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 ITALIA - ITALIA - Gli italiani non investono sul futuro. Censis
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2 dicembre 2016 10:41
 
Sfiduciati dalla crisi, gli italiani si aggrappano al risparmio e non investono sul futuro. Le risorse dirottate nel salvadanaio impoveriscono la societa', e i giovani si ritrovano piu' poveri dei loro nonni. E' un'Italia 'rentier', avara di speranze, quella che il Censis fotografa nel 50esimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese, diffuso oggi. L'immobilita' sociale genera insicurezza: dall'inizio della crisi nel 2007, in Italia sono stati accantonati 114,3 miliardi di euro di liquidita' aggiuntiva. Una cifra maggiore del Pil dell'Ungheria. Per i 'millennial' e' un k.o. economico. I loro redditi sono piu' bassi del 15% rispetto alla media. Un gap che cresce al 26,5% se si fa il confronto con i loro coetanei di venticinque anni fa. La ricchezza dei giovani e' inferiore del 41% rispetto a quella dei sessantenni, che stanno sempre meglio. Per gli over 65 il reddito infatti e' aumentato del 24,3%. La ricchezza dei 'millennial', secondo l'analisi del Censis, "e' inferiore del 4,3% rispetto a quella dei loro coetanei del 1991, mentre per gli italiani nell'insieme il valore attuale e' maggiore del 32,3% rispetto ad allora e per gli anziani e' maggiore addirittura dell'84,7%. Il divario tra i giovani e il resto degli italiani si e' ampliato nel corso del tempo, perche' venticinque anni fa i redditi dei giovani erano superiori alla media della popolazione del 5,9% (mentre oggi sono inferiori del 15,1%) e la ricchezza era inferiore alla media solo del 18,5% (mentre oggi lo e' del 41,1%)".
"Le aspettative degli italiani - si legge nel Rapporto Censis - continuano a essere negative o piatte. Il 61,4% e' convinto che il proprio reddito non aumentera' nei prossimi anni, il 57% ritiene che i figli e i nipoti non vivranno meglio di loro (e lo pensa anche il 60,2% dei benestanti, impauriti dal downsizing generazionale atteso). Il 63,7% crede che, dopo anni di consumi contratti e accumulo di nuovo risparmio cautelativo, l'esito inevitabile - osserva il Censis - sara' una riduzione del tenore di vita. Fare investimenti di lungo periodo e' una opzione per una quota di persone (il 22,1%) molto inferiore a quella di chi vuole potenziare i propri risparmi (il 56,7%) e tagliare ancora le spese ordinarie per la casa e l'alimentazione (il 51,7%)". La parola d'ordine nell'economia degli italiani e' liquidita'. Quella totale, disponibile in contanti o in depositi non vincolati (che ammontavano a 818,4 miliardi di euro al secondo trimestre del 2016) "e' pari - calcola il Censis - al valore di una economia che si collocherebbe al quinto posto nella graduatoria del Pil dei Paesi Ue post Brexit, dopo la Germania, la Francia, la stessa Italia e la Spagna". Quasi il 36% degli italiani "tiene regolarmente contante in casa per le emergenze o per sentirsi piu' sicuro e, se potessero disporre di risorse aggiuntive, il 34,2% degli italiani le terrebbe ferme sui conti correnti o nelle cassette di sicurezza. Cosi', con una incidenza degli investimenti sul Pil pari al 16,6% nel 2015, l'Italia si colloca non solo a grande distanza dalla media europea (19,5%), da Francia (21,5%), Germania (19,9%), Spagna (19,7%) e Regno Unito (16,9%), ma e' tornata ai livelli minimi dal dopoguerra". 
"Emerge - rileva il Rapporto - una Italia rentier, che si limita a utilizzare le risorse di cui dispone senza proiezione sul futuro, con il rischio di svendere pezzo a pezzo l'argenteria di famiglia". Sul fronte dell'occupazione, invece, una schiarita: tra il 2013 e il 2015 sono stati recuperati 274.000 occupati e nel primo semestre del 2016 l'andamento dell'occupazione e' ancora positivo, con una variazione pari a +1,5% rispetto allo stesso periodo del 2015. Non si tratta, pero', di lavoro stabile. Tra gennaio e agosto 2016, infatti, il contratto a tempo indeterminato e' stato utilizzato nel 21,3% dei rapporti di lavoro attivati, ma nel 2015 la quota era molto piu' alta, il 32,4%). Per contro, i contratti a termine sono il 63,1% del totale. Secondo il Censis, "l'innovazione normativa (decontribuzione e Jobs Act con i contratti a tutele crescenti) ha quindi fatto fibrillare il mercato del lavoro". E il boom dei voucher (277 milioni di contratti stipulati tra il 2008 e il 2015 per 1.380.000 di lavoratori coinvolti, 70 milioni di nuovi voucher nei primi sei mesi del 2016), "e'il segnale che la forte domanda di flessibilita' e l'abbattimento dei costi stanno alimentando l'area delle professioni non qualificate e del mercato dei 'lavoretti'".  
 
 
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