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Firenze, in difesa del bike sharing brutto e cattivo
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Articolo di Pietro Moretti
20 ottobre 2017 11:33
 
"È consigliato di evitare attività fisica intensa e prolungate all'aperto e, in particolare per gli anziani, i bambini e i soggetti con patologie cardiorespiratorie, l'invito è di rimanere il più possibile in ambienti chiusi, evitando anche di aprire porte e finestre". Sembra di leggere un romanzetto di fantascienza, ed invece è un avviso alla cittadinanza del Comune di Torino soffocata dallo smog. La stessa cosa potrebbe accadere domani a Firenze, dove però l'emergenza percepita non è l'inquinamento, ma il nuovo bike sharing.

Ne sono consapevole: quelle bici sono bruttine e arancioni, non sono "made in Italy", e sono state 'sponsorizzate' da un sindaco Piddino e per giunta renziano come Nardella. 

Invero, sul colore e sul design si potrebbe forse rimediare, affidando qualche ritocco ad un designer born in Italy che possa farci sentire tutti un po' meno oppressi dalla globalizzazione. 

Ma dubito che servirebbe a qualcosa. In fondo, le stesse esatte polemiche sono esplose anche a New York quando il sindaco ha introdotto un bike sharing di colore azzurro e dal design manifestamente più elegante. Anche là, quotidiani come il Wall Street Journal e tabloid come il New York Post, strenui difensori del petrolio e di "America First", hanno sparato ad alzo zero contro queste "cavallette bibliche", guidate contromano e sui marciapiedi da ciclisti indisciplinati.

Ora, è certamente possibile che i newyorkesi siano conducenti indisciplinati come lo sono i fiorentini, ma per esperienza personale tendo a dubitarne. Contrariamente a Firenze - dove biciclette e macchine private vengono parcheggiate OVUNQUE impunemente da sempre, senza peraltro ricevere le invettive che continuano a sollevarsi contro le poche decine di bici arancioni mal parcheggiate - a New York non puoi sostare in divieto per due minuti, che subito la polizia ti è col fiato sul collo. 

Tendo quindi a pensare che a New York, come a Firenze, il problema principale sia il sindaco, Bill De Blasio, anch'egli purtroppo Piddino, seppur non dichiaratamente renziano. Una venerabile editorialista del Wall Street Journal, Dorothy Rabinowitz, in prima fila nella battaglia di civiltà contro le bici blu, si è scagliata contro la "potente lobby delle biciclette", notoriamente di sinistra, affermando che sciagure come il bike sharing "succedono quando una città è governata da un sindaco autocratico davanti al quale ti senti impotente". 

A nulla è servito che la solita stampa liberal, generalmente un bricioletto più attenta all'ambiente, abbia cercato di spiegarle che tra le migliaia di potenti lobby negli USA, quella delle biciclette risulta gravemente affetta da inesistenza. Invano sono stati citati anche diversi studi che evidenziano gli incommensurabili vantaggi di questo innovativo tipo di servizio pubblico:
- diminuzione dei costi di manutenzione delle strade;
- diminuzione dell'inquinamento;
- diminuzione degli incidenti stradali;
- miglioramento delle condizioni di salute tra gli utilizzatori;
- il sistema di trasporto pubblico più economico per la collettività;
- l'allargamento della platea degli utilizzatori del trasporto pubblico, particolarmente tra coloro che fino ad ora non potevano permettersi di pagare un autobus, un taxi  o comprarsi una bici (anche perché prima o poi ti viene inesorabilmente rubata).

P.S. Contrariamente alle bici private parcheggiate impunemente su ogni marciapiede fiorentino, quelle arancioni hanno codici univoci equivalenti a vere e proprie targhe. Basterebbe che la Polizia municipale di Firenze, al pari di quella di New York, elevasse le dovute contravvenzioni e le inviasse a Mobike, per poi inoltrarle all'effettivo ed indisciplinato utilizzatore. Tutto già scritto nella legge. E già che ci siamo, se si ha la forza di alzare lo sguardo oltre l'arancione, si potrebbe fare qualche multa anche ad auto e moto in divieto di sosta. 
 
 
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