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Contratti standard di assistenza legale e clausole abusive
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Osservatorio legale di Cristiana Olivieri *
5 marzo 2015 16:21
 
  La disciplina che tutela il consumatore nei contratti con i professionisti (cosiddetti contratti B2C, ovvero business to consumer) è ampiamente articolata soprattutto a livello europeo e risponde all’esigenza di tutelare in modo armonizzato nel territorio la figura del consumatore-cliente, spesso sprovvisto di competenze tecniche adeguate quando contrae con soggetti professionisti. Ad esempio, una delle tante disposizioni in materia prevede che nel caso in cui alcune clausole non siano di immediata e trasparente comprensione, vadano interpretate nel senso più favorevole per il cliente.
Il caso in esame riguarda la stipulazione di un contratto tra una cliente e un avvocato, redatto nella forma generalizzata, cioè con clausole standardizzate per tutti i clienti. La signora si era rivolta al professionista per ricevere assistenza legale a pagamento in diverse cause concernenti un divorzio, il trasferimento di un bene immobile e un giudizio di appello presso il Tribunale lituano locale. Nel contratto standard non venivano indicate né le modalità di pagamento, né i termini entro i quali tali pagamenti dovevano essere corrisposti, né la specificazione dei diversi servizi prestati dall’avvocato con relativa indicazione dei prezzi. A seguito del mancato pagamento da parte della cliente, secondo termini e modalità previste direttamente dall’avvocato, quest’ultimo si rivolgeva al Tribunale locale per un’ingiunzione di pagamento, che la cliente appellava. Vistasi rigettare l’appello, la cliente si rivolgeva pertanto alla Corte Suprema Lituana, che rinviava alcune questioni di importanza centrale alla Corte di Giustizia Europea. La Suprema Corte chiedeva in sostanza se la signora ricorrente potesse essere considerata come un vero e proprio consumatore, secondo la nozione prevista in ambito europeo dalla direttiva 93/13, e se quindi fosse applicabile la tutela prevista per tale categoria; inoltre, chiedeva se l’avvocato potesse essere considerato a sua volta un professionista e se quindi il contratto stipulato tra i due potesse ricadere nella disciplina dei contratti con i consumatori.
La Corte di Giustizia, con sentenza del 15 gennaio 2015 ha esaminato analiticamente le richieste, richiamando precedenti pronunce sull’argomento. Innanzitutto ha affermato che le clausole che regolavano il rapporto di assistenza legale non erano state negoziate individualmente dalle parti, perciò ben potevano rientrare nella categoria dei contratti B2C. La cliente, infatti, non avendo potere nelle trattative, né una competenza pari a quella del professionista, si era trovata nella condizione di aderire al contratto senza potervi in alcun modo incidere. D’altro canto, l’avvocato nello svolgimento delle proprie prestazioni, disponeva di competenze tecniche e professionali che il cliente non comprende sempre in modo immediato. La natura di “professionista” dell’avvocato è quindi indubbia, a prescindere dalla natura pubblicistica che caratterizza la sua attività (il 14° considerando della direttiva 93/13 parla indistintamente di attività “di natura pubblica o privata”). Né le disposizioni sulla riservatezza e sull’obbligo di segreto che gravano sull’avvocato possono escludere l’applicazione ai contratti di assistenza legale della direttiva sulle clausole abusive: infatti le clausole standard, che non sono state oggetto – come nel nostro caso – di negoziazione individuale, “non contengono in quanto tali, informazioni personalizzate relative ai clienti degli avvocati, la cui rivelazione potrebbe minacciare il segreto della professione di avvocato” ( punto 31 della sentenza). Se infatti, l’indicazione specifica delle modalità di pagamento potrebbe rivelare alcuni profili riservati del rapporto con il cliente, comunque dovrebbe essere negoziata individualmente ed esulerebbe dai contratti standard e dalla conseguente applicazione della direttiva.
Nessun dubbio, quindi sull’applicabilità delle norme europee in materia di clausole abusive ai contratti standard di assistenza legale, conclusi tra un avvocato e una persona fisica che non agisca nell’ambito della propria attività professionale.
La sentenza conclude indicando al giudice nazionale che nel momento in cui decide sull’abusività o meno di clausole contrattuali stipulate con i consumatori, deve analizzare tutti gli aspetti particolari, come la natura dei servizi prestati e le circostanze nelle quali viene concluso il contratto, valutando attentamente gli aspetti di eventuale “debolezza” del consumatore.

* Consulente legale Aduc

 
 
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