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UOMO DEL MIO TEMPO..OVVERO: MA NON SAREMO ANCORA TUTTI OMINIDI?
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
1 ottobre 2005 0:00
 
Ingloriosamente e perigliosamente crollata sul campo della mia stupidita' per un eccesso (piu' che annunciato) di fatica, ho cercato di passare il tempo del necessario riposo raccogliendo e selezionando una valanga di appunti, locandine e ritagli, che negli ultimi mesi avevano formato mucchi disordinati sparsi qua e la' per la casa. In pratica, non c'era piu' un piano d'appoggio - tavolo o sedia, mobile o poltrona- che non fosse occupato da questi ospiti impropri. Mentre procedevo nella selezione, mi si e' imposto all'attenzione per la sua eleganza funerea giocata nella combinazione oro su nero, il depliant della mostra Guerrieri principi ed eroi (fra il Danubio e il Po dalla Preistoria all'Alto Medioevo), tenutasi l'anno scorso (19 giugno-7 novembre 2004) nel Castello del Buonconsiglio a Trento. Al suo interno, un paio di foglietti su cui fermai alcuni dati essenziali per ricordare cio' che tra poco riferiro'.

Ero capitata al castello del Buonconsiglio, l'anno scorso, ai primi d'ottobre in compagnia di un'amica che, in realta', voleva vedere i famosi affreschi dei mesi dipinti nel 1400 nella Torre dell'Aquila. Poi, dato che avevamo ancora del tempo e che il biglietto valeva anche per la mostra, visitammo anche quella, ma a ritroso…
Fu alla fine del percorso, tutto sommato tranquillo, dunque, che entrammo in una delle prime sale, quelle dedicate alla Preistoria. Accoglieva i visitatori un video proiettato in continuazione sull'unica parete libera da vetrine, nel quale riconobbi immediatamente la famosissima sequenza della scimmia ominide che scopre l'uso distruttivo e omicida del femore-clava, che Stanley Kubrik mise all'inizio del film 2001: Odissea nello spazio.
E', secondo me, una sequenza bellissima nella sua drammaticita', forse perche' considero degno di autentica meditazione il messaggio di Kubrik: l'ominazione nasce da li'…..
E infatti, neppure il tempo di scambiare con la mia amica uno sguardo interrogativo sul motivo di quella proiezione, che la risposta ci venne nella sua piu' totale crudelta': nella vetrina di fronte ci trovammo a tu per tu con alcuni teschi sfracellati di varia grandezza. Il cartellino esplicativo annunciava: "TALHEIM 5000 o 7000 a.C.: strage di 34 persone (adulti e bambini) uccise a colpi di pietra sul cranio e gettate in una fossa comune".
Avrei appurato piu' tardi che questa di Talheim rappresenta, per ora, la prima documentazione storica di una "strage perpetrata apposta, non di una battaglia o incidente di caccia. 34 persone, di cui 16 adolescenti o bambini, vennero trucidate a colpi di asce dalla punta di pietra (ed almeno uno a colpi di frecce) circa 7000 anni fa, per poi essere gettate senza cerimonie in un pozzo" (clicca qui).
Non ritengo affatto necessario citare neppure uno dei massacri successivi nella storia umana: ne vediamo o leggiamo il ricordo o addirittura la cronaca diretta ad ogni istante -a patto, certamente, che vogliamo tenere aperti gli occhi della testa, della mente e del cuore.
Ma quello che mi pare importante fare qui e' porre questo interrogativo: perche' ci meravigliamo tanto per i massacri moderni? Che cosa ci inorridisce davvero in essi: il massacro in se' o semplicemente la grande scala su cui oggi puo' essere perpetrato? Ma, in quanto a questo: vi e' davvero differenza fra 34 o 340.000 o 34 milioni? E ancora: che cosa fa problema: il massacro in se' o l'uso di strumenti raffinati? Ma, anche qui, c'e' davvero differenza, nella sostanza, se il massacro e' compiuto con un'arma rudimentale o con una ad altissimo livello tecnologico? Il vero problema, in realta', non e' forse la mano che usa l'arma -il possessore di quella mano? Per questo motivo, cio' che a me sembra oggi di estrema importanza e urgenza e' andare seriamente nel profondo di noi stessi e verificare se possiamo a giusto titolo definirci "esseri umani", o non piuttosto ancora semplici "ominidi".
Una consapevolezza chiara e precisa della nostra realta' -non potrebbe essere questa a consentirci di superare individualmente e collettivamente il solco scavato dai rituali delle divisioni (di nazione, di lingua, di religione, ecc.)?
Una consapevolezza anche dolorosa del nostro limite originario -non potrebbe essere questa a farci smettere di massacrarci fra di noi e a farci stringere solidali di fronte ai massacri compiuti dalla "natura"?
Forse allora potremmo cominciare timidamente a scoprirci piu' umani e meno ominidi.

L'ultimo appunto che avevo preso riguarda una poesia, che Salvatore Quasimodo pose a chiusura della raccolta Giorno dopo giorno del 1947.
La trascrivo qui a conclusione di queste note e come ulteriore contributo alla riflessione su questo punto cruciale della nostra esistenza e della nostra sopravvivenza.

SALVATORE QUASIMODO
UOMO DEL MIO TEMPO

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
- t’ho visto - dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
- Andiamo ai campi. - E quell’eco fredda, tenace,
e' giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

(Da: SALVATORE QUASIMODO, Tutte le poesie,
Mondadori, Milano 1969, p. 166).


NOTA

SALVATORE QUASIMODO (Modica -Ragusa, 20 agosto 1901- Amalfi, 14 giugno 1968), era figlio di un ferroviere, e, come ricorda nella poesia "Al padre" (clicca qui), da bambino soggiorno' nella Messina distrutta dal terremoto del 1908, vivendo un'esperienza tremenda e indimenticabile. Fece studi tecnici ed ebbe impieghi nell'ambito del Genio civile, pur dedicandosi con passione alla poesia, ottenendo riconoscimenti notevoli. Del 1930 e' la pubblicazione della prima raccolta, Acque e terre. Allontanatosi dalla Sicilia, soggiorno' prima a Firenze e poi a Milano, dove, nel 1938, abbandono' il Genio Civile e si dedico' al lavoro editoriale. Nel frattempo portava avanti la traduzione dei lirici greci, che fu pubblicata nel 1942, contemporaneamente con un'altra raccolta di poesie, Ed e' subito sera. Dal 1941 e fino all'anno della morte, tenne la cattedra di Letteratura italiana presso il Conservatorio di musica "Giuseppe Verdi", sempre a Milano. Nel periodo bellico, fra mille difficolta', Quasimodo continuo' a scrivere poesie e a tradurre non solo autori classici greci e latini, ma anche Shakespeare, Molière, Neruda, e altri ancora. Altre raccolte di versi uscirono nel 1947 (Giorno dopo giorno), nel 1949 (La vita non e' sogno), nel 1954 (Il falso e vero verde), e infine nel 1966, (Dare e avere). Fra i numerosi premi, di cui fu insignito Quasimodo, si ricorda qui il Premio Nobel, nel 1959. Ricevette lauree Honoris causa dall'Universita' di Messina, nel 1960, e da quella di Oxford, nel 1967.

Del massacro di Talheim (che e' in Baviera), si trova qualche notizia anche su due siti tedeschi:
clicca qui
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