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Morti per fame e morti di fame
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
3 novembre 2009 11:37
 
Morti per fame e morti di fame. "O non è la stessa cosa?" -si chiederà qualcuno -e con ragione, se ci limitiamo alla pura e semplice grammatica, perché in questo caso l'uso delle preposizioni "per" e "di" è lasciato alla scelta di chi parla: in tutti e due i casi, in prima battuta, il nostro pensiero andrà alla gente che muore a causa della fame. Ma … non può sfuggire a (quasi) nessuno che dire "morti di fame" ci indica anche un altro sbocco non letterale, ma metaforico, ed è qui che intendo inserirmi con queste noterelle di oggi.
Risale almeno al mio viaggio in India/Nepal del 1996 la rivelazione che c'è un abisso fra i morti per fame e i morti di fame. E adesso mi pare di potere articolare sull'argomento un discorso più meditato.
Sui morti per fame, su coloro che soffrono nel mondo per la scarsità di cibo, ci ha ragguagliato alla metà di ottobre la FAO, col suo rapporto intitolato "The State of Food Insecurity 2009". Da esso veniamo a sapere che la crisi economica mondiale ha colpito spietatamente la gente già povera dei cosiddetti paesi in via di sviluppo, portando a oltre un miliardo il numero delle persone che soffrono la fame. La stragrande maggioranza degli affamati del pianeta si trova, infatti, nell'area Asia/Pacifico (650 milioni ) e nell'Africa sub-sahariana (265 milioni). Dal soffrire la fame a questi livelli, al morire per fame, si capisce che il passo è davvero breve, anche se non ho trovato cifre precise sull'entità dei decessi annui per mancanza di cibo: c'è chi parla di 20 milioni, chi di 30 milioni.
Un dato certo sulla mortalità lo abbiamo, invece, a proposito dei bambini entro i 5 anni di età: ne muoiono 26mila al giorno, di cui 13.000 direttamente a causa della fame e ancora una volta la stragrande maggioranza delle vittime si trova nei paesi in via di sviluppo (l'80% fra l'Africa sub sahariana e l'Asia meridionale). Secondo i dati forniti dall'UNICEF, annualmente muoiono per la fame e patologie riconducibili ad essa circa 10 milioni di bambini (sotto i 5 anni).
Prima di passare oltre, desidero invitare me stessa e chi leggerà queste righe a cercare di andare al di là dell'aridità e dell'anonimato delle cifre, e a provare a calarsi, sia pure per pochi istanti, nella sofferenza di queste vite e nel dolore di chi si vede impotente a continuare a dare la vita a chi ha generato. Che cosa proveremmo noi? Anche là dove in certi volti fotografati possiamo scorgere solo una sconsolata rassegnazione, siamo certi che anche essa soltanto (e non solo la rabbia), come un sasso gettato nel grande, eppur limitato stagno del mondo, non propaghi le sue onde negative fino ai nostri lidi? Ovvero, siamo sicuri che l'umanità non sia un corpo unico, non mistico, ma proprio materiale, di cui i singoli individui non sono che le membra separate fisicamente, ma in qualche modo (ancora per noi) misterioso in stretta relazione le une con le altre e che quindi la sofferenza di chi è ingiustamente privato del necessario per vivere bene si rifletta nel malessere di chi vive nelle società opulente?
E ora passiamo ai morti di fame, che la nostra lingua conosce sia come espressione letterale sia come espressione metaforica, nel qual caso so bene che non rappresenta propriamente un complimento.
Devo dire che per me l'espressione morti di fame vale solo nel senso metaforico, cioè come indicazione oggettiva e severa, ma priva di qualsivoglia tono offensivo, di coloro (me compresa) che, pur ben nutriti, vestiti e calzati nel proprio paese, non possono però permettersi grandi lussi a casa propria, e così vanno a giocare ai nababbi in quegli stessi paesi del "Sud del mondo", dove milioni di persone muoiono per fame, perché proprio lì (e forse proprio per questa miseria?) sono in grado di soggiornare in alberghi a sette stelle -che, nei loro paesi, non vedrebbero manco col cannocchiale.
Come ho già accennato, la distinzione fra morti per fame e morti di fame mi balzò agli occhi proprio quando scoprii che stavo giocando a fare la nababba fra India e Nepal nell'agosto 1996. E non mi sento di nascondermi dietro il paravento dello scopo cultural-religioso che pur mi aveva mosso e asserire che, se quel viaggio, destinato inizialmente a un gruppo di non oltre 15 partecipanti, era diventato un viaggio turistico tout court con una truppa di 40 persone, la colpa non era mia, ma dell'agenzia di una pur famosa e lodata associazione religiosa. Fatto sta che percepii con sgomento il tremendo impatto che quel gruppo di "giapponesi" europei aveva nel fragile tessuto socio-ambientale dei luoghi visitati. Né la considerazione di alcuni che portavamo ricchezza a quella gente mi convinse allora, e tanto meno mi convince adesso. E forse, l'insegnamento più prezioso di quel viaggio fu proprio quel senso di sgomento che continuo ad avere ben presente e che mi ha determinato a non fare mai più niente di simile.
Orbene; mentre ultimamente stavo riflettendo sull'argomento, ho visto che la categoria dei morti di fame appena illustrata, può essere tuttavia articolata al suo interno in due sezioni: quella dei morti di fame comuni e quella dei morti di fame, per così dire, speciali.
Della prima sottocategoria ho appena finito di parlare.
Nella categoria morti di fame speciali, invece, hanno secondo me il massimo diritto di entrare, "ad honorem", tutti coloro che, pur avendo redditi (molto) elevati, e magari annoverandosi perfino fra i "paperoni" mondiali, non hanno il minimo pudore di spendere i soldi pubblici per i loro privati piaceri. Sicuramente risento di una rigorosa educazione ottocentesca in fatto di distinzione fra funzione pubblica e vita privata e di rispetto per il bene pubblico che, mi hanno insegnato, deve essere amministrato in modo saggio e oculato per il bene, appunto, di tutti i cittadini di quella determinata comunità, locale o statuale che sia. Però credo di trovare molte persone d'accordo se affermo che può esserci un'ampia via di mezzo fra quel presidente della Repubblica degli anni Settanta/Ottanta, che voleva pagarsi da sé i francobolli, e gli attuali piccoli o grandi satrapi che si fanno pagare dallo Stato ogni loro capriccio.
Oltre tutto, questi morti di fame speciali, anche se le autorità amministrative e penali non rilevano niente di illecito in ciò che fanno, sembrano (voler) ignorare che comunque certi comportamenti possono essere censurabili per motivi di opportunità, intelligenza, sensibilità, rispetto del prossimo, e via dicendo. Ignorando questo aspetto, i nostri morti di fame speciali risultano così, proprio oggigiorno, molto pericolosi per il benessere di tutti i cittadini perché fanno certamente lievitare il debito pubblico per motivi sostanzialmente privati, mentre, da un'altra parte, in nome della riduzione di esso, si tagliano posti di lavoro nella scuola pubblica, nella Polizia di Stato, e in altri importantissimi settori. Ecco: le spigole fresche aviotrasportate da un capo all'altro della penisola, i cantanti e le belle ragazze scorrazzate nei cieli per il piacere di uno solo (oltre tutto profumatamente pagato per la carica che ricopre e personalmente straricco), a spese (elevatissime) dello Stato, cioè di tutti noi, e dell'ambiente, sono fatti che guardo con quello stesso sgomento che mi prese in India, ma questa volta le parti sono invertite; qui la sfruttata sono io e tutta la gente come me, praticamente la stragrande maggioranza della popolazione di questo nostro non felice paese. Ma, senza togliere niente alla gravità morale e pratica dei due esempi or ora riportati, purtroppo essi non sono che la punta di un iceberg, che faremmo bene a guardare con attenzione, per non fare, come nazione, la miserevole fine del Titanic. Perché, qui da noi, di episodi di confusione fra vita privata e funzione pubblica ve ne sono a bizzeffe, e, per fare un esempio di attualità, adesso, nell'approssimarsi delle elezioni regionali/locali, aumentano anche i casi di uso del denaro pubblico per effettuare una propaganda elettorale privata sotto le mentite spoglie di un interesse pubblico (vedi l'appello a pagamento sul "Corriere della Sera" per la difesa della Costituzione voluto dal Presidente di una Giunta regionale del centro Italia, che anche cinque anni fa, per farsi pubblicità in prossimità delle elezioni regionali usò un marchingegno analogo, di cui conservo materiale testimonianza).
Mentre ero in India nel 1996, percepii chiaramente che, pur senza averne l'intenzione, quei morti di fame che eravamo noi bianchi rappresentavano un fattore di corruzione in quel paese dai milioni di morti per fame -corruzione, proprio nel senso di avvelenamento, inquinamento di quel già fragile contesto socio-ambientale.
Adesso, avvertendomi io in pericolo, mi sento di rivolgere a tutti i miei simili di questo nostro paese la parafrasi di uno slogan famoso: I morti di fame speciali avvelenano anche te. Digli di smettere! E se poi ciascuno cominciasse a dirlo con cortese fermezza proprio a quelli che gli stanno più simpatici e di cui condivide di più le idee politiche e culturali, questo sarebbe, di per sé, un segnale davvero positivo.
 
NOTA
Sito ufficiale della FAO (in inglese): http://www.fao.org
sito ufficiale dell'UNICEF (in inglese) http://www.unicef.org/index.php
Il comunicato stampa della FAO del 14 ottobre si trova qui: http://www.fao.org/news/story/it/item/36252/icode
 
 
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