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Atatürk ed Erdogan (Perché gli islamisti tornano improvvisamente a rendere omaggio ad Atatürk?)
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Articolo di Redazione
22 novembre 2017 9:58
 
L’uno, Atatürk, è il primo presidente della Turchia, l’altro (finora) l’ultimo.
Ma con questo si esauriscono le affinità. Il primo fondò una repubblica laica moderna con valori occidentali, il secondo erode da quindici anni questi princípi: democrazia parlamentare, divisione dei poteri, indipendenza della giustizia, libertà di pensiero e di stampa, lui li sospende e mira a concentrare tutto il potere nelle proprie mani.
Dal tempo di Atatürk nessuno dispose, in questa carica, di un potere simile; dalla fondazione della repubblica nessun presidente ebbe gli strumenti per cambiare il sistema da solo. Nessun politico mise mai in discussione la dottrina statale inviolabile della laicità o scese col Corano in campagna elettorale. Nessun capo di governo si permise mai, come ha fatto Erdogan, di definire il duo della fondazione formato da Atatürk e dal suo premier Inönü “due ubriachi”.
Fin dall’inizio fu chiaro che lui e gli ambienti, che rappresenta, non sono ben disposti verso Atatürk e le sue riforme. Il movimento islamista non si è mai rassegnato al fatto che la repubblica, con la cancellazione del sultanato e del califfato, abbia tagliato i legami con gli Ottomani, abbia scalzato la religione dal potere e ne abbia fatto una questione di coscienza. Così, Erdogan, nella sua qualità di presidente del Consiglio dei ministri, per lo più è mancato, con una scusa, alle commemorazioni di Atatürk e alle celebrazioni per la repubblica. Al contrario, sono state alimentate le forze antagoniste. L’educazione laica è stata silurata, quella islamista, invece, favorita. Le relazioni con l’Europa sono state interrotte, i simboli della cultura occidentale, le sculture, le opere, la musica classica sono stati denigrati. Gli attacchi contro Atatürk e le sue statue sono stati intensificati, gli aggressori protetti. I locali dove si servono alcolici sono stati limitati, mentre si sono raccomandati quelli dove si pratica la separazione dei sessi. Di recente è stata pubblicata una legge che, oltre ai funzionari pubblici, autorizza anche i muftì a celebrare i matrimoni. Al contempo, Erdogan ha evitato scientemente di pronunciare il nome Atatürk [padre dei Turchi], che era stato conferito dal parlamento al fondatore della Repubblica.
La scorsa settimana, però, è successo l’inatteso. Il 10 novembre, settantanovesimo anniversario della morte di Atatürk, Erdogan ha detto: “Se il suo nome è Atatürk [padre dei Turchi], niente potrebbe essere più normale che noi lo pronunciamo. Non dobbiamo lasciarlo al monopolio di ambienti marxisti di idee fasciste”. Ma c’è di più; il suo partito, famoso per intralciare la commemorazione della morte di Atatürk, questa volta ha organizzato degli autobus per visitare il mausoleo di Atatürk.
Nella base, che per anni aveva evitato il nome di Atatürk, questa svolta ha provocato un trauma. Una parte dei media lealisti l’ha compiuta frettolosamente, si è mostrata più “papista del papa” e ha lodato Atatürk; gli altri volevano sapere che cosa fosse successo così all’improvviso. La risposta è venuta dal più grande partito di opposizione, quello fondato da Atatürk: “La simpatia di Erdogan non viene dal cuore, dipende dai sondaggi …”. E questi, in effetti, fanno capire che Erdogan non ha alcuna prospettiva di raggiungere il 51 percento necessario nelle elezioni presidenziali del 2019. Non gli resta altro che conquistare i cuori di quei milioni che onorano sempre Atatürk. Dietro alla svolta c’è, quindi, il pragmatismo. Il successo di questa tattica è estremamente incerto. Ma è il segno di grande significato simbolico della forza incrollabile di Atatürk e della laicità.

(articolo di Can Dündar pubblicato su Die Zeit, numero 47/2017 del 15 novembre 2017)
 
 
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