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Pasqua 2016
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
27 marzo 2016 19:56
 
 Stamattina, arrivando in piazza San Giovanni, a Firenze, mi sono imbattuta nel corteo storico che accompagnava il Brindellone al suo posto tra il Duomo e il Battistero per la cerimonia dello scoppio del Carro, il Brindellone, appunto. Dietro le transenne c’era già diversa gente, ma io ho avuto la fortuna di trovarmi un piccolo spazio in terza fila, dal quale sono riuscita a vedere qualcosa fra una testa e l’altra delle persone che si sbracciavano a fotografare coi cellulari. Niente di che: piccoli ritagli del corteo, specialmente dei figuranti che passavano a un paio di metri da lì. Quando sono arrivata io, stava passando il gonfalone del Comune di Firenze seguito dai tamburini e dai suonatori delle chiarine. E, dopo, tutto il seguito delle insegne dei quartieri cittadini e delle arti maggiori e minori, con un intermezzo di numerose “madonne fiorentine”, per usare l'espressione di una celebre canzone, cioè  signore più giovani e meno giovani, in abiti quattro-cinquecenteschi, alcune sorridenti, altre compassate, altre ancora con aria altera.
E poi … c’è stato un fermo di immagine. O meglio, i figuranti sono spariti procedendo lentamente verso il Duomo e lì per lì non si è visto più niente, se non il via vai un po’ nervoso di alcuni vigili urbani, uomini e donne.
E il Brindellone dov’è? Perché non arriva?
Ma in quel momento, volgendo lo sguardo alla mia destra, verso via Roma, eccolo lì imponente e svettante che arrivava ben oltre il primo piano, pur alto, del palazzo davanti al quale si trovava. Dopo essersene stato lì fermo per un po’, ha preso a muoversi con straordinaria celerità, tanto che mi sono chiesta se per caso a trainarlo, quest’anno, non avessero messo un trattore e non i tradizionali quattro buoi bianchi. E invece, erano loro a tirarlo, proprio loro, bellissimi, perfetti, enormi con la loro aria pacifica e mite. E a vedere questi grandi creature coi loro musi buoni mi sono commossa. Sul serio.
E ho capito, all’improvviso, tutta la verità di quella breve poesia di Giosuè Carducci che s’intitola, appunto, “Il bove” e che trascrivo qui come un augurio e un saluto a chi passa da queste parti.

T'amo pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pace al cor m'infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,
O che al giogo inchinandoti contento
L'agil opra de l'uom grave secondi:
Ei t'esorta e ti punge, e tu co 'l lento
Giro dè pazienti occhi rispondi.
E del grave occhio glauco entro l'austera
Dolcezza si rispecchia ampio e quieto
Il divino del pian silenzio verde
”.


Nota: La poesia “Il bove” fa parte della raccolta intitolata “Rime Nuove”, in cui furono pubblicate, nel 1887, poesie composte tra il 1861 e lo stesso 1887.
 
 
 
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