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Cambiamento climatico. Commutare con l’elettrico non ci salva. AIE
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Articolo di Redazione
13 novembre 2018 17:35
 
 La commutazione verso l’elettrico ci salverà dal cambiamento climatico? Moltiplicazione dei veicoli elettrici e maggiore digitalizzazione del mondo sono spesso considerati come mezzi per limitare l’impatto delle energie fossili e tentare di mettere il mondo in linea con l’accordo di Parigi.
La realtà è più contrastata, stima un rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) reso pubblico oggi 13 novembre. Il World Energy Outlook, la pubblicazione dell’istituzione con base a Parigi, analizza le conseguenze di una rapida elettrificazione degli usi legati alla produzione e al consumo di energia.
Secondo le proiezioni dell’Agenzia, gli investimenti a favore della mobilità elettrica e del riscaldamento elettrico potrebbero portare ad un aumento tra il 60 e il 90% della domanda mondiale di elettricità - l’equivalente di due Stati Uniti in termini di consumo di elettricità. “L’elettrificazione porta dei benefici, essenzialmente riducendo l’inquinamento a livello locale, ma richiede delle misure supplementari per decarbonizzare la produzione di elettricità sì da raggiungere gli obiettivi climatici”, dice l’AIE nel suo rapporto.
Accelerazione
In altre parole: commutare verso l’elettrico non serve per niente alla lotta per preservare il clima se la corrente proviene sempre da centrali a carbone o a gas, forti emettitrici di CO2.
Per suo conto, l’AIE si mostra rassicurante: le energie rinnovabili dovrebbero continuare ad essere sempre meno care e svilupparsi molto rapidamente. “Ci sono due direzioni parallele: le nostre vite sono sempre più elettriche e le energie rinnovabili occupano un posto sempre più importante nella produzione a livello mondiale”, spiega Laura Cozzi, co-autrice del rapporto dell’AIE. Quello che appare a prima vista è una buona notizia: più il solare e l’eolico si sviluppano nel mondo, più queste nuove capacità di produzione possono rimpiazzare le energie fossili.
Ma questa accelerazione pone una questione maggiore al sistema elettrico di domani: come accogliere sempre più energia intermittente nel sistema? Alcuni Paesi, come Germania o Regno Unito, integrano già tra il 15 e il 25% di energie rinnovabili intermittenti nel loro mix elettrico. Ma, secondo l’AIE, questa proporzione è in aumento massiccio in tutti i Paesi del mondo. E per questo: la bassa spettacolarità dei costi, essenzialmente pannelli solari, farà esplodere il settore nei prossimi trenta anni, prevedel’Agenzia.
Le reti elettriche devono imparare a vivere con una maggiore flessibilità, in funzione del vento e del sole. E i Paesi devono assicurare capacità di stoccaggio di elettricità o di produzione mobile in funzione dei bisogni – più spesso di gas e carbone.
Ancora più difficile, l’AIE segnala che per rispettare l’accordo di Parigi, non bisognerebbe costruire nessuna centrale a carbone oltre quelle esistenti o già in costruzione. “Ci sono due opzioni – spiega Laura Cozzi -: tutte le nuove infrastrutture di produzione di elettricità non emettono più CO2, oppure che si divenga capaci di utilizzare le infrastrutture attuali emettendo molto meno”. Ma molte centrali a carbone in Asia hanno meno di 15 anni e sono ben lungi dall’essere fermate.
Il rapporto evidenzia anche che il nucleare, che non emette CO2 e rappresenta il 10% della produzione elettrica mondiale, si trova ad una svolta della sua storia. “Molte centrali in Europa e Usa stanno per arrivare ai 40 anni di vita, e le decisioni di continuare o fermare dei reattori potrebbero avere un impatto importante, sia sulla sicurezza di approvvigionamento che sulle emissioni di gas a effetto serra”, dice Laura Cozzi.
L’AiE valuta ugualmente che più del 70% di investimenti nel settore dell’energia da realizzare antro il 2040 – stimati in più di 2.000 miliardi di dollari (1.780 miliardi di euro) – saranno a carico degli Stati. “I governi sono la chiave di riuscita della transizione energetica”, conclude Tim Gould, coautore del rapporto.

(articolo di Nabil Wakim, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 13/11/2018)
 
 
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