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Suggestioni del mezzo del giorno/2
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
6 giugno 2014 12:49
 
  Non so perché, ma in certi stati d’animo mi tornano alla mente alcuni versi di quel lungo componimento poetico, che a Giosuè Carducci ispirò il passaggio in treno dalla cappella, intitolata all’eremita san Guido (della Gherardesca) , che si trova sulla vecchia via Aurelia proprio davanti all’imbocco del viale di cipressi che porta a Bolgheri, e che è ben visibile anche dalla ferrovia. La poesia fu pubblicata nella raccolta Rime Nuove comparsa nel 1887.
Non sono sempre gli stessi versi a essere evocati dentro di me. A volte sono quelli della “novella/ di lei che cerca il suo perduto amor” - “Sette paia di scarpe ho consumate/ di tutto ferro per te ritrovare …”- che ai miei occhi rappresenta più che altro un bilancio della vita … semplicemente drammatico, perché ciò che si è perseguito (inseguito?) nella vita siamo costretti, a un certo punto, ad ammettere che l’abbiamo semplicemente mancato, perché già ce l’avevamo e non ce ne siamo accorti in tempo. Chissà.
A volte, invece, vedo le immagini evocate dal mormorio dei cipressi che invitano il ragazzo di un tempo, ormai uomo maturo e “savio”, a fermarsi da loro: “Perché non scendi? Perché non ristai?/ Fresca è la sera e a te noto il cammino ...”. Sono le immagini di un tramonto pieno di voli, di una notte addolcita dal canto degli usignoli e, soprattutto, di un mezzogiorno, in cui la natura tace al cospetto di “Pan l’eterno che su l'erme alture/a quell'ora e ne i pian solingo va”.
Ecco: di nuovo la suggestione del mezzo del giorno! Come nella Leggenda di Teodorico, che però qui assume una forza molto più definita e struggente.
E rivela, senza possibilità di dubbio, che l’ora tremenda e numinosa, quella, cioè, in cui gli dei visitano la terra, è il mezzo del giorno - e non la mezzanotte! E questo Carducci, che conosceva a menadito i classici greci e latini, lo sapeva molto bene. E del resto, mi viene da pensare, qual è l’ora dell’Annunciazione di Maria? A che ora il papa recita il famoso “Angelus”? A mezzogiorno, appunto, perché evidentemente anche per la visione cristiana, l’”ora di Dio” è il mezzo del giorno (e questo sia detto per ricordare che per la giovinetta Maria quella certa notizia fu sconvolgente e non tranquillizzante!).
Ma va anche detto che, in Davanti San Guido, la rivelazione del dio Pan, divergendo dalla tradizione classica, non è per spaventare gli esseri umani, ma per sostenerli ("il dissidio, o mortal, delle tue cure/ nella diva armonia sommergerà")
Ma è il momento di far scorrere i versi di Carducci, che non sono del tutto omogenei. Ci sono parti davvero liriche e altre un po’ (troppo) “prosaiche”, ma ciò non significa che, nel complesso, Davanti San Guido resti una bella composizione, ricca di suggestioni emotive non trascurabili.

Davanti San Guido

I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da san Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardar.
Mi riconobbero, e — ben torni omai —
Bisbigliaron vèr' me co 'l capo chino —
Perché non scendi ? Perché non ristai ?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d'una volta: oh non facean già male!
Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido cosí ?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d'intorno ancora. Oh resta qui! —
— Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d'un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei —
Guardando io rispondeva — oh di che cuore !
Ma, cipressetti miei, lasciatem'ire:
Or non è piú quel tempo e quell'età.
Se voi sapeste!... Via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.
E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
Non son piú, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro piú.
E massime a le piante. — un mormorio
Pe' dubitanti vertici ondeggiò
E il dí cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.
Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe' parole:
— ben lo sappiamo: un pover uom tu se'.
Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.
A le querce ed a noi qui puoi contare
L'umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!
E come questo occaso è pien di voli,
Com'è allegro de' passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli: rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;
I rei fantasmi che da' fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.
Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l'ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l'ardente pian,
Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co 'l lor bianco velo;
E pan l'eterno che su l'erme alture
A quell'ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. —
Ed io—lontano, oltre apennin, m'aspetta
La Tittí — rispondea; — lasciatem'ire.
È la Tittí come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.
E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio, cipressi! Addio, dolce mio piano! —
— Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? —
E fuggíano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.
Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giú de' cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia:
La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l'ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch'è sí sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,
Canora discendea, co 'l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Piena di forza e di soavità.
O nonna, o nonna! Deh com'era bella
Quand'ero bimbo! Ditemela ancor,
Ditela a quest'uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor!
— sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:
Sette fiasche di lacrime ho colmate,sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare –
Deh come bella, o nonna, e come vera
È la novella ancor! Proprio cosí.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,
Sotto questi cipressi, ove non spero,
Ove non penso di posarmi piú:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.
Ansimando fuggía la vaporiera
Mentr'io cosí piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.
Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.


Note: Testo con note esplicative 
Gino Cervi legge "Davanti San Guido"
 
 
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