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L’evoluzione della consulenza finanziaria in Italia: il consulente-analista (4/6)
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Articolo di Alessandro Pedone
29 gennaio 2019 15:20
 
In questo quarto articolo di una serie di 6 articoli sull’evoluzione in Italia della figura del consulente finanziario, affronteremo il secondo archetipo di consulente: l’analista. Nel precedente articolo abbiamo analizzato la figura largamente più diffusa di consulente finanziario, il venditore.
 
Agli inizi di questo secolo, in particolare dopo lo scoppio della bolla tecnologica ed una serie di scandali finanziari che sono stati riassunti sotto l’etichetta di “risparmio tradito” uno spaurito gruppo di persone – fra le quali il sottoscritto – hanno voluto avviare l’attività di consulenza finanziaria in modo totalmente svincolato dall’industria del risparmio gestito, dalle banche e dalle reti di vendita finanziaria. Per i primi anni la consulenza finanziaria è stata un’attività libera, come qualsiasi forma di consulenza non regolamentata. Nel 2007 è stata regolamentata ed è stato previsto uno specifico albo per i consulenti finanziari indipendenti. Quest’albo non ha mai visto la luce. Nelle more della sua costituzione potevano continuare ad operare solo i soggetti che già lo facevano prima del 2007. Tutti coloro che volevano iniziare questa professione non potevano farlo fino al 3 dicembre dell’anno scorso, dopo oltre 10 anni, quando ha preso avvio l’Organismo di vigilanza sui Consulenti Finanziari che ha assunto le funzioni dell’albo previsto nel 2007 e mai realizzato.
Quando il consulente finanziario abbandona le logiche di vendita, in genere inizia ad abbracciare le logiche dell’analisi finanziaria, l’archetipo logicamente seguente, quindi, è quello del consulente-analista, proviamo a conoscerlo in modo più dettagliato.

Le credenze ispiratrici dell’analista
In sostanza, le credenze ispiratrici del venditore e dell’analista sono simili.
Sia il venditore che l’analista sono convinti che lo scopo finale della loro attività sia fondamentalmente quella di produrre altri soldi dai soldi. A cosa debbano servire, poi, questi eventuali nuovi soldi prodotti non è tema di cui ci si debba occupare, se non in modo un po’ accidentale.
L’oggetto del rapporto fra consulente-analista e cliente è sostanzialmente identico a quello che instaura il consulente-venditore: quanto fai rendere i miei soldi?
Questi concetti restano ancora fortemente radicati anche fra i consulenti finanziari indipendenti (giuridicamente vengono chiamati autonomi, poiché la parola “indipendenti” dava molto fastidio all’associazione dei consulenti collegati alle reti di vendita ed ha saputo manovrare molto bene a livello parlamentare per farla fuori).
Molti consulenti indipendenti restano convinti che i clienti vogliono e guardano è il rendimento. Che l’unico scopo del loro lavoro sia generare altro denaro dal denaro.
Rispetto al venditore, l’analista ha fatto un piccolo salto di consapevolezza.
Il consulente-analista ha ben capito che la “favola del bravo gestore” (il quale “con i potenti mezzi e conoscenze” riuscirebbe a far rendere gli investimenti di più della media del mercato) è – appunto – una favola. Non perché i gestori non abbiano grandi mezzi e conoscenze, ma perché applicano costi talmente elevati che ai clienti rimangono le briciole.
In questa credenza, c’è molto di vero, naturalmente, ma rimane la convinzione di fondo che applicando delle conoscenze e delle tecniche, si possa estrarre con una buona continuità più soldi della media del mercato.
Il consulente analista, quindi, inizia a studiare tecniche di analisi dei mercati finanziari per poter consigliare direttamente il cliente su cosa comprare e cosa vendere. Una delle sue funzioni centrali, quindi, diventa far risparmiare il più possibile costi e commissioni ai propri clienti.

Forma giuridica e retribuzione
Come abbiamo già scritto precedentemente, in Italia, ad oggi, la grande maggioranza dei consulenti finanziari sono, giuridicamente, agenti collegati alle banche o alle reti di distribuzione dei prodotti finanziari. Questi agenti collegati, anche nel caso in cui le raccomandazioni di acquisto/vendita degli strumenti finanziari sia formulata direttamente da consulente (e non dagli appositi uffici dell’intermediario a cui è collegato) non assumono direttamente la responsabilità di erogare il servizio. Il contratto di consulenza non viene mai stipulato fra il consulente ed il cliente, ma fra l’intermediario che paga il consulente ed il cliente che questi ha procacciato.
Ciò nonostante, alcuni di questi circa 30 mila consulenti ha iniziato a sviluppare qualche abilità da consulente-analista, ma si parla di numeri veramente esigui, anche perché questa attività è in parziale contrasto con ciò che genera la retribuzione del loro lavoro.
Fra i consulenti oggettivamente e soggettivamente indipendenti dagli intermediari (oggi chiamati giuridicamente “Consulenti Autonomi”), un numero molto consistente, direi maggioritario, ha un approccio prevalentemente da analista.
Anche qui, al momento, si parla di numeri molto esigui, intorno al centinaio di soggetti in tutta Italia, anche se ci si attende che le fila dell’albo di questi soggetti aumenti nel corso del 2019.
Questi consulenti lavorano in prevalenza come liberi professionisti ed alcuni all’interno di società di consulenza finanziaria indipendente (in Italia al momento sono una quindicina )
La loro retribuzione è data dalle parcelle che applicano ai clienti. Il criterio di calcolo della parcella è libero. In genere il consulente-analista ha una retribuzione in percentuale al patrimonio sotto consulenza. Tale percentuale varia in base al valore del portafoglio finanziario. Su portafogli di alcuni milioni di euro la percentuale – con le dovute eccezioni – si orienta intorno allo 0,5%. Su portafogli di centinaia di migliaia di euro varia intorno all’1%.

Attività, strumenti e competenze
Lo scopo principale del consulente analista è fidelizzare il cliente attraverso l’invio di raccomandazioni, adeguate alle sue caratteristiche d’investimento, ma anche percepite come di valore.
Il focus dell’attività sono i rendimenti, quindi l’attività principale del consulente-analista – oltre allo studio dei mercati – è quello di giustificare la propria parcella e fare in modo che il cliente voglia continuare a pagarla il più a lungo possibile.
Gli strumenti di analisi finanziaria che il consulente-analista utilizza possono essere di vario tipo: in genere piattaforme informatiche dedicate all’analisi dei mercati (fra le più complete e costose troviamo Bloomberg).
In Italia esiste ormai da molti anni una società di consulenza finanziaria indipendente che – oltre alla sua attività diretta sui clienti – ha anche un’attività rivolta ai consulenti finanziari indipendenti per offrire loro attività di analisi da rivendere poi ai clienti di quest’ultimi.
Si tratta, in sostanza, di una sorta di ufficio studi in outsourcing (così come molti intermediari delegano a consulenze esterne le analisi dei mercati).
Le analisi che i consulenti analisti in genere svolgono riguardano la selezione degli strumenti (siano essi obbligazioni, azioni, fondi/etf, ecc.) ed il così detto “market-timing”, cioè quando sarebbe il momento più opportuno per comprare e vendere. Ovviamente con il termine “più opportuno” ci si riferisce sempre all’obbiettivo di aumentare il rendimento del portafoglio.
Le competenze tecniche dei consulenti finanziari indipendenti operanti oggi in Italia derivano, principalmente, dall’esperienza professionale pregressa. Esiste l’associazione degli analisti finanziari, ma pochi di questi sono anche consulenti indipendenti, poiché questa associazione raggruppa prevalentemente i soggetti che operano negli uffici studi degli intermediari finanziari.
Non esiste una certificazione professionale specifica per i consulenti finanziari indipendenti. Adesso che l’albo è operativo ed è probabile che il numero dei professionisti possa crescere, sarebbe auspicabile che questa certificazione venisse creata.

Relazione con la clientela
La relazione tipica che si sviluppa fra il consulente-analista ed il cliente è più professionale rispetto a quella del consulente-venditore, ma rimane sempre il problema di fondo: è incentrata sul rendimento del portafoglio il quale è fuori dalla loro reale sfera d’influenza.
Nel tempo la relazione tende a vivere alti e bassi in funzione, essenzialmente, dei rendimenti dei mercati.
La narrazione prevalente del consulente-analista riguarda ovviamente le tecniche di analisi in cui crede. In genere spiega al cliente che le sue tecniche sono migliori di quelle che utilizzano altri ed ovviamente al cliente non rimane che credere al consulente sulla parola.
Una volta acquisito il cliente, così come per il consulente-venditore, la relazione è impostata a giustificare in qualche modo i rendimenti. Lavorando con un minimo di attenzione, è molto più facile giustificare i rendimenti da consulente-analista indipendente che da consulente collegato agli intermediari finanziari perché i costi che paga il cliente sono molto inferiori e quindi è molto più facile ottenere rendimenti migliori rispetto agli altri, ma dopo qualche anno, questo vantaggio, pur sempre presente, perde un po’ di freschezza.
Il consulente-analista si sente in qualche modo in dovere di fornire le raccomandazioni per acquistare e vendere, cioè per movimentare il portafoglio. Se non da indicazioni è come se il cliente non percepisse la necessità del consulente stesse e quindi non giustificasse la parcella.
Il focus di tutto il rapporto è legato al rendimento del portafoglio in relazione alle raccomandazioni dell’analista.

Evoluzione del consulente-analista
Dopo un po’ di anni che un consulente-analista fa il suo mestiere inizia inevitabilmente a capire che non esistono tecniche in grado di generare, sistematicamente, un extra-rendimento (ponderato con il rischio) rispetto a quello della media del mercato. In particolare, tecniche adeguate ai profili dei comuni investitori.
Esistono certamente decine e decine di tecniche che hanno ottime probabilità di generare extra-rendimenti ma ciascuna ha i suoi aspetti problematici.
Per un periodo della sua vita da consulente-analista, il professionista cerca di combinare queste tecniche, anche per avere sempre qualcosa di positivo sul quale cercare di focalizzare l’attenzione del cliente.
Piano piano si rende conto che ciò che interessa veramente al cliente non è tanto il rendimento bensì avere una persona esperta che lo rassicuri sul fatto che si sta occupando dei suoi soldi in modo ragionevole, che risponda alle sue ansie nel momento in cui nei mercati accadono cose apparentemente strane, ecc.
Insomma, l’evoluzione naturale del consulente analista è quella di spostare il focus dai mercati finanziari ai bisogni del cliente, inizia così a nascere la figura del consulente-pianificatore di cui ci occuperemo nel prossimo articolo.

Prossimio articolo: "Il consulente pianificatore"
 
 
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