testata ADUC
La clausola “floor” nei contratti di finanziamento. Applicabilità nelle pronunce dell'ABF ed eventuale nullità
Scarica e stampa il PDF
Osservatorio legale di Marco Solferini *
1 ottobre 2016 8:22
 
Con la c.d. clausola floor gli istituti di credito si garantiscono una minima redditività nelle operazioni di finanziamento anche in presenza di un futuro forte ribasso dei tassi.

In buona sostanza lo scopo della banca inserendo, in un contratto di mutuo, questa clausola sarebbe quello di garantirsi, in ogni caso, un rendimento minimo in termini di interessi corrisposti dal mutuatario senza dover gravare il risparmiatore finanziato con uno spread eccessivamente penalizzante. La qual cosa rappresenterebbe la contropartita tecnica.

L'utilizzo di queste clausola è letteralmente esploso dal 2010 ad oggi.

L'attuale discesa dei tassi, addirittura in alcuni casi in negativo, ha comportato che queste clausole hanno trovato applicazione pressoché ovunque nei mutui in essere o perlomeno in un numero significativo, facendo in modo che malgrado i tassi bassissimi gli interessi da corrispondere nelle rate non scendano al di sotto della percentuale inserita nella clausola floor.

Nel contempo i consumatori sono scesi sul piede di guerra e si sono moltiplicate le azioni nei confronti degli istituti di credito per cercare di rendere nulla o inefficace la clausola in questione.

Per meglio comprendere quale sia l'attuale orientamento nella fase stragiudiziale che precede il contenzioso è necessaria una breve digressione per meglio esaminare i contenuti delle censure mosse contro tale clausola.

Indice
1) La vessatorietà ai sensi dell'art. 1341 c.c.
2) La previsione degli articoli 33 ss del Codice del Consumo.
3) La presenza della clausola floor in contratto senza una clausola c.d. cap.
4) Le indicazioni di Banca d'Italia.
5) La nullità della clausola floor in conseguenza di una variazione imposta dei contenuti del contratto di finanziamento.
6) Conclusioni.

La vessatorietà ai sensi dell'art. 1341 c.c.

Per prima cosa occorre analizzare se tale clausola possa dirsi vessatoria ai sensi dell'art. 1341, comma 2° il quale dispone che: “in ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità , facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l' esecuzione , ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze , limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria”.

L'articolo in questione contiene quindi un elenco di previsioni svantaggiose per l'aderente a condizioni generali di contratto, moduli o formulari predisposti dall'imprenditore, le quali per essere valide ed efficaci debbono essere specificatamente approvate per iscritto.

Giova osservare che tale elenco deve assumersi come tassativo secondo il consolidato orientamento sul punto in diritto espresso dalla Corte di Cassazione (tra le tante Cass. 9646/2006).

Orbene, per quanto riguarda lo squilibrio economico che la clausola comporterebbe l'ABF si è già pronunciato più volte escludendolo anzitutto sulla base del rilievo che in virtù di tale clausola lo spread applicato al contratto è minore, cioè è ridotto (Collegio di Napoli 350/2012; 4191/2015).

Una conseguenza praticamente diretta dell'accettazione della clausola tale per cui a fronte della limitazione (floor) il mutuatario si giova di una agevolazione consistente in uno spread meno penalizzante che rappresenterebbe quindi la contropartita per l'accettazione della clausola.

Naturalmente sarà essenziale che questa sia stata debitamente pubblicizzata sotto il profilo della trasparenza il che si traduce nel fatto che tale indicazione dovrà emergere tanto nel foglio informativo quanto nel documento di sintesi dove vengono riportate le condizioni economiche del finanziamento ed in particolare il tasso minimo di ammortamento globale.

Ovviamente non si potrà prescindere dalla effettiva capacità di comprensione del mutuatario che potrebbe non possedere le competenze per una corretta rappresentazione dei contenuti e delle loro implicazioni. In particolare la convenienza economica.

Anche per questa ragione però qualora il contratto di finanziamento sia stato sottoscritto con atto pubblico, la forza probatoria connessa a quest'ultimo assorbirebbe il profilo precontrattuale. Infatti, il mutuatario avendo “letto, firmato e sottoscritto” l'atto pubblico ha avuto modo di essere edotto sul contenuto della clausola (eventualmente anche approvata espressamente per iscritto) e per effetto qualora avesse voluto, avrebbe potuto contestarla.

La previsione degli articoli 33 ss del Codice del Consumo:

Diversamente da quanto osservato, relativamente, all'art. 1341 c.c. è ben più articolata la disciplina sulle clausole vessatorie di ispirazione comunitaria e trasfusa negli articoli 33 ss del codice del consumo (d.lgs 206/2005).

Anzitutto il comma 1° dell'art. 33 recita: “Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.

Tuttavia il successivo art. 34 (Accertamento della vessatorietà delle clausole) ha cura di precisare, al comma 2° che: “La valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, nè all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile”.

Come pure lo stesso comma 6° dell'art. 33 prevede che: “Le lettere n) e o) del comma 2 non si applicano alle clausole di indicizzazione dei prezzi, ove consentite dalla legge, a condizione che le modalità di variazione siano espressamente descritte.”

A ciò si aggiunga che anche il comma 5° precisa: “Le lettere h), m), n) e o) del comma 2 non si applicano ai contratti aventi ad oggetto valori mobiliari, strumenti finanziari ed altri prodotti o servizi il cui prezzo è collegato alle fluttuazioni di un corso e di un indice di borsa o di un tasso di mercato finanziario non controllato dal professionista, nonché la compravendita di valuta estera, di assegni di viaggio o di vaglia postali internazionali emessi in valuta estera”.

Quindi, a prescindere da un giudizio generale sulla vessatorietà della clausola l'accertamento della stessa a norma dell'art. 34 sopra richiamato, come pure in ragione delle precisazioni già rilevabili nello stesso art. 33 impediscono di qualificare come vessatoria una clausola riguardante la variazione del tasso di interesse, se questa è formulata in modo chiaro e comprensibile.

La finalità sottesa è quella di garantire al cliente la formazione di un consenso consapevole in ordine alle obbligazioni che si accinge ad assumere mediante la conclusione del contratto.

Ed è per questo motivo che le decisioni sul punto in diritto dell'ABF sono state orientate a stabile che clausole del genere possono essere sindacate nel nostro ordinamento giuridico, sotto il profilo della vessatorietà, solo a condizione che risultino formulate in modo oscuro e poco comprensibile (Collegio Napoli n. 7355/2015).

La presenza della clausola floor in contratto senza una clausola c.d. cap:

Una situazione in parte diversa si verificherebbe nel momento in cui l'intermediario si è da un lato assicurato una soglia minima di interessi, così garantendosi da un eccessivo ribasso dei tassi in ragione delle fluttuazioni del mercato ma nel contempo non è stata inserita nel contratto alcuna clausola di tenore opposto, c.d. cap che all'opposto avrebbe garantito il mutuatario contro il rischio di una lievitazione eccessiva del tasso di interessi

Da questo punto di vista è stato anche osservato che, in quest'ottica, praticamente la clausola riprodurrebbe un opzione tipica di un contratto sui derivati un derivato che coprirebbe unicamente l'intermediario da un eccessiva caduta dei tassi a e a fronte della cui stipula, innanzitutto non sarebbe riconosciuto al mutuatario alcun corrispettivo. Cioè egli non avrebbe beneficiato di nessuna agevolazione come ad esempio la riduzione dello spread.

Relativamente alla riconduzione di tale clausola a un opzione la stessa è stata respinta dall'ABF tuttavia ritengo opportuno segnalare due sentenze a mio parere interessanti pur se riferite ad una casistica diversa rispetto a quella in esame (relativa cioè ai contratti di finanziamento e in particolare al mutuo). Si tratta segnatamente di Corte dei Conti Sez. Contr. Reg. Campania 13 agosto 2009 relativamente alla presenza di una clausola floor in un contratto stipulato da una P.A. e la recente sentenza del Tribunale di Udine 29 febbraio 2016 per quanto riguarda la clausola floor nell'ambito di un contratto sul rischio di cambio valutario.

Orbene, pur dando atto che in una circostanza del genere pare indubbio che la clausola abbia prodotto l'effetto di arrecare un vantaggio economico al mutuante, senza assicurare alcun corrispettivo vantaggio al mutuatario le consolidate pronunce dell'ABF lasciano pochi margini interpretativi laddove secondo quest'ultimo, tenuto conto delle norme sopra richiamate del codice del consumo sarebbe chiara la volontà legislativa di non consentire che il giudizio di vessatorietà si possa estendere anche alle clausole destinate a remunerare il servizio di finanziamento erogato dal mutuante.

In conseguenza devesi sottolineare che una clausola “floor” ove pure non adeguatamente compensata da una clausola “cap” non può dirsi nulla o comunque inefficace perchè non v'è ragione di considerarla viziata da profili di illegittimità (Collegio ABF Milano n.688/2011; collegio Roma n. 2688/2011; collegio Napoli n.395/2012, collegio Napoli n. 2735/ 2014 collegio Napoli n. 7355/2015)

Le indicazioni di Banca d'Italia:

Sulla scorta di quello che pare un orientamento ben consolidato Banca Italia a febbraio del 2016 ha diffuso la comunicazione “parametri di indicizzazione dei finanziamenti con valori negativi: trasparenza delle condizioni contrattuali e correttezza nei rapporti con la clientela” a seguito della quale ha invitato le banche a non applicare un floor se non contrattualizzato e non pubblicizzato.

Inoltre la Banca d'Italia ha altresì invitato gli intermediari ad adeguare i propri programmi informatici per permettere il calcolo dell'importo richiesto ed effettuare le relative automatiche restituzioni.

Da quanto evidenziato nelle pronunce dell'ABF la clausola floor, salvo le circostanze previste è destinata ad essere nei contratti di finanziamento come il mutuo non solo ammissibile ma, se adeguatamente pubblicizzata, anche inattaccabile.

La nullità della clausola floor in conseguenza di una variazione imposta dei contenuti del contratto di finanziamento:

Tuttavia affinchè possa dirsi tale è anche necessario che la stessa sia, a mio avviso, immutabile.

La qual cosa non pare affatto scontata. Infatti, se analizziamo la storia economica della clausola ci rendiamo conto che la stessa nasce per avvantaggiare l'istituto di credito nel caso in cui la condizione del mercato dei tassi, dovuta alla loro fluttuazione, dovesse penalizzare niente di meno che l'attività storica di veder remunerato il capitale prestato.

Se quindi parliamo di una fluttuazione la scelta strategica sul quantum della clausola si baserà su previsioni a breve come nel medio periodo. La banca vorrà infatti cautelarsi ma nel contempo invogliare anche il risparmiatore a stipulare un contratto di finanziamento.

L'attuale congiuntura economica però è unanimamente considerata come non prevista. In tutto o in parte. Per effetto anche l'utilizzo di questa clausola potrebbe non essere stato sufficientemente previsto dagli istituti di credito.

Sarebbe il caso cioè in cui la clausola è presente nel contratto, la sua pubblicizzazione ha rispettato i criteri di trasparenza ma è stata successivamente cambiata per motivazioni che pur trovando una spiegazione dal punto di vista contabile e finanziario in diritto nulla rileverebbero.

Anzitutto è bene, prima di dettagliare la fattispecie in questione, premettere come sia ben noto il principio tale per cui non sussiste un diritto del cliente alla rinegoziazione del mutuo, giacchè questa presuppone una nuova definizione del rapporto contrattuale che non può prescindere dal consenso delle parti.

Del resto l'art. 118 del Tub, al comma 1° stabilisce che: “Nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo. Negli altri contratti di durata la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo”. E' fuori discussione che i contratti di finanziamento (come il mutuo) sono a tempo determinato.

Data la delicatezza della materia, com'è comprensibile, il procedimento da seguire è standard esattamente come chiarisce il successivo comma 2° “Qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula: ‘Proposta di modifica unilaterale del contratto’, con preavviso minimo di due mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente. Nei rapporti al portatore la comunicazione è effettuata secondo le modalità stabilite dal CICR. La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In tal caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all’applicazione delle condizioni precedentemente praticate”.

Le conseguenze di una violazione sono quelle del comma 3°: “Le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci, se sfavorevoli per il cliente”.

Dunque si può ipotizzare che tutte le volte in cui il risparmiatore ha richiesto all'istituto di credito di accogliere una richiesta e quest'ultimo ha subordinato l'accoglimento della medesima alla condizione che il cliente stesso accettasse le modifiche al contratto proposte dalla banca i presupposti di validità della clausola floor possono venir meno.

Siamo in presenza di una situazione in cui la banca si rende disponibile ad accogliere le richieste avanzate dalla parte mutuataria, solo ed unicamente però nei limiti ed alle condizioni di cui a una scrittura privata la quale però ingloba pure la modifica voluta dalla banca e non richieste dal cliente.

Orbene, se questa modifica imposta al cliente riguarda l'applicazione o la portata effettiva della clausola floor allora la stessa anche se in precedentemente non possedeva il carattere della vessatorietà lo acquisisce.

Infatti se l'istituto di credito, contraente forte, replica al cliente che è disponibile ad accogliere le sue istanze solo nella misura in cui anche la propria, di proposta, venisse per effetto accolta dal cliente e la proposta in questione riguarda niente di meno che un aspetto della clausola floor come ad esempio lo spread la banca utilizzerebbe un espediente contrattuale per andare manualmente ad incidere, alterandolo, su di un aspetto del contratto che genererebbe senza dubbio una sperequazione del tutto evidente e come tale vessatoria a danno del contraente debole.

Il quale, in buona sostanza, se vuole ottenere quello che chiede dovrebbe sottostare al ricatto di accettare anche quello che non vorrebbe.

La qual cosa sarebbe resa ancora più evidente nel caso, più grave, in cui il cliente versasse anche in uno stato di necessità di cui peraltro la banca non potrebbe sostenere di essere all'oscuro. A tal proposito ricordo che è spesso parte integrante del contratto di finanziamento l'obbligo, a carico del cliente, di comunicare ogni variazione della propria consistenza patrimoniale. Circostanza assai comune per esempio in tutti i casi in cui il cliente chiede di essere ammesso al beneficio della sospensione della quota capitale delle rate per un termine usualmente di sei mesi.

Ecco allora che ci troviamo di fronte a un risparmiatore che, in ragione di un motivato e documentato stato di necessità domanda, come da contratto, di essere ammesso al beneficio della sospensione delle rate e la banca condiziona l'accoglimento di tale richiesta all'accettazione integrale di una scrittura privata nella quale oltre a quanto richiesto dal risparmiatore c'è anche la pretesa, della banca, di variazione della clausola floor, in tutto o in parte. Variazione non richiesta dal cliente ed imposta di fatto come condizione per l'accettazione del beneficio di sospensione delle rate.

In considerazione di quanto esposto non esistono valide motivazioni per non considerare, in un caso così specifico, la vessatorietà della clausola floor e la sua conseguente nullità con annesso obbligo di ricalcolo e restituzione di indebito al risparmiatore.

Depongono in particolare a favore di una siffatta impostazione tre elementi:
  1. Se lo scopo della clausola floor è quello di assicurarsi una redditività anche in tempi di eventuale volatilità del mercato la clausola non può essere “aggiornata” a seconda dell'andamento delle politiche monetarie delle Banche centrali e dei tassi, altrimenti si risolverebbe in una vera e propria rinegoziazione del contratto.
  2. Il contratto di finanziamento risponde a plurimi criteri fra cui la trasparenza che significa anche certezza e cioè la possibilità, in concreto per il risparmiatore di valutare quale istituto di credito scegliere per ottenere un prestito e a quali condizioni. Se così non fosse verrebbe meno il rapporto di buona fede fin dalla fase delle trattative durante le quali nulla verrebbe detto a proposito di una clausola che potrebbe anche cambiare durante il contratto rappresentando questo sicuramente e senza ombra di dubbio una violazione del dovere di pubblicizzare in modo chiaro e comprensibile la clausola che diventerebbe immancabilmente oscura e capziosa per il risparmiatore.
  3. Se il contenuto della clausola non fosse “potenzialmente” vessatorio cioè tale solo ed unicamente in presenza e al verificarsi di alcune circostanze come chiarito dalle plurime sentenze dell'ABF, non vi sarebbe nemmeno motivo per andare ad alterarne il contenuto che, all'opposto, proprio perchè potenzialmente sperequativo interessa maggiormente il contraente forte. In ciò dimostrando pertanto l'intima vessatorietà che pur potendo non esserci in principio si manifesterebbe ancor più dopo e peraltro anche in ragione dell'eventuale stato di necessità in cui verserebbe il risparmiatore.

Conclusioni:

In base a quanto sopra esposto e considerato, non è da escludersi che sia percorribile, e fermo restando gli attuali indirizzi stragiudiziali seguiti dall'Arbitro Bancario e Finanziario, la vessatorietà della clausola floor qualora la stessa abbia subito variazioni nel corso del contratto di finanziamento.

In particolare andrà considerato il modo in cui queste variazioni sono state poste in essere.

Sopratutto alla luce del fatto che spesso gli istituti di credito cercano di trasformare una loro pretesa in una proposta del risparmiatore per arginare i limiti che altrimenti non gli permetterebbero di modificare il contratto.

Orbene, una siffatta impostazione espone la banca a plurime censure e responsabilità che possono essere rilevate avanti al giudicante in ipotesi del genere. Ancor più qualora il mutuante abbia consapevolezza delle difficoltà economiche in cui versa il mutuatario, e la vessatorietà si manifesterebbe in tutta la sua evidenza.

Peraltro a nulla varrebbero le eventuali difese dell'Istituto di credito.

Le quali, in una circostanza del genere, potrebbero essere tese a dimostrare come il comportamento della banca, pur se censurabile per il modus non risulterebbe essere contrario al principio di correttezza e buona fede, come pure che la stessa non avrebbe violato il dovere di protezione del proprio cliente e conseguentemente che dai suoi comportamenti non potrebbe essere conseguito alcun danno risarcibile.

Difesa che la banca potrebbe motivare sul presupposto che questa non ha perseguito intenti speculativi poiché avrebbe praticato al cliente condizioni economiche se non migliori comunque non più gravose di quelle, nello stesso periodo, praticate alla generalità della clientela (condotta semmai utile a scongiurare la inefficacia ex art. 118 Tub o la nullità ex. 117 Tub)

Si tratterebbe di motivazioni deboli il cui potere di persuasione avrebbe non poche difficoltà a prevalere su ben più precise ricostruzioni fondate su argomentazioni e deduzioni del cliente apparentemente più solide.

Come tale il risparmiatore potrebbe eccepire la nullità della clausola e pretendere, dopo il ricalcolo della somma dovuta, la restituzione di quanto indebitamente corrisposto o l'adeguamento del residuo debitorio.


* Avv. Marco Solferini
Bologna – Roma
Peo: [email protected]
Pec: [email protected]
 
 
OSSERVATORIO LEGALE IN EVIDENZA
 
AVVERTENZE. Quotidiano dell'Aduc registrato al Tribunale di Firenze n. 5761/10.
Direttore Domenico Murrone
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS