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Nel giardino dell'Eden. Variazione sul tema
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
15 gennaio 2010 10:17
 
Per la fine di gennaio del 2004 un amico prete mi aveva chiesto di guidare, nella sua chiesa, una conversazione sul tema "Libertà e responsabilità". A mano a mano che la data si avvicinava, mi cresceva dentro l'emozione della …responsabilità. Finché, a un certo momento, mi venne una specie di ispirazione e nacque la piccola storia che intitolai E chi lo sa! La ripropongo integralmente di seguito, compresa, alla fine, la declinazione dell'interrogativo sostanziale (se non sia l'assunzione onesta della responsabilità quella che ci può salvare come individui e come società), che ne scaturì allora e al quale mi rifaccio per trovare conforto quando mi pare di aver perso la bussola.

E chi lo sa!

C'era una volta un signore, un grande signore, che aveva fatto molte cose, davvero grandi anch'esse, ed era proprio contento di ciò che aveva fatto. Gli piacevano talmente tanto tutte queste cose che pensò come sarebbe stato bello che qualcun altro potesse apprezzarle e goderle. E fu così che, col suo alito, chiamò all'esistenza un essere a lui somigliante, capace di ciò - e Uomo e Donna aprirono gli occhi alla vita. E per farli star bene, per salvaguardare la loro fragilità rispetto alle grandi cose che succedevano sulla terra, bellissime anch'esse, ma estremamente potenti, come il fuoco che schizza fuori dalla terra, o i cozzi delle placche terrestri che pur davano luogo all'imponente spettacolo della nascita di intere catene montuose, li pose in un giardino di delizie. "Potete mangiare di tutti gli alberi", disse loro il signore, "ma non dell'albero che sta in mezzo al giardino. Perché se ne mangerete morirete".
Lì per lì, Uomo e Donna non ci fecero caso. La loro vita era bella e armoniosa; quando avevano fame trovavano frutti prelibati, quando erano stanchi o avevano sonno, c'era sempre un rifugio accogliente sotto gli alberi o nelle grotte di cui il giardino era ricco; del resto il clima era tiepido, durante il giorno i raggi della gagliarda luce maggiore filtravano fra le piante con delicatezza. E quando la luce maggiore spariva, era un altro incanto, con la luce minore che si divertiva a sorprenderli praticamente ogni sera, giocando a nascondino, fra tante altre luci palpitanti lassù…
Andavano d'accordo, Uomo e Donna, facevano molte cose insieme, a volte si separavano per seguire sentieri diversi e comunicarsi le scoperte che avevano fatto, a volte seguivano uno degli animali, a cui Uomo aveva dato il nome, a ciascuno il suo, e lo andava insegnando a Donna: "Ecco, vedi, quel cosino bianco che fa le capriole si chiama agnello e quella figura molto più grande e scura, che gioca con lui, si chiama lupo". "Cos'è quello lassù?", chiese una volta Donna. "E' un falco, uno dei signori del cielo, e con le sue grandi ali protegge dai raggi troppo forti del sole la colomba, laggiù, che tuba tranquilla e riconoscente".
E ogni sera, all'imbrunire, il signore del giardino faceva una passeggiata per, segretamente, partecipare alla gioia delle due creature che andavano scoprendo sempre qualcosa di più. Non si faceva vedere, ma la sua presenza la sentivano: un silenzio aleggiante che con dolcezza abbracciava tutto quanto e tutto quanto trasfigurava in una bellezza sempre maggiore.
Un giorno Donna si trovò nei pressi dell'albero del bene e del male, quello da cui il signore aveva messo in guardia Uomo e Donna. C'era qualcosa che attirò l'attenzione di Donna, la quale si avvicinò e scorse un grosso serpente avvoltolato al tronco, che le rivolse la parola. "E' vero", le chiese, "che il signore del giardino vi ha detto che non dovete mangiare di nessun albero?". "No, di certo", rispose lei, "possiamo mangiare i frutti di tutti i gli alberi…..è dell'albero in mezzo al giardino che ci ha detto di non mangiarne…", e qui la colse una sensazione nuova, si confuse un po' e aggiunse parole che non erano contenute nell'ammonimento del signore: "… e ha detto che non dobbiamo neppure toccarlo, se no moriremo". "Ma no", replicò il serpente con un tono di commiserazione, "è che lui ha paura, perché, se lo mangerete diventerete come lui…".
Donna allora prese un frutto e lo morse; aveva un buon sapore. Chiamò Uomo per partecipargli la scoperta, come tante altre volte. Anche lui lo morse, ed era buono. Ma improvvisamente, all'unisono, i due avvertirono qualcosa di nuovo. La loro vista cambiò. Un brivido di estraneità li colse. "Ma cos'è questa qui?", si chiese Uomo, guardando Donna. "Ma cos'è questo qui?" si chiese Donna, guardando Uomo. E un grande imbarazzo s'impadronì di loro. Era l'imbrunire e il signore del giardino si annunciò con quel silenzio aleggiante, in cui adesso, però, Uomo e Donna, non colsero più la dolcezza, a causa del disagio che si era impadronito di loro e corsero a nascondersi dietro un fitto di alberi.
"Uomo, dove sei?", chiamò il signore. "Ti ho sentito venire e mi sono nascosto perché sono nudo". "E chi te l'ha detto?", chiese di nuovo il signore e il tono della voce si era fatto apprensivo. "Hai forse mangiato dell'albero del bene e del male?".
Cadde un grande silenzio. Ma un silenzio diverso da quello che conoscevano. Un silenzio duro e tagliente. Tutto restò come sospeso; una timorosa trepidazione si impadronì di tutto il giardino. L'agnello avvertì uno sguardo diverso del lupo e corse a nascondersi dietro un cespuglio. Il lupo sentì come un crampo allo stomaco e come un impulso ad affondare i denti in quel cosino bianco. La colomba cessò di tubare e sentì freddo; troppo grandi e troppo vicine le ali del falco che guardò giù, verso di lei, in modo strano.
Uomo guardò Donna e vide in lei la sua stessa immagine: un essere rattrappito, la fronte solcata da una ruga profonda, gli occhi arrossati, smarrita…. E conobbe un'altra sensazione fino ad allora sconosciuta, che chiameremo risentimento: glielo aveva dato lei il frutto…. E' stata lei…" gli venne da gridare al signore del giardino, "Io non c'entro….". Ma prima che queste parole gli arrivassero sulle labbra, qualcosa lo trattenne, un'altra voce che diceva: "Ma il tuo morso al frutto glielo hai dato tu". E allora, alzando lo sguardo timoroso verso il punto in cui era risuonata la voce del signore del giardino, disse: " Sì, signore, è vero, l'ho mangiato. Mi sono dimenticato di quello che mi avevi detto. Ecco. Non so….", e la voce gli si ruppe, mentre qualcosa di umido e caldo gli solcava le guance "Signore", e fu Donna, questa volta a parlare con voce tremante, eppure decisa "sono stata io a darglielo. L'ho mangiato prima io. Mi ero dimenticata cosa avevi detto….", e neppure lei riuscì ad andare oltre.
In quella che era diventata una gelida sospensione di ogni moto di vita, il signore del giardino rivolse di nuovo la parola a Uomo e Donna: "Non posso togliervi l'effetto di questa conoscenza che volevo evitarvi. Da ora sapete che cos'è il dolore e il pianto, e soprattutto la paura che deforma ogni cosa. Ma il giardino è ancora vostro, perché alla domanda che vi ho fatto ciascuno ha risposto di sé, della sua azione…e questa è la libertà più difficile".
E sia pure con una nota di dolore, che prima non c'era, il silenzio aleggiante tornò ad avvolgere con la sua dolcezza Uomo e Donna.
E allora, per tutto il giardino si sentì come un grande sospiro di sollievo, e tutto - gli alberi, le pietre, gli animali - fu come se fosse chiamato di nuovo alla vita.
L'agnello rimise il muso fuori dal cespuglio e guardò verso il lupo che gli fece un cenno con la sua zampa nera - dài, giochiamo! -, mentre masticava, lui, il lupo, la sua erbetta preferita. La colomba avvertì che luce e calore tornavano a lei, mentre il falco saliva più in alto nel cielo, e riprese a tubare……

Le cose non sono andate in questo modo, lo sappiamo
. Uomo e Donna, anziché assumersi in prima persona la propria responsabilità, rappresentarono il primo tragico, fatale scaricabarile della storia umana, almeno secondo la tradizione a noi più nota -"me l'ha dato questa donna che mi hai messo accanto", gridò Adamo, accusando la donna e lo stesso Signore, e dimenticando che poco prima aveva riconosciuto Eva come "carne della mia carne, osso delle mie ossa". "Mi ha ingannato il serpente…", si giustificò lei…..
E così l'umanità dovette andarsene dal giardino e da quel momento essere umano e animali presero a divorarsi fra di loro. Non solo: ma nel genere umano si diffuse come un sinistro piacere di infliggere sofferenza e morte ai propri simili. Ed è questo il mondo in cui noi ci troviamo a vivere e la situazione che abbiamo da fronteggiare.

Ma chi lo sa se un ricordo della fiducia e della pace che regnavano nel giardino prima della caduta non resti in fondo al cuore di ogni essere umano.
E chi lo sa se, ogni qualvolta una persona, ovunque nel mondo, riconosce la responsabilità delle proprie azioni di fronte a se stessa, proprio in quell'attimo, nel suo cuore, non si ricostituisca l'armonia primigenia in cui il lupo e l'agnello avevano in cibo "ogni erba verde" (Gen 1,30).
E chi lo sa se, in quell'attimo di assunzione della propria responsabilità, le spade e le lance pronte, nel suo cuore, a ferire e a togliere la vita, non si trasformino già subito, secondo la profezia del primo Isaia (Is 2.4), in vomeri e falci al servizio del futuro pane che sostiene la vita.
E chi lo sa, infine, se in quell'istante, in quel cuore umano, non avvenga davvero la fine del mondo, di questo nostro mondo di violenza e di morte, e si instaurino "nuovi cieli e nuova terra". Quei cieli e quella terra, in cui, secondo la profezia del terzo Isaia (Is 65,17-25), "non ci sarà più un bimbo che viva pochi giorni,/ né un vecchio che dei suoi giorni non giunga a pienezza", dove gli umani "non fabbricheranno perché un altro vi abiti,/ né pianteranno perché un altro mangi", perché, dice il signore, che mi pare sia sempre quello del giardino: "Prima che mi invochino, io risponderò;/mentre ancora stanno parlando,/ io già li avrò ascoltati".
E chi lo sa?
Già, e chi lo sa?
Ma il campo dell'indagine, per chi volesse intraprenderla, non è lontano da noi. Anzi, è vicinissimo; sta dentro di noi. Addirittura, si può dire, questo campo siamo noi. Perché non entrarci in devoto pellegrinaggio?


NOTA
Per dire come Uomo e Donna avvertono la presenza del signore del giardino ho usato l'espressione "silenzio aleggiante". Essa è ricalcata su un'espressione tedesca, "Stimme eines verschwebenden Schweigens" (voce di un silenzio aleggiante), con cui Martin Buber, nella sua traduzione tedesca della Bibbia ebraica, indica il presentarsi del Signore ad Elia fuggitivo, sull'Oreb (1Re 19,12).
Ho incontrato questa espressione traducendo alcune opere del teologo tedesco Eugen Drewermann, che la cita volentieri. Io mi ci sono affezionata sia perché mi sembra molto bella (in tedesco ha poi una sonorità tutta particolare), sia perché apprezzavo già Martin Buber, soprattutto per i Racconti dei Chassidim e Il cammino dell'uomo, e così mi è venuto spontaneo usarla anche come segno di riconoscenza verso di lui.
 
 
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