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Conservazione degli alimenti e responsabilita' penale del commerciante: ennesima conferma della Cassazione penale
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Osservatorio legale di Cristiana Olivieri *
1 aprile 2014 14:55
 
 E' del febbraio 2014 l'ultima sentenza rilevante della Corte di Cassazione penale in merito alla corretta conservazione di alimenti, che scaccia ogni dubbio anche sulla responsabilità penale dei commercianti.
Con la sentenza n. 6108 del 10 febbraio scorso, la Corte conferma in maniera ancora più netta le rigide prescrizioni in materia di conservazione dei cibi, in un'ottica di salvaguardia della salute e del benessere dei consumatori.
La pronuncia, infatti, rigetta il ricorso presentato da un commerciante di frutta e verdura, condannato al pagamento di un'ammenda per aver violato l'art. 5, lettera b) del decreto legge 283/1962, che vieta di “(...)impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo, sostanze alimentari (...) in cattivo stato di conservazione”.
Già nella precedente giurisprudenza, la Corte, anche in Sezioni Unite, si era pronunciata in modo chiaro sull'art. 5 della legge 283/62: si tratta di un reato per la cui configurazione non è necessario dimostrare che l'alimento abbia causato un danno alla salute del consumatore, o che si sia evidentemente deteriorato, o ancora che ne sia stata compromessa la commestibilità, ma è sufficiente che il bene di consumo sia conservato senza l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie (nel caso concreto, si trattava di cassette di verdura che erano esposte al sole e a contatto con i gas di scarico delle automobili in transito). Le valutazioni sullo stato di cattiva conservazione non richiedono però la necessità di analisi di laboratorio o esami approfonditi: il giudice ben può prendere in considerazione altri elementi di prova, come le testimonianze di persone addette alla vigilanza, oppure semplici operazioni di ispezione, in casi evidenti. Nella recente sentenza si è riportata anche precedente giurisprudenza con cui si afferma che si può avere conservazione non idonea anche in presenza di confezioni sporche perché custodite in locali non in linea con le prescrizioni igienico-sanitarie.
Già nel 2001 la Corte aveva chiarito che per la configurazione di questo reato non è necessario neppure che si sia perfezionato l'acquisto dell'alimento mal conservato, poiché il bene tutelato dalla norma di legge non è solo la salute del consumatore, ma il più generale concetto di benessere. Tale concetto anticipa la tutela giuridica ancora prima della compravendita; la Cassazione parla proprio di “reato di danno”, poiché “si tratta di una disposizione finalizzata (…) a perseguire un autonomo fine di benessere, assicurando una protezione immediata all'interesse del consumatore affinché il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura”.
Con altra sentenza del 2010, la Corte aveva altresì precisato che, laddove ci siano delle precise disposizioni normative igienico-sanitarie, la conservazione deve attenervisi in maniera puntuale, altrimenti, in mancanza di queste, la conservazione degli alimenti al consumo va effettuata sulla base di regole di comune esperienza.

* Consulente legale Aduc

 
 
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