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Le emissioni di Co2 minacciano la nostra alimentazione
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Articolo di Redazione
28 agosto 2018 11:30
 
 La Co2 o il doppio della pena. Si sapeva già che l’aumento della quantità di gas a effetto serra nell’atmosfera -e in modo particolare di anidride carbonica- minacciava la sicurezza alimentare del Pianeta e provocava siccità più frequenti, più dure e più lunghe, precipitazioni torrenziali più intense, un aumento del livello del mare nelle zone litorali, e una recrudescenza dei parsssiti e degli agenti patogeni. Ora, questo aumento rischia anche di ridurre la qualità del cibo di diverse centinaia di milioni di persone nel mondo.
Questo è l’allerta lanciato da uno studio condotto da due ricercatori americani dell’Università di Harvard, pubblicato il 27 agosto nella rivista “Nature Climate Change”. I suoi autori concludono che, nei prossimi decenni, l’aumento della concentrazione atmosferica di Co2 potrebbe portare all’impoverimento di un gran numero di coltivazioni di base di proteine, in ferro e zinco, con effetti deleteri sulla salute umana.
“L’impatto di un livello elevato di Co2 dell’atmosfera sulla qualità nutrizionale delle coltivazioni, è stato messo in evidenza da più di venti anni, nell’ambito di studi di laboratorio o in seguito alle osservazioni in serra, in seguito attraverso numerosi studi a pieno campo, indica Alain Gojon, direttore del laboratorio di bio-chimica e fisiologia molecolare delle piante (CNRS-INRA-SupAgro, Università di Montpellier), che non ha partecipato a questo studio. Esiste oggi un grande consenso scientifico, confortato da decine di pubblicazioni e da migliaia di dati, sul fatto che questo impatto è massiccio e globale: esso tocca la maggior parte delle specie vegetali, in tutto il mondo”.
Questi esperimenti, che consistono nell’iniettare del Co2 nelle piantagioni all’aria parte per mantenerle in una sorta di bolla arricchita di gas carbonico, hanno mostrato, precisa il ricercatore, “una riduzione dal 10 al 20% del tenore di proteine, un calo di minore importanze dei tassi di minerali come ferro, zinco, magnesio o calcio, ma anche, più di recente, una diminuzione dal 20 al 40% per le vitamine”.
Rischio di carenze nutrizionali
Gli autori della nuova pubblicazione hanno preso come punto di partenza una concentrazione di Co2 di 550 parti per milione (ppm), unità di misura che indica il numero di molecole di anidride carbonica per un milione di molecole dell’atmosfera. La cifra non ha niente di virtuale. La concentrazione atmosferica di Co2, che ha raggiunto nel 2016 il livello record di 450 ppm, dovrebbe in effetti salire a 550 ppm tra il 2050 e il 2100, in funzione degli scenari di emissioni mondiali di gas ad effetto serra. Solo un calo drastico delle emissioni antropiche (prodotte dall’uomo) permetterebbe di restare al di sotto di questa soglia.
Alcuni lavori precedenti hanno mostrato che, a livello di concentrazione di Co2, la quantità di proteine, di ferro e di zinco è globalmente calata dal 3 al 17% per molti prodotti vegetali. I ricercatori hanno fatto, quindi, funzionare un modello per calcolare, a partire dalle risorse alimentari disponibili per abitante, così come delle proiezioni di crescita demografica (cioè una popolazione mondiale di 9,7 miliardi nel 2050), il numero supplementare di persone esposte, a metà del secolo, ad un rischio di carenze nutrizionali. Questo per 151 Paesi e 225 specie vegetali, fatto che dona al loro lavoro una portata molto più vasta di quelli precedenti.
Ed è venuto fuori che ai 660 milioni di perone che soffrono attualmente di insufficienze di proteine, se ne aggiungeranno 122 milioni. L’1,5 miliardi di individui già carenti di zinco, crescerà di 175 milioni. E per gli 1,4 miliardi di bambini con meno di 5 anni e di donne in età procreativa che vivono nelle regioni dove il tasso di anemia è già superiore al 20%, la perdita di apporto in ferro sarà di oltre il 4%.
I più poveri sono i più vulnerabili
Come sempre, i problemi si distribuiranno in modo diseguale. I Paesi più colpiti saranno quelli dell’Asia del sud e del sud-est -a cominciare dall’India-, dell’Africa e del Medio oriente. Niente di eclatante per quelle aree geografiche dove i poveri sono le parti più vulnerabili, nella misura in cui l’essenziale del loro apporto in proteine è di origine vegetale. L’America del Nord o l’Europa, con consumi di carne maggiori, si trovano, di fatto, meno esposti.
Il rischio è a grande scala, poiché un gran numero di alimenti avranno meno valore nutritivo, sia che si tratti di cereali come il riso -base dell’alimentazione della metà dell’umanità- il grano o l’orzo, o dei legumi come le lenticchie, piselli o fagioli. Al contrario, altre piante che usano un tipo di fitosintesi differente, tra cui il mais, il miglio e il sorgo, non avranno reazioni, o saranno limitate, con la crescita della concentrazione di Co2.
I prodotti vegetali forniscono oggi il 63% delle proteine consumate sul Pianeta, così come l’81% di ferro e il 68% di zinco, il pericolo è quello di una estensione della malnutrizione, creando problemi alla crescita, al metabolismo, al sistema immunitario o allo sviluppo cognitivo. E questo nel momento in cui più di 2 miliardi di umani hanno già carenze nutritive.
Senza dubbio questi risultati sono solo dei modelli. Gli autori precisano che loro fanno l’ipotesi di regimi alimentari che non cambiano, senza prendere in considerazione le mutazioni socio-economiche che si verificano nei Paesi interessati, né le conseguenze più globali del riscaldamento sulle risorse alimentari. Il loro studio non fa altro che un richiamo “ad una sorveglianza attiva dei bisogni nutrizionali delle popolazioni” nei Paesi più a rischio.
“Anche i Paesi sviluppati ne sono coinvolti”
“Il grande interesse di questo lavoro è di dare l’allarme su un fenomeno la cui ampiezza non era stata anticipata -dice Alain Gojon-. I Paesi sviluppati, ne sono anch’essi coinvolti. Da una parte perché la diminuzione del tenore di proteine e minerali dei prodotti vegetali si manifesta con una crescita del loro contenuti in zuccheri, e questo potrebbe provocare degli squilibri alimentari. Dall’altra parte perché alcune regioni già deficitarie in proteine vegetali per l’alimentazione animale, come l’Europa, lo saranno ancora di più”.
Rimane il fatto che i meccanismi per i quali un alto livello di Co2 atmosferico degradi la qualità nutrizionale delle piante, rimangono misteriosi. “Esistono due filoni di ipotesi, dice l’agronomo francese. Sia il tasso elevato di Co2 che altera la fisiologia generale dei prodotti vegetali, che diventano meno in grado di prelevare dal suolo l’azoto necessario alla fabbricazione di proteine e i diversi minerali; sia la riduzione di disponibilità di questi elemento ne suoli, che può essere motivo di una accresciuta competizione tra le piante e i micro-organismi”.
Il laboratorio che dirige sta per lanciare, questo autunno, un programma collaborativo di ricerca, finanziato dal progetto “Montpellier université d’excellence”, per cercare di capire come la Co2, causa della deregolamentazione climatica, può anche essere fautrice di carenze alimentari.

(articolo di Pierre Le Hir, pubbicato sul quotidiano Le Monde del 27/08/2018)
 
 
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