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Educazione. I figli possiamo anche semplicemente goderceli
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Articolo di Redazione
22 febbraio 2011 19:54
 
Il danese Jesper Juul, terapeuta della famiglia, esorta i genitori ad educare con più rilassatezza e a stabilire con i figli dei rapporti alla pari.

Il terapeuta chiede all'ospite di seguirlo nella camera d'albergo -l'unico luogo in cui l'indomito soccorritore di genitori disperati possa fumare in pace. Il sessantaduenne Jesper Juul si trova in Germania per presentare il suo ultimo libro, in cui documenta i colloqui con le famiglie che non sanno più come comportarsi da educatori. Sono anni che genitori, pedadoghi e giornalisti si accalcano attorno a quest'uomo che -sebbene non sappia dominare il vizio del fumo- appare come uno scoglio in mezzo ai marosi. Con calma olimpica, il "Papa della rilassatezza" spiega il mondo dei bambini di oggi e dice come assicurare loro una buona posizione nel mondo.

Sdz: Instancabile il suo richiamo alla rilassatezza nel concitato dibattito sull'educazione. Ma non trova che a volte i bambini facciano terribilmente innervosire?
Juul: Certo. Non v'è dubbio. Quando si hanno dei figli viene a mancare l'attenzione verso se stessi. E credo che sia proprio questo a essere faticoso. Ma ci sono tanti genitori che si rendono la vita anche più dura del necessario.
Sdz: Qual'è la giusta misura?
Juul: Se gli adulti non hanno abbastanza tempo per sé, e i genitori non abbastanza per la coppia, è perché dedicano troppa attenzione ai figli. E in questo modo non fanno loro un favore. Nessun bambino vuole essere oggetto d'attenzione. Gli serve un rapporto, vuole partecipare alla vita dei genitori. Soprattutto i bambini che frequentano l'asilo nido e la scuola materna hanno assolutamente bisogno di passare un po' di tempo con gli adulti che fanno vita da adulti. Nella scuola materna i bambini imparano a essere bambini. Cantano, danzano. Ma non imparano nulla sugli adulti. E ne vediamo le conseguenze. Molti adolescenti non hanno competenze di vita. Diventano depressi perché non sanno come gestire le delusioni.
Sdz: Ma queste cose non le imparano già al nido? Lì c'è abbondanza di delusioni, frustrazione, competizione.
Juul: Imparano a essere frustrati. Ma non a come si rimedia. Per questo ci vogliono i genitori. Esattamente come per lo stress. Anche in quel caso devono imparare a conviverci. I bambini oggi hanno una vita stressante. Entro i 15 anni trascorrono 25.000 ore in strutture pedagogiche. E' lavoro.
Sdz: Perché è impegnativo?
Juul: Perché stanno insieme bambini e adulti che non si sono potuti scegliere. E perché ci sono tanti stimoli. I bambini ne diventano dipendenti. Cominciano a piagnucolare appena li si va a riprendere: "E ora che si fa?" E' importante che i genitori qualche volta dicano: "Ora devi giocare da solo. Voglio cucinare e avere mezz'ora per me". In questo modo imparano come si vive da adulti. I bambini possono sopportare molto più stress di noi, molto di più...
Sdz: ...è proprio l'impressione che hanno le giovani mamme ogni giorno...
Juul (ride): Ma devono anche imparare come se ne esce. Si può dire al figlio: "Oggi sono molto stressata. Mi puoi aiutare?" Poi si prende la mano del bambino, la si poggia sulla pancia, si respira e basta per un paio di minuti. Più tardi si può fare l'inverso. "Vuoi la mia mano?", e così il bambino ha imparato qualcosa d'importante.
Sdz: Per i genitori educare è spesso uno stress.
Juul: Non sono stressati dall'educazione, ma dal peso di dover riuscire. "Da tre giorni il bambino non s'addormenta. Sono una cattiva madre?" A impegnare è l'obbligo di educare, mentre potrei benissimo decidere che nelle prossime tre settimane voglio soltanto godermi i miei figli. Così imparerei che dipende dal mio atteggiamento. Ciò di cui i bambini hanno davvero bisogno è di poter essere vicini e che i genitori siano contenti della loro esistenza.
Sdz: Chi intende educare ha comunque l'impressione che quel che entra da un orecchio esca dall'altro.
Juul: La maggior parte di quanto intendiamo per educazione, in realtà non educa. Il comportamento dei nostri figli a vent'anni non dipende dall'educazione, ma dalla convivenza in famiglia. Siamo modelli, buoni e cattivi, 24 ore al giorno.
Sdz: Preferiremmo essere dei buoni modelli.
Juul: E' un'idea romantica, ma impossibile. Siamo semplicemente dei modelli. Punto. Non c'è giusto o sbagliato. I figli non hanno problemi con gli sbagli, fintanto che ce ne assumiamo la reponsabilità e ammettiamo il nostro disagio e i nostri limiti. Se i genitori però non lo fanno, loro si sentono colpevoli.
Quanto di buono facciamo oggi, lo abbiamo per lo più imparato dai modelli sbagliati, di cui diciamo: "Così non voglio fare".
Sdz: Lei dice che all'inizio era un padre tremendo? Perché?
Juul: Ero sempre frustrato. Per esempio non sapevo come si gioca con i bambini, perciò mi sentivo a disagio. Ma, tramite la formazione da terapeuta famigliare ho appreso che era possibile imparare da mio figlio. Gli ho semplicemente chiesto: "Non so come funziona. Me lo puoi mostrare?" E lui era contento.
Sdz: Era contento sì; ai bambini piace tanto comandare.
Juul: Ed è importante. E' così che stabiliamo un dialogo con loro. Ciò che è decisivo nel rapporto con mio figlio non è se faccio bene o male. Bensì se ho imparato a essere padre insieme a lui. E' questo processo d'apprendimento comune che genera buone relazioni. Se io sono il maestro e lui l'allievo, non abbiamo un rapporto, ma interpretiamo due ruoli. Ciò non significa che l'autorità spetti ai figli. Significa solo: prendi sul serio l'effetto retroattivo di tuo figlio!
Sdz: Quale retroazione intende? "Non voglio andare a letto"...?
Juul: Anche. Se per settimane non sono riuscito a mandare a letto mio figlio, posso chiedergli, anche se ancora non sa parlare: "Senti un po', tutte le sere lottiamo per ore. Non mi va di essere un padre così. Però non so cosa fare". Si può anche piangere un pochino. Un dialogo come questo è quanto mai costruttivo.
Sdz: Crea contatto anziché distanza.
Juul: Sì, e spesso il bambino si gira dall'altra parte e s'addormenta. Una volta l'avremmo punito. Ma proviamo a immaginare un uomo che ascolti musica a tutto volume, arriva sua moglie e inveisce: "Quante volte t'ho detto che non sopporto la musica così forte? Per punizione stasera non potrai vedere il programma di sport".
Sdz: Vorrebbe dirci che i rapporti tra adulti sono uguali a quelli tra genitori e figli?
Juul: No, i figli hanno bisogno di una guida. Hanno pari dignità, ma non pari diritti. Hanno bisogno di genitori che sappiano più o meno quel che vogliono. Non è importante cosa vogliono, purché i confini non scaturiscano da convenzioni, ma siano personali. Va benissmo dire: "Non mi va di leggerti una storia, voglio leggere il giornale". Oppure: "Ho avuto una lunga intervista con quel danese, ora sono stanca". Non è che possiamo essere sempre felici. Dobbiamo solo essere sinceri l'un con l'altro.
Sdz: E cosa pensa del premio al posto della punizione?
Juul: La ricompensa è la versione postmoderna della punizione. Provi a immaginarsi una donna che premi suo marito ogni volta che fa qualcosa di buono. Non sarebbe un rapporto intimo, ma tra un capo e il suo subalterno.
Sdz: La "madre-tigre" cinese Amy Chua, che promuove la coercizione quale metodo educativo, è molto sincera con le sue figlie: dice chiaramente ciò che s'aspetta da loro.
Juul: E' una cosa che può andar bene per un certo tempo -fintanto che i figli corrispondono. E all'inzio lo fanno. I bambini cooperano. Sempre. Non desiderano altro che far contenti i genitori. Ma se ai figli della madre-tigre tocca un destino avverso non sapranno più come agire, e potrebbero crollare.
Vorremmo che i nostri figli diventassero degli adulti mentalmente e psico-sociologicamente sani.
Sdz: Ma parlare è utile?
Juul: Sì, parlare ed essere genuini. Se si vuole prevenire la dipendenza dalle droghe o dai media, bisogna stabilire un rapporto nei primi dieci anni di vita. A dodici è tardi. Se mio figlio in pubertà assume droghe o vede troppa tv non sarò io a poter decidere su queste cose. Ma se abbiamo un legame, il rispetto reciproco e un linguaggio comune, possiamo parlare delle mie preoccupazioni e della mia contrarietà.
Sdz: Con un treenne cocciuto parlare è ben difficile a volte.
Juul: Nella fase dell'autonomia i bambini inziano a costruire la fiducia in se stessi. Se dicono sempre di no, significa solo: "Io sono autonomo". Non è meraviglioso? Se la si prende da questo lato, non capita nulla. Ma se la si butta sul personale, la cosa diventa ardua. A quel punto inizia la lotta.
Sdz: Ma a volte i genitori devono pure ottenere qualcosa, per esempio arrivare puntuali al lavoro.
Juul: Ai bambini la cosa non va sempre giù, e per i genitori è sicuramente frustrante. Però lo stesso accade tra adulti. Non conosco nessun uomo che non sappia cosa sia aspettare sua moglie per quei dannati 20 minuti. Se si è sufficientemente frustrati, si può dire: "Senti un po', non lo sopporto".
Sdz: Serve davvero?
Juul: Mio fratello è un buon esempio. Quando è nato il suo secondo figlio, il maggiore era terribilmente geloso. Allora mio fratello ha letto i miei libri. All'inizio diceva: "Quello che consigli non funziona". Però alla fine ha funzionato. E' scoppiato in lacrime. Ed era autentico quando ha detto: "E' una cosa che rattrista tanto papà". Da quel giorno il figlio maggiore non ha più picchiato il fratellino. Essere autentici è la soluzione.
Sdz: Se dunque voglio che mio figlio si vesta, gli devo dire: "Hai cinque minuti, poi usciamo". E dovrei pensarlo davvero?
Juul: Sì, esattamente. E quei cinque minuti glieli deve concedere senza più intervenire. Se i bambini non hanno la possibilità di dire di no, non è che dicano di sì. Al massimo diranno sissignore. Sapendo che: "In questo modo non sono nulla; in questo modo sono solo un soldato". E' terribilmente importante che i genitori parlino di sé: "Non sono riuscito a convincerti a vestirti di tua volontà".
Sdz: E che cosa non si dovrebbe dire?
Juul: "Sei impossibile" o frasi simili. E' umiliante. I bambini sono vulnerabili, scoperti. Perché noi adulti abbiamo paura? Perché i nostri genitori ci hanno sempre ferito in quel modo.
Sdz: Si può piangere, gridare, infuriarsi?
Juul: Sì, tutto. Tranne che ferire o offendere il bambino. I neoromantici pensano che i loro sentimenti nuocciano al bambino. Invece è l'assenza di sentimenti a danneggiarlo.

(Intervista curata da Christina Berndt per la Sueddeutsche Zeitung del 21-02-2011. Traduzione di Rosa a Marca)

 
 
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