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Quando l'Italia salvò i bambini austriaci
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
6 maggio 2015 18:58
 
 Il mio amico brianzolo Roberto Albanese, che tanto mi ha aiutato e incoraggiato per la traduzione italiana del carteggio Nobel/Suttner, e che il 20 giugno di un anno fa, proprio alla vigilia del centenario della morte di Bertha von Suttner, organizzò la presentazione del volume alla Biblioteca monzese di Triante, mi scrive una e-mail, dalla quale vengo a conoscenza di un fatto che fa onore agli italiani e di cui mi piace dare qui qualche informazione in più che ho trovato in rete, anche perché penso che siano davvero pochi quelli che ne hanno notizia.
Nel dicembre 1919, a un anno dalla fine della Prima Guerra mondiale, l’Austria era allo stremo. Più di tutti soffrivano i bambini, che venivano falcidiati dagli stenti e dalla insufficiente alimentazione. Lo scrittore Max Winter, che era il vice-borgomastro di Vienna, lanciò un appello al mondo. Risposero le città dei Paesi rimasti neutrali, come la Svizzera, la Norvegia, l’Olanda. Ma anche i cittadini dell’Italia settentrionale vollero dare il loro contributo “come segno concreto”, scrive Roberto Albanese nella sua mail, “di perdono, riconciliazione e di ricomposizione della fratellanza europea con gli ex nemici austriaci”.
E così, secondo la ricostruzione di Giancarlo Montorfano  su “La Provincia di Varese” del 5 febbraio 2012, “il giorno di Natale del 1919 […]”, due treni provenienti da Milano e da Bologna entrarono nella deserta Suedbahnhof di Vienna, in un clima quasi spettrale, sotto la neve […]”, per ripartire dopo pochissimi giorni con più di mille bambini viennesi che furono portati in parte a Milano e in parte a Bologna. Un altro treno, partito da Milano il 3 gennaio 1920 rientrò in Italia l’11 dello stesso mese con 956 bambini che furono mandati nelle colonie marine e montane di Lombardia, Piemonte e Liguria. Un terzo treno portò in Italia altri bambini. Si stima che in tutto furono accuditi e curati nell’Italia settentrionale 2224 bambini viennesi (ma c’è chi dice che fossero di più) che tornarono in patria alcuni mesi più tardi corroborati dalle cure ricevute.
La mobilitazione vide in prima linea le Amministrazioni Comunali, tra cui, solo per citarne alcune, quelle di Varese, Mantova, Busto Arsizio, Alessandria, Cremona, affiancate dalle Società Umanitarie, tra cui si distinse quella di Milano. In essa prestava il suo appassionato impegno l’insegnante belga Aurelia Josz, una signora ebrea che poi, rifiutatasi di scappare dall’Italia nel 1938, verrà arrestata e deportata nel 1944 nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, dove morirà.
Questo fatto di grande spessore storico e umanitario, di cui pochissimo si sa, è stato ricordato nel 2012 da “La Provincia di Varese”, come detto sopra, e nel numero del 27 aprile scorso da “La Gazzetta di Mantova” .

Nella città di Novara, che si distinse anch’essa in questo impegno di fratellanza europea, si prende oggi spunto da esso per allargare l’orizzonte e portare l’attenzione sul contributo dato dalle donne alla pacificazione, come suggerisce il titolo dell’evento che si terrà sabato 9 maggio (dalle 15:00 a Casa Bossi, via Pier Lombardo,4): Europa: spazio privilegiato della speranza umana (Donne d’Europa 1915-1945-1995).
Ci sarà anche il mio amico Roberto Albanese che parlerà dell’ira delle colombe, un titolo intrigante che allude alla stilista milanese Rosa Genoni che fu promotrice della “democrazia di popolo”, partecipò alla Conferenza delle donne per la pace tenutasi all'Aja nella primavera del 1915 e si distinse poi in numerose azioni umanitarie durante e dopo la prima guerra mondiale, non ultima quella a favore dei bambini profughi dalla Vienna affamata, di cui ho appena parlato.

Mi pare che non ci sia altro da aggiungere, se non il semplice augurio che l’esempio di 95 anni fa possa servire a noi italiani e agli altri popoli della Unione Europea per riprendere ad accogliere chi è allo stremo delle forze e cerca un rifugio dove poter crescere e dispiegare le proprie capacità e la propria umanità, in uno scambio fecondo per tutti, ospitanti e ospitati.
 
 
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