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Essere omosessuali in Turchia
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Articolo di Redazione
2 dicembre 2017 11:47
 
 (Perché la politica statale ha paura di un festival cinematografico?)
Il governatorato della provincia di Ankara ha vietato di recente le giornate cinematografiche LGBTI, che erano state organizzate dall’ambasciata tedesca. La motivazione del divieto desta l’impressione che non si trattasse di presentare dei film, bensì di dare inizio a un colpo di stato:
“(La manifestazione) potrebbe aizzare una parte della popolazione all’odio e alla ostilità contro un’altra; potrebbe sorgere un pericolo immediato per la sicurezza pubblica, a causa della sensibilità sociale contro i gruppi partecipanti, alcuni ambienti potrebbero protestare contro le proiezioni, si potrebbe arrivare a delle provocazioni …”.
Dopo la decisione del governatorato il ministro tedesco competente per gli Affari Europei, Michael Roth, ha protestato con le seguenti parole: “La libertà dell’arte e i diritti delle minoranze sono inviolabili”. Il movimento LGBTI ha dichiarato che la battaglia prosegue. In seguito a ciò le autorità hanno messo in atto un divieto a tempo indeterminato per ogni manifestazione LGBTI programmata in città.
Al vertice delle persone interessate dall’ondata conservatrice, che negli ultimi tempi mette sotto pressione la società, ci sono gli omosessuali. Uno sguardo alla storia rivela un legame interessante tra diritti degli omosessuali ed europeizzazione. Stando agli storici, nell’impero ottomano le relazioni omosessuali venivano considerate “normali”. Solo con l’introduzione dell’occidentalizzazione furono considerate “anormali”. Solo negli anni Novanta [del XX secolo], a seguito degli sforzi per l’integrazione nella UE, fu reso possibile il riconoscimento dei diritti degli omosessuali. Le prime organizzazioni tra omosessuali risalgono al 1993 (“Lambda a Istanbul) e 1994 (“Kaos GL”ad Ankara). Nel 2003 si é svolta per la prima volta una marcia del Gay Pride a Istanbul, con trenta partecipanti. Fino al 2011 il numero dei partecipanti é cresciuto fino a toccare le diecimila unità.
Nel 2015 il movimento LGBTI ha potuto organizzarsi all’interno dello HPD [Partito Democratico dei Popoli] e da lì condurre la sua lotta per i diritti degli omosessuali. Il partito ha scritto nel proprio programma che si impegna per il “matrimonio gay”, e ha proposto candidati transessuali e omosessuali.
Ma il regime si é sentito disturbato dalla visibilità del movimento. Ancora nel 2010 la ministra per la famiglia ha dichiarato che l’omosessualità è una “malattia” che deve essere curata. Negli ultimi due anni la marcia del Gay Pride è stata impedita con la violenza dalla polizia. Con “l’accusa” di omosessualità rivolta agli oppositori, l’omofobia è diventata in certo qual modo politica dello stato. Una politica statale che teme persino la proiezione di film LGBTI!

(articolo di Can Dündar, pubblicato su “Die Zeit” 48/2017 del 22 novembre 2017)
 
 
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