dal dolo, e si potra' intervenire sui movimenti del suolo non solo quando si tratta di terremoti (che rientrerebbero piu' nelle avversita' della natura), ma anche quando si tratta di frane e smottamenti dovuti a un'incauta gestione del territorio.
b. La seconda e ultima annotazione riguarda l'uso assolutamente improprio del termine endogeno - appropriato ai movimenti del suolo non certo alle persone. "Personale ENDOGENO" e' l'orrore linguistico che si trova al comma 2, dove si parla della fame nel mondo, a proposito della formazione e qualificazione di persone del posto che devono realizzare, nei loro paesi, dei programmi contro il sottosviluppo e la denutrizione. Il termine giusto, ovviamente, e' "personale INDIGENO", oppure, "DEL LUOGO", o "LOCALE", oppure "AUTOCTONO". Non si capisce perche', con tutti i sinonimi italiani a disposizione, il legislatore abbia fatto tanta violenza alla nostra lingua, usando impropriamente il termine "endogeno" che vuol dire non "del luogo", bensi' "interno", "profondo". Endogeno e' un termine legato alla medicina (una malattia endogena), alla geologia (movimento endogeno), alla matematica (modello endogeno), ma non c'entra niente con le persone. A che si deve cotanta cialtroneria? Fra gli interventi "stra"-ordinari dell'OPM mettiamoci anche lo stipendio di un revisore della lingua italiana che stia alle costole del legislatore!
 
 
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