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Carne in provetta. Prima di parlare di lobby, facciamo due conti
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Articolo di Redazione
3 gennaio 2022 12:52
 
Esiste una nuova lobby, quella del cibo in provetta! A ipotizzarlo non sono io ma Gilles Luneau, giornalista e scrittore francese, editore di GLOBAL Magazine e autore del recente libro “Carne artificiale? No, grazie”. Sebbene non abbia ancora letto il libro dal titolo così accattivante, non vi nascondo che sono rimasto molto colpito da alcune dichiarazioni riportate nell’articolo ben scritto da Valentina Di Paola. Leggendo l’articolo emerge il messaggio che chi sostiene lo sviluppo di carne artificiale (non prodotta dalle carcasse di animali) espone il mondo ad un pericolo solo per arricchirsi.
Premesso che gli alimenti sono sul mercato e chi produce carne in modo tradizionale non lo fa gratis, come dimostrano i guadagni delle 10 maggiori aziende del settore della carne che hanno la loro sede centrale in Brasile, USA, Cina, Giappone e Unione Europea (), non capisco come mai ogni volta che qualcuno cerca di cambiare un paradigma per affrontare un problema di grande impatto sociale debba necessariamente farlo per arricchire gli interessi di una lobby o loggia. Mi spiego meglio.
La ricerca di fonti alternative e sostenibili di proteine nobili commestibili è un’esigenza planetaria che da ormai troppi anni interroga le coscienze di chi governa i Paesi di un mondo sempre più globalizzato, interconnesso, dedito ai consumi e affamato.  Senza dimenticare che la maggior parte dei 7,7 miliardi di consumatori del pianeta (che diventeranno 9 miliardi nel 2050)  è sempre più consapevole del rapporto tra cibo e salute.
A questo punto come convincerli a rinunciare alla carne per un piatto di locuste? Quanto la carne piaccia ai terrestri lo dimostra il dato che gli acquisti al dettaglio durante la pandemia in Italia, un Paese agli ultimi posti in Europa per consumo pro-capite di carne, sono aumentati del 15% per la carne suina, l’11% in più per il pollame ed il 6,4% in più per la carne bovina.
È inutile nascondersi dietro un dito! Le proprietà salutistiche di quel mix bilanciato di proteine contenenti amminoacidi essenziali, di acidi grassi nobili (omega 3 e 6), di vitamine D e B12, che volgarmente chiamiamo bistecca, sono difficilmente vicariabili con altro cibo senza rinunciare a qualcosa.
Un buon piatto di pasta e ceci neri ci fornisce gli amminoacidi necessari e il ferro, ma va associato ad altri alimenti ricchi di vitamina B12 (come il caviale), vitamina D (come le uova o il salmone o l’esposizione regolare al sole) e omega 3 (come i semi di lino).
È ormai innegabile che il benessere di una porzione carnea giornaliera di poco più di 70 grammi dipenda dalla coesistenza  di tutti questi elementi.  Purtroppo, questo tesoretto nutrizionale di origine naturale è appesantito dalla presenza di L-carnitina, una trimetilamina abbondante in carni rosse, che viene metabolizzata dai nostri batteri intestinali in composti che una volta ossidati dal fegato (le TMAO) diventano  tossici per le nostre arterie e il nostro cuore.
E’ un miracolo della scienza che la carne di qualsiasi specie animale generata in laboratorio grazie al differenziamento in muscolo di cellule staminali, prelevate da qualsiasi animale vivente, non contenga la L-carnitina! Ne parlai già nel 2017, quando elencai i vantaggi basati sull’evidenza della carne sintetica tra cui quelli legati alla sicurezza biologica dell’alimento.
Il rischio di contaminazioni da parte di batteri intestinali, come E. coli, Salmonella o Campylobacter, e di prioni da mucca pazza è eliminato del tutto se la stalla è un incubatore di cellule.  Un altro aspetto positivo legato alla sicurezza della carne coltivata è che non è prodotta da animali allevati in uno spazio confinato, per cui il rischio di un'epidemia è eliminato e non c'è bisogno di costose vaccinazioni contro malattie come l'influenza.
Inoltre, la resistenza agli antibiotici, uno dei maggiori problemi del bestiame e della sua trasmissione all’uomo, verrebbe meno. Certo, la carne “sintetica” non è ancora disponibile su larga scala e quindi non sappiamo se piacerà a tutti e sarà nutriente come la carne naturale. Sappiamo però che potrà essere arricchita con tutti gli oligoelementi tipici della carne e potremmo anche incrementare in modo pulito la quota di omega 3, una tecnica già in atto negli allevamenti di bestiame.
Ma il vantaggio più grande della carne “allevata” in laboratorio è la sua accessibilità, determinata anche da questioni di prezzi che saranno sempre più competitivi in futuro.
Oggi, invece, in un supermercato italiano un Unconventional Burger, com’è definita la carne sintetica, può costare fino a 21 euro al kg, ancora troppo caro. E’ probabile che il prezzo scenda quando i costi della ricerca non impediranno di abbattere quelli di vendita e di aumentare il mercato su larga scala grazie alla concorrenza. Ognuno potrà dire la sua in futuro ma oggi grazie alla ricerca scientifica abbiamo la possibilità di saziare le richieste  di paesi che consumano tanta carne, come gli Stati Uniti e il Brasile, e quelle di altri paesi più sovrappopolati che non vorrebbero essere da meno, come Cina e India.
Al momento non si vede all’orizzonte una credibile alternativa alla carne sintetica. In questi decenni, infatti, abbiamo sperimentato di tutto per rispondere all’aumento della domanda di carne. Dal disboscamento per aumentare le superfici coltivabili e pascolabili (una scelta che ha favorito il surriscaldamento globale) fino agli allevamenti intensivi (che non sempre rispettano criteri di qualità, sicurezza e sostenibilità ambientale).
Da questi fallimenti nasce l’intuizione di gruppi di scienziati che, sin dal 2002, prevedeva l’uso delle biotecnologie per generare alimenti piuttosto che organi da trapiantare. E se questa idea ha attratto gli interessi di grandi investitori, come Bill Gates e Richard Brandson, oltre che di enti di ricerca come la NASA, non è un buon motivo per ritenerla inutile, dannosa e lobbistica.
Una ricerca senza finanziamenti non esiste. Fino a prova contraria,  la ricerca eticamente sostenibile deve andare avanti, come quella di creare anche una carne di origine vegetale che soddisfi la domanda di sicurezza, qualità, gusto e consistenza senza distruggere la biodiversità del pianeta.  Perché si realizzi tutto questo non è necessario essere in odore di lobby, come quella del cibo in provetta, né destare preoccupazioni da complotto.
Come ogni buona ricerca che si rispetti anche questa ha avuto il suo trasferimento industriale, come dimostrano le numerose aziende che si contano nel 2020, di cui 90 dedicate alla carne in vitro. Un mercato in netta crescita senza ombra di dubbio. Un dato, però, che impallidisce davanti a una produzione mondiale annua di 334 milioni di tonnellate di carne tradizionale solo nel 2021 per soddisfare un mercato globale che vale 1,4 trilioni di dollari e che dicono generi l’emissione di 7,1 gigatonnellate di CO2 equivalente all'anno solo per l’intera produzione mondiale di bestiame. Altro che lobby!

(Vincenzo Lionetti, Fondatore e Direttore del Laboratorio di Medicina Critica Traslazionale (TrancriLab) della Scuola Superiore Sant'Anna, su agenzia AGI del 30/12/2021)
 
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