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Tassa di Concessione Governativa sui cellulari: anacronismo e incostituzionalità
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Tributi di Cristiana Olivieri *
19 aprile 2013 18:15
 
 L'Agenzia delle Entrate ha proposto appello avverso una recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, che riconosceva, così come molte altre CTP italiane, il rimborso della Tassa di Concessione Governativa (Tcg) sui telefonini cellulari, pagata indebitamente dalla ricorrente.
Tra gli argomenti dell’appello spunta la recente sentenza n. 23052 della Cassazione Civile, dove i giudici hanno disatteso completamente gli obblighi imposti dalla normativa comunitaria.
La Corte ha infatti optato per la sopravvivenza della Tcg, rispetto all'introduzione, con il Codice delle Comunicazioni Elettroniche, dei principi comunitari di in materia di comunicazione, attività completamente libera e priva di vincoli autorizzatori, così come ha più volte ribadito l’Unione Europea (direttive n. 2002/21/CE e 2002/22/CE).
I giudici della Cassazione non hanno, a nostro avviso, riflettuto sull’evidente disparità di trattamento che scaturisce dall’imposizione della Tcg: questa, infatti, è richiesta soltanto ai titolari di contratto di abbonamento con il gestore di telefonia mobile, non invece a chi utilizza il proprio cellulare mediante scheda prepagata. La Suprema Corte, infatti, del tutto illogicamente sembra considerare “stazione radioelettrica”, quindi suscettibile di imposizione della Tcg, soltanto la prima categoria di apparecchi telefonici ai quali accede l'abbonamento dell'utente, e non anche quelli di pertinenza dei secondi utenti. E ciò sebbene si stia parlando della stessa attività: comunicare a mezzo cellulare.
È evidente, dunque, la violazione del principio di uguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3 della Costituzione, in combinato disposto con l’art. 53, secondo cui a situazioni eguali debbano corrispondere eguali regimi impositivi, allineandosi all’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., n. 120 del 1972).
Nel caso di specie, gli abbonati sarebbero decisamente svantaggiati rispetto agli utenti con carta prepagata, sebbene si tratti due categorie di soggetti non soltanto assimilabili, ma del tutto identiche: persone che comunicano col proprio cellulare.
L’imposizione del tributo disattende perciò una declinazione del principio di uguaglianza, ossia il principio di uniformità nel trattamento normativo: per citare la Corte Costituzionale, “il principio della correlazione tra prestazioni tributarie e capacità contributiva impone al legislatore di commisurare il carico tributario in modo uniforme nei confronti dei vari soggetti, allorché sia dato riscontrare per essi una identità delle situazioni di fatto prese in considerazione dalla legge ai fini dell’imposizione del tributo” (Corte Cost. n. 104 del 1985).
E dunque, qual è mai la differenza tra usare un telefonino con un abbonamento o con una carta prepagata? Non si tratta pur sempre di utilizzare il proprio cellulare al fine di comunicare?
Sembrano quindi sussistere tutti i presupposti per sollevare una questione di legittimità costituzionale, in merito all'odioso balzello che sopravvive solo per il tramite di operazioni ermeneutiche che mirano più che altro a far cassa e a non alterare equilibri. Un balzello che abbiamo più o meno solo noi in Europa, ormai illegittimo ed anacronistico.

* consulente legale Aduc

 
 
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