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La vicenda del crocifisso nel racconto di Massimo Albertin e Soile Lautsi
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
16 luglio 2010 10:03
 
  Qualche settimana fa mi capitò di leggere il documento che propongo di seguito.
Si tratta della testimonianza di Massimo Albertini e Soile Lautsi, i due coniugi di Abano Terme che, dopo diversi vani tentativi di farsi ascoltare in Italia, nel 2006 si rivolsero alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo, sostenendo che l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche viola diversi diritti sanciti dalla Costituzione italiana e dalla Carta europea, fra cui la libertà di religione e il diritto dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni. La Corte Europea dette loro ragione con una sentenza resa nota il 3 novembre 2009, che adesso, su ricorso del Governo italiano, è all'esame della Grance Chambre dal 30 giugno scorso.
Il racconto dei Lautsi/Albertin, scritto dopo la sentenza della Corte europea, mi ha impressionato per la sua chiarezza e linearità, e a me è parso un documento nobile. Leggendolo, ci si accosta a persone che hanno battuto una strada non facile, perché hanno preso sul serio il loro essere genitori/educatori dei propri figli, privilegiando la coerenza fra pensiero ed azione. Aggiungo soltanto che persone come queste, che vanno fino in fondo alle questioni usando gli strumenti offerti dallo stato di diritto, sono componenti preziose della società, perché costringono tutti (a cominciare, è ovvio, da se stesse) ad approfondire i motivi (e magari la storia dimenticata) di certi comportamenti, che vetuste tradizioni e, ancor più forse, abitudini inveterate fanno apparire “naturali” o comunque indiscutibili. Infatti, un simile approfondimento, anche se fastidioso per alcuni, rappresenta, in realtà, un arricchimento di tutta intera la comunità civile; e questo, a prescindere dal fatto che il risultato finale sia favorevole agli uni o agli altri. Un seme di riflessione, comunque, è stato gettato, e, prima o poi, darà sicuramente i suoi frutti. Grazie, dunque a Massimo e a Soile per questa bella testimonianza e il racconto che ne hanno fatto e che riproduco col gentile permesso della rivista “L'Ateo”, in cui è comparso per la prima volta.
(Il grassetto nel testo è redazionale).

La vicenda del crocifisso
di Massimo Albertin e Soile Lautsi (da: “L'Ateo”, n. 1/2010 (67), pp 21-22)

E così questa storia sembra arrivata alla fine. Sono passati quasi vent’anni da quando è iniziata.
Sono, infatti, sei gli anni che io ho passato prima nel consiglio di Circolo e poi nel consiglio di Istituto della scuola dei miei figli, cercando di introdurre un po’ di laicità nell’istituzione in cui i bambini (poi ragazzi) dovevano obbligatoriamente (e sottolineo obbligatoriamente) crescere; dopo aver tentato di far rispettare i nostri diritti di cittadini non cattolici in una nazione in cui dal 1985 non c’è più la religione di Stato, la mia famiglia ed io abbiamo fatto alla scuola la richiesta di togliere il crocifisso dalle aule scolastiche sottoponendoci ad un’umiliante, anche se apparentemente “democratica” votazione in consiglio; che ci ha visto in minoranza. Per cui, dopo aver fatto ricorso al TAR del Veneto che ci aveva dato in prima istanza un barlume di speranza; dopo essere passati dalla Corte Costituzionale, essere ritornati al TAR per finire in ultima istanza sbeffeggiati dal Consiglio di Stato (che con paradossale arroganza e protervia è arrivato a definire il crocifisso come simbolo di laicità), abbiamo deciso di ricorrere alla Corte di Giustizia europea di Strasburgo. E stavolta, lontani dalle mefitiche influenze vaticane, abbiamo finalmente ottenuto quella soddisfazione che aspettavamo da tutti questi anni. Precisamente da 18 anni.
Perché se la vicenda giuridica è partita nel 2002, quella umana è iniziata il giorno dell’iscrizione alla scuola materna comunale del nostro primo figlio, avvenuta nel 1991. Quando ci siamo trovati costretti a decidere se un bambino di tre anni di età doveva “avvalersi o non avvalersi” dell’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC). Costringendo così la famiglia a dover scegliere se ghettizzare un bambinetto, che per due ore la settimana avrebbe dovuto essere separato dai suoi compagni, o se lasciarlo nel gregge per non farlo sentire “diverso”; scelta quest’ultima che tutti attorno a noi (parenti, amici ed insegnanti) consigliavano con forza.
Ma abbiamo preferito fare una scelta di coerenza. Non tanto coi nostri principi di adulti che vogliono imporre le loro scelte ai figli (come cercano normalmente di fare i credenti) o con quella forma di “ideologia atea” che ci viene oggi addebitata come una colpa e che, comunque, non ci appartiene. Ma per coerenza con gli insegnamenti che avevamo intenzione di dare ai nostri figli nel percorso educativo che avevamo deciso di intraprendere. Come puoi, infatti, imporre a tuo figlio piccolo di restare scomodamente legato al seggiolino dell’auto se tu stesso, genitore, per primo non allacci le tue cinture di sicurezza? Come puoi insegnarli di fermarsi al passaggio pedonale quando il semaforo è rosso, se tu per primo non lo rispetti?
Noi ritenevamo e riteniamo che la forza dell’esempio genitoriale fosse e sia la migliore forma di educazione. E che esempio avremmo dato ai figli se avessimo loro insegnato, a parole, l’importanza della coerenza con le proprie idee, e poi li avessimo mandati ad imparare la creduloneria propugnata in un’ora di IRC (anzi due ore fino alla quinta elementare) in cui per prima cosa si deve abbandonare qualsiasi spirito critico ed autonomia di pensiero, per lasciare posto al cosiddetto mistero di una religione rivelata?
Noi volevamo poterli educare forti dell’esempio di una scelta che, forse, avrebbe potuto penalizzarli durante il loro percorso scolastico. Non potevamo saperlo a priori. Abbiamo preferito scegliere per l’investimento a lungo termine anziché fare una scelta di comodo immediato. E oggi, guardandoci indietro possiamo dire che abbiamo vinto la nostra scommessa. Ma attraverso quante sconfitte siamo passati. A cominciare da quella prima votazione nel consiglio dell’Istituto comprensivo “Vittorino da Feltre” di Abano da cui noi, che volevamo difendere i diritti della libertà di religione e di educazione, siamo usciti in minoranza!
Ci tenevo a spiegare perché ho definito umiliante quella votazione del consiglio d’Istituto che, a cosiddetta democratica maggioranza, ha sancito, facendo riferimento al parere n. 63 del 27 aprile 1988 della sezione II del Consiglio di Stato, che si rifaceva ai famigerati regi decreti del 1924 e 1928 sugli arredi scolastici, che il crocifisso doveva rimanere esposto nelle aule frequentate dai nostri figli. L’ho definita umiliante perché secondo me ci sono questioni che non si possono sottoporre a una cosiddetta democratica votazione. E sono le questioni relative ai diritti fondamentali dell’uomo che sono sanciti in documenti che stanno alla base della convivenza civile; a partire dalla Costituzione della Repubblica Italiana che all’articolo 3 recita:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Quante persone in queste settimane ci hanno gridato di andarcene, la mia famiglia ed io, da questo paese se non ci piacciono le sue tradizioni se non ci piace la sua cultura! Probabilmente costoro non hanno mai letto la Costituzione. O se l’hanno letta non l’hanno capita. Comunque, noi alle tradizioni, che possono venire da lontano, ma possono essere sbagliate, anteponiamo le regole di convivenza civile rappresentate dalla Costituzione in Italia; e in Europa dalla Carta Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) firmata per l’Italia da De Gasperi nel 1952. E se la Corte Costituzionale nel 2004 ha pilatescamente rifiutato di esprimersi, adducendo (a nostro avviso) il pretesto che quei regi decreti non erano norme giuridiche, ma semplici norme regolamentari che non competevano a un così alto organo, la corte di Strasburgo invece si è rifatta agli articoli della Carta Europea che dicono:
Articolo 9 – Libertà di pensiero, di coscienza e di religione
1 Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti.
2 La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui.
Articolo 2 del protocollo addizionale. Diritto all’istruzione
Il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche.

Noi abbiamo ritenuto che la presenza del crocifisso nelle aule frequentate dai nostri figli, che già avevamo deciso che non dovevano frequentare l’ora di IRC, contraddicesse questi principi fondamentali. Principi che travalicano il diritto a cui una certa maggioranza (comunque da dimostrare) ci vorrebbe obbligare; in quanto in casi come questi le decisioni prese a maggioranza sono da considerare non più democratiche, bensì impositive. Ma ci eravamo ormai convinti che solo fuori da quel giardino vaticano a cui si è ormai ridotta l’Italia potevamo ottenere giustizia e così sperare di vincere la nostra battaglia di civiltà.
Oggi possiamo dire di avere vinto, indipendentemente da quello che sarà l’esito del ricorso del governo italiano alla gran camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. Che sotto la spinta della potente lobby vaticana potrebbe anche rovesciare un verdetto che in prima istanza è stato unanimemente (sette giudici a favore e nessuno contrario) a nostro favore. Possiamo dire di avere vinto perché i nostri figli hanno capito le motivazioni delle nostre scelte. E le hanno approvate. Hanno imparato la lezione di vita che noi volevamo dare loro. E loro oggi sono con noi e dimostrano, con l’unità della nostra famiglia, che la scelta fatta 18 anni fa era una scelta giusta. Una scelta di coerenza. Una scelta vincente.
Ci auguriamo solo che il nostro esempio possa indurre in futuro persone, normali come noi, ad avere il coraggio di fare scelte che inizialmente possono sembrare contro corrente, possono sembrare perdenti in partenza, possono sembrare sconvenienti e sbagliate. Ma scoprire che nazioni che vanno dalla Spagna alla Svezia, dalla Gran Bretagna alla Germania, dalla Croazia alla Grecia si interessano a una sentenza che alcuni definiscono storica, in quanto potrebbe cambiare l’approccio della comunità europea alla laicità dello Stato, applicando finalmente principi finora enunciati, ma non sempre applicati, è un motivo di soddisfazione e di orgoglio che ripaga delle umiliazioni patite e delle sconfitte subite”.

 NOTA

Raccomando la lettura della sentenza della Corte Europea
sulla “causa Lautsi c. Italia”, che è una fonte di informazioni storiche anche inedite ed espone tutti i fatti e le argomentazioni delle parti in causa in modo molto chiaro.
Detta sentenza (in lingua originale e in traduzione) e il ricorso del Governo, anch'esso in francese e in traduzione italiana si trovano nell'apposito Dossier sul sito del Governo, alla voce "Documenti". (Mi sia concesso un rilievo a proposito della traduzione -non ufficiale, meno male!- del ricorso; in essa la parola francese “arrêt”, che qui significa “sentenza”, è stata implacabilmente tradotta con “arresto”!!!!)
 
Dell'udienza della Grande Chambre del 30 giugno scorso è disponibile il video (clicca qui).

Chi volesse mettersi in contatto con Lautsi/Albertin può scrivere una mail a [email protected]., specificando nell'oggetto "All'attenzione di Lautsi/Albertin".

 

 
 
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