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Rsa. Incostituzionalita' della legge regionale Toscana: ennesimo tentativo a danno delle tasche dei meno abbienti
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Osservatorio legale di Emmanuela Bertucci
1 febbraio 2009 0:00
 
Ormai da anni ci occupiamo della costante e diffusa illegalita' dei Comuni d'Italia che, spesso complici le Regioni, chiedono illegalmente ai cittadini  ingenti somme di denaro (se parametrate all'attuale costo della vita) a titolo di retta per la degenza in RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali).

L'ultima vicenda di cui ci siamo occupati riguarda la Regione Toscana che, per porre "rimedio"  ad una sentenza del TAR Toscana che riconosce l'illegittimita' delle richieste economiche effettuate dal Comune di Firenze alle persone degenti in RSA e ai loro parenti, ha deciso di "avallare" con una legge illegittima queste prassi illegali dei Comuni, sperando in un effetto deterrente che dissuada i cittadini dal chiedere giustizia.
Per comprendere appieno i profili di illegittimita' di tale legge, facciamo una iniziale premessa su come il Parlamento italiano ha disciplinato il pagamento di queste rette, operando una chiara e precisa scelta di politica sociale e sanitaria.

Le prestazioni di degenza in residenze sanitarie assistenziali per soggetti handicappati/disabili gravi non autosufficienti e soggetti ultrasessantacinquenni non autosufficienti rientrano fra i cosiddetti LEA, livelli essenziali di assistenza (1) e in ragione della duplice rilevanza sanitaria prima che sociale delle prestazioni di cui sopra, il legislatore ha previsto che il pagamento delle rette di permanenza nelle residenze sanitarie assistenziali (RSA) per soggetti ultrasessantacinquenni non autosufficienti e' ripartita per il 50% a carico del S.S.N. e per il restante 50% a carico dei Comuni, con l'eventuale compartecipazione dell'utente secondo i regolamenti regionali o comunali (2); per soggetti handicappati/disabili gravi non autosufficienti e' ripartita per il 70% a carico del S.S.N. e per il restante 30% a carico dei Comuni, con l'eventuale compartecipazione dell'utente secondo i regolamenti regionali o comunali (3). Pertanto, i Comuni possono chiedere all'assistito un contributo percentuale a tal fine, sulla base della situazione economica dello stesso, valutata secondo i parametri ISEE, cosi' come determinata dall'art. 25 della legge 328/2000 in relazione a quanto stabilito nel d.lgs. 109/98.

Delineato per grandi linee il quadro normativo, passiamo all'analisi della legge della Regione Toscana n. 66 del 2008 in vigore dal 19 dicembre 2008, nota ai piu' come la legge che istituisce un nuovo fondo per la non autosufficienza.  Una buona legge, parrebbe dunque; una legge che mostra la sensibilita' della Regione Toscana alle esigenze delle categorie piu' deboli, anziani e handicappati gravi, ma che in realta' ha fra i suoi scopi principali quello di tentare di "salvare" i Comuni toscani dall'esborso di somme cui questi ultimi sono tenuti.
L'approvazione di tale legge si inserisce, infatti, nel tentativo di rendere legittimi i regolamenti dei Comuni toscani che –in contrasto con la normativa nazionale– prevedono il computo dei redditi dei parenti per la determinazione della quota in compartecipazione dell'utente, nonche' il computo degli emolumenti previdenziali e assistenziali che la legge esclude. Non e' un caso che il procedimento di approvazione della legge stessa sia stato accelerato dalla pendenza avanti al Tribunale amministrativo Regionale per la Toscana di precedenti ricorsi aventi medesimo oggetto, cosi' come non e' un caso che l'approvazione finale della 66 del 2008 sia avvenuta a pochi giorni di distanza dal deposito della sentenza n. 2535/08 del Tar Toscana, che obbliga il Comune di Firenze a conformarsi alla legge nazionale e dunque a richiedere, per la degenza in RSA di  soggetti handicappati/disabili gravi non autosufficienti e soggetti ultrasessantacinquenni non autosufficienti un contributo economico proporzionato al reddito personale e non gia' al reddito del nucleo familiare.

Questo tentativo e' contenuto all'art. 14 della legge stessa, che cosi' recita:
"[...] In via transitoria e in attesa della definizione dei LIVEAS sono previste forme di compartecipazione da parte della persona assistita ai costi delle prestazioni non coperti dai livelli essenziali di assistenza sanitaria, secondo livelli differenziati di reddito e patrimoniali definiti da apposito atto regionale di indirizzo, tenendo conto dei principi in materia di indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) di cui al decreto 31 marzo 1998, n. 109 [...]. Nelle more della definizione dei LIVEAS, l'atto di indirizzo regionale che deve definire i livelli differenziati di reddito e patrimoniali attiene ai seguenti criteri generali: [...] b) nel caso di prestazioni residenziali oltre alla situazione reddituale e patrimoniale della persona assistita, determinata secondo il metodo Isee sono computate le indennita' di natura previdenziale e assistenziale percepite per il soddisfacimento delle sue esigenze di accompagnamento e assistenza; c) la quota di compartecipazione dell'ultrasessantacinquenne e' calcolata tenendo conto altresi' della situazione reddituale e patrimoniale del coniuge e dei parenti in linea retta entro il primo grado".
L'approvazione di questo articolo e' stata fortemente criticata anche dal Difensore civico regionale, che da tempo e' a conoscenza della problematica e che interpellato dal Consiglio regionale per un parere, si e' espresso sull'art. 14 ritenendolo illegittimo e fonte di nuovo contenzioso giurisdizionale (parere patentemente ignorato dall'organo legislativo regionale).
Questo articolo, che gia' ad una prima lettura appare in pieno contrasto con la normativa statale gia' menzionata, fonda la propria ragion d'essere sulla inerzia statale nella determinazione dei LIVEAS (livelli essenziali di assistenza sociale) dando per intendere al lettore disattento che le prestazioni di inserimento di persone handicappate gravi e anziani ultrasessantacinquenni non autosufficienti in RSA siano non gia' prestazioni socio-sanitarie bensi' prestazioni di "mera" assistenza sociale, materia –quest'ultima– di esclusiva competenza regionale ai sensi dell'art. 177, comma 4 Cost. Questo sarebbe il percorso logico della Regione Toscana: se tali prestazioni hanno carattere esclusivamente sociale, ben puo' la Regione nella propria piena ed esclusiva autonomia legislativa stabilire i propri criteri fondamentali in relazione a quali prestazioni fornire e a quali condizioni economiche, ignorando l'esistente legislazione statale (che dunque non avrebbe alcuna ragione di esistere!).

Quanto appena detto ben si comprende se si valuta la legge regionale Toscana alla luce della novella del Titolo V della Costituzione che attribuisce in via esclusiva allo Stato la potesta' normativa in materia di "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" (art. 117, comma 2, lett. m) e di previdenza sociale (art. 117, comma 2, lett. o) ed individua come materie di legislazione concorrente la tutela della salute (art. 117, comma 3). La legge 66 del 2008 comporta due gravissime violazioni costituzionali. La prima concerne l'art. 117 comma 2 lett. m) Cost. Le prestazioni sociosanitarie di degenza in RSA per handicappati gravi e ultrasessantacinquenni non autosufficienti sono livelli essenziali sia sanitari che sociali, rientrando sia nei LEA (si veda sopra) sia nei LIVEAS (art. 22 l. 328 del 2000). La violazione commessa dalla Regione Toscana consiste in buona sostanza nell'ignorare che tali prestazioni siano LEA, a componente sanitaria e a competenza legislativa concorrente, erroneamente ritenendo che essi rientrino nei soli LIVEAS, e dunque di esclusiva competenza legislativa regionale.
Cosi' non e'.
E da cio' consegue la seconda violazione del dettato costituzionale, in particolare dell'art. 117, comma 3 che attribuisce competenza concorrente fra Stato e regioni nella materia della tutela della salute. Le prestazioni in questione sono infatti Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria individuati con dpcm del 29.11.2001, la cui disciplina ricade appunto nella categoria "tutela della salute".
Le medesime prestazioni sono poi state ritenute dal legislatore nazionale altresi' Livelli Essenziali di Assistenza Sociale. I due concetti ben possono convivere: il fatto che la degenza in RSA comporti prestazioni di carattere sociosanitario (LEA) alla persona ben puo' convivere con altri tipi di servizi –questa volta sociali (LIVEAS)– che si possono prestare alla stessa persona degente nella medesima struttura. Rientrera' allora fra le prestazioni sociosanitarie l'assistenza alla persona malata consistente nei tipici servizi offerti da questo genere di strutture (prestazione oggetto del presente giudizio); rientreranno nei servizi sociali alla persona altri tipi di servizi piu' prettamente sociali, quali la compagnia all'anziano piuttosto che l'organizzazione di eventi ricreativi ecc. In particolare, il secondo comma dell'art. 14 contraddice non solo altra norma della stessa legge (nella specie, l'art. 14, comma 1, che si rifa', correttamente, alla disciplina di cui al d.lgs. 109 del 1998 –con particolare riguardo ai criteri per la compartecipazione di cui al gia' menzionato art. 3 comma 2 ter)- ma addirittura contraddice lo stesso art. 3 comma 2 ter del d.lgs 109 del 1998, secondo il quale la determinazione della situazione economica del richiedente le prestazioni sociali nell'ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave nonche' a soggetti ultrasessantacinquenni non autosufficienti debba avvenire tenendo in considerazione la situazione economica del solo assistito. In riferimento alla lett. b) dell'art. 14, merita sottolineare come esso ricomprenda anche il computo di emolumenti e indennita' di natura previdenziale e assistenziale, che sono esclusi dai computi delle rette a carico degli utenti.

La norma in questione tenta di destare confusione fra gli operatori del diritto, sovrapponendo le categorie di LEA (livelli essenziali di assistenza) e LIVEAS (livelli essenziali di assistenza sociale), lasciando intendere che questi ultimi non siano assolutamente definiti, e che pertanto le prestazioni sociosanitarie di degenza in residenze sanitarie assistenziali non siano prestazioni "sociosanitarie" ma soltanto prestazioni "sociali"; e cio' al fine di eludere il dettato costituzionale che vede di competenza esclusiva del legislatore nazionale la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, lett. m) e di competenza concorrente la tutela della salute. Il goffo tentativo della legge 66 del 2008 consiste nel voler ritenere tali prestazioni meramente sociali, in modo da svincolarsi completamente da qualsiasi vincolo legislativo statale per poter far ricadere la materia nel comma 4 dell'art. 117 Cost: "spetta alle Regioni la potesta' legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato". Invero, se la determinazione dei livelli essenziali e' di esclusiva potesta' legislativa statale (cui lo Stato ha ottemperato con i d.p.c.m. 29 novembre 2001 e 14 febbraio 2001), la disciplina delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie rientra nelle materie in cui la competenza e' concorrente tra Stato e Regioni, materie nel cui ambito la potesta' legislativa delle Regioni trova un limite nelle leggi-quadro o leggi-cornice.

Per sgombrare il campo da eventuali fraintendimenti, si sottolinea come il legislatore nazionale abbia ampiamente chiarito che le prestazioni oggetto del presente giudizio rientrano fra i LEA, come da combinato disposto degli art. 54, l. 289 del 2002, artt. 1 e 3 septies d.lgs. 502 del 1992, d.p.c.m. 29 novembre 2001 allegato 1, lett. h, d.p.c.m. 23.04.2008 nonche' –in relazione alla suddivisione della compartecipazione fra Asl e comuni d.p.c.m. 14 febbraio 2001- definendo la degenza in RSA per persone handicappate gravi e ultrasessantacinquenni non autosufficienti "prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria [...] caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensita' della componente sanitaria", e specificando nel d.p.c.m. del 2001 che rientrano fra i livelli essenziali di assistenza anche le "prestazioni sanitarie di rilevanza sociale, ovvero le prestazioni nelle quali la componente sanitaria e quella socioassistenziale non risultano operativamente distinguibili".
E se anche si volesse ritenere corretto l'inserimento di tali prestazioni fra i soli LIVEAS, cio' nondimeno le norme contenute all'art. 14 della legge 66 del 2008 sarebbero incostituzionali. Sebbene infatti la riforma costituzionale del Titolo V sia successiva all'entrata in vigore della legge 328 del 2000, tale legge ben puo' esser riletta alla luce del nuovo quadro costituzionale. I livelli essenziali (LIVEAS inclusi) trovano tutela nella lettera m dell'art 117, nei diritti civili e sociali quale competenza dello Stato, ritenuti esigenze unitarie sovranazionali. Si tratta di una previsione posta a garanzia dell'effettiva tutela dei diritti sociali e del principio di uguaglianza sostanziale tra gli individui, tesa a impedire che l'autonomia regionale si traduca in forti disuguaglianze territoriali nelle prestazioni sociali e in contenuti deteriori per la cittadinanza sociale dovuti unicamente al luogo di residenza.
E' quindi essenzialmente a questa norma che e' destinato il compito di realizzare un equilibrio tra le ragioni dell'autonomia e quelle dell'unita', tra le esigenze della differenziazione e quelle dell'uniformita', nell'ambito di quelle materie, come l'assistenza sociale, in cui le competenze legislative e amministrative finalizzate all'attuazione del diritto sociale sono decentrate verso regioni ed enti locali. Piu' che di competenza per materia si tratta di competenza di sistema (o, per usare le parole della Corte Costituzionale "trasversale"). Quindi al legislatore nazionale spetta l'individuazione dei LIVEAS, in via di legislazione esclusiva, mentre alle regioni spettano, in questo quadro, le modalita' organizzative, gli standard da adottare per raggiungere l'obiettivo della garanzia delle prestazioni. Se cosi' e' la regione non puo', nemmeno nelle more di una determinazione dei LIVEAS piu' dettagliata rispetto a quella di cui alla legge 328 del 2000, fissare suoi criteri illegittimi rispetto alla normativa vigente, cosi' invadendo la competenza esclusiva del legislatore statale, ma attenersi a quanto gia' previsto dallo Stato.
L'art. 22 della legge 328 del 2000 sull'assistenza definisce infatti i LIVEAS: "Ferme restando le competenze del Servizio sanitario nazionale in materia di prevenzione, cura e riabilitazione, nonche' le disposizioni in materia di integrazione socio-sanitaria di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, gli interventi di seguito indicati costituiscono il livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili: [...]; g) interventi per le persone anziane e disabili per favorire la permanenza a domicilio, per l'inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare, nonche' per l'accoglienza e la socializzazione presso strutture residenziali e semiresidenziali per coloro che, in ragione della elevata fragilita' personale o di limitazione dell'autonomia, non siano assistibili a domicilio;".
L'art. 8 della stessa legge, che ben consente una rilettura dello stesso nella chiave della riforma costituzionale prevede: "[...] Funzioni delle regioni: [...] l) definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni, sulla base dei criteri determinati ai sensi dell'art. 18, comma 3, lettera g );". E il richiamato art. 18, comma 3, lett. g) prevede: "Il Piano nazionale indica: [...] g) i criteri generali per la disciplina del concorso al costo dei servizi sociali da parte degli utenti, tenuto conto dei princìpi stabiliti dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109;"; cosi' come esplicito richiamo alle norme del d.lgs. 109 del 1998 e' effettuato altresi' dall'art. 25 della legge 328. E' dunque indubbio che le regioni non possano derogare alle disposizioni di cui al d.lgs. 109 del 1998.

Questo il drammatico quadro che si presenta agli occhi dei cittadini che vogliano far valere i propri diritti. Gli avvocati dell'Aduc e l'Aduc stessa, impegnata da tempo nella battaglia RSA, si sono gia' mossi per contrastare questa legge in tutte le sedi possibili:
- la senatrice Donatella Poretti ha sollecitato, tramite una interrogazione parlamentare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, a rivolgersi alla Corte Costituzionale affinche' decida sulla legittimita' o meno di tale legge (clicca qui;
- nei ricorsi pendenti contro il Comune di Firenze, i legali dell'Aduc hanno chiesto al TAR Toscana, qualora ritenesse tale legge applicabile alla determinazione delle rette, di sollevare questione di legittimita' costituzionale;
- similmente e' accaduto nel ricorso pendente avanti al Consiglio di Stato, con una identica richiesta di sollevare questione di legittimita' costituzionale.

Speriamo di avere a breve delle risposte, sia dal Governo che dal Consiglio di Stato, che si occupera' della questione il prossimo 3 febbraio.
L'ultima parola spetta dunque ai Tribunali.
Qui tutte le informazioni specifiche sulla vicenda: clicca qui


(1) come da combinato disposto degli art. 54 l. 289 del 2002, art. 1 e 3-septies d.lgs. 502 del 1992, D.p.c.m. 29 novembre 2001, allegato 1, lettera H. Si tratta di "prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria [...] caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensita' della componente sanitaria" - art. 3-septies, comma 4, d.lgs. 502 del 1992.
(2) (3) D.p.c.m. 14 febbraio del 2001, richiamato dall'art. 54 della legge 289 del 2002.
 
 
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